Il contratto di lavoro a tempo determinato
Autore | Roberto Voza |
Pagine | 75-92 |
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Il contratto di lavoro a tempo determinato
Roberto Voza
Norme commentate: art. 1, commi 9, 11, 12,
13; art. 2, commi 28, 29, 30, l. 28 giugno 2012,
n. 92; art. 28, l. 17 dicembre 2012, n. 221.
SOMMARIO: 1. L’a-causalità del «primo rapporto» a tempo determinato. - 1.1. L’a-causalità ‘atte-
nuabile’ per effetto dell’autonomia collettiva. - 2. Il contratto a termine stipulato da una start-
up innovativa. 3. Prosecuzione del rapporto oltre la scadenza: prolungamento dei termini e
nuovi adempimenti amministrativi. - 4. La dilatazione dell’intervallo temporale in caso di
successione di contratti a tempo determinato. - 5. L’impugnazione dei licenziamenti connessi
alla risoluzione di questioni relative alla nullità del termine. - 6. L’interpretazione autentic a
della norma sulle conseguenze della declaratoria di nullità del termine. - 7. La monetizzazio-
ne dell’instabilità: l’inasprimento contributivo a favore dell’ASpI.
1. La riforma del lavoro a termine riparte dal tormentato incipit del d.lgs.
368/2001 (ossia il c. 01 dell’art. 1, introdotto dall’art. 1, c. 39, l. 247/2007), il
quale – nella versione attuale – dispone che «il contratto di lavoro subordina-
to a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro»
(art. 1, c. 9, lett. a, l. 92/2012).
Rispetto alla sua formulazione originaria1, la norma pare attenuare la
portata del requisito causale di accesso al contratto a termine. Per alcuni, essa
sarebbe concepita proprio per «giustificare il “primo” contratto a termine
“acausale”»2 (sul quale, v. infra, in questo §); per altri, invece, «il cambia-
mento dalla vecchia alla nuova formulazione dovrebbe significare un raffor-
zamento della centralità del contratto a tempo indeterminato e non la sempli-
ce “regolarità/normalità” della sua stipulazione»3.
A mio avviso, se si guarda soltanto alla enunciazione di principio, rima-
ne del tutto imprecisata la rilevanza di tale modifica normativa, come pure
della annunciata finalità legislativa di favorire «l’instaurazione di rapporti di
lavoro più stabili», attraverso «il rilievo prioritario del lavoro subordinato a
tempo indeterminato», identificato nella formula del «contratto dominante»,
la quale fa il suo ingresso nel lessico legislativo (art. 1, c. 1, lett. a, l.
92/2012).
Certamente, tuttora appare esclusa la piena fungibilità tra lavoro stabi-
le (nella forma del contratto a tempo indeterminato) e lavoro temporaneo
1 “Il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato”.
2 SPEZIALE, 2012, 5.
3 BANO, 2012, 505. Secondo COSTA-TIRABOSCHI, 2012, 98, la norma recepisce «la controver-
sa tesi della temporaneità della causale sottesa alla stipulazione del contratto a tempo determi-
nato».
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(nella forma del contratto a termine), ma ciò non toglie che la “domi-
nanza” del primo sul secondo debba tener conto delle modifiche operate
dalla riforma.
Ebbene, la principale novità, che fa spostare il pendolo legislativo nella
direzione della flessibilità, è la legittimazione di un rapporto di lavoro a tem-
po determinato, di natura a-causale, purché si tratti del “primo rapporto” e sia
di durata non superiore a dodici mesi (art. 1, c. 9, lett. b, l. 92/2012).
Non essendovi alcun vincolo costituzionale in ordine alla necessaria cau-
salità del ricorso al lavoro a termine, l’innovazione normativa potrà essere
scrutinata unicamente alla luce del diritto comunitario.
Come è noto, tra le misure di prevenzione degli abusi derivanti dalla
successione di contratti a termine, l’Accordo-quadro attuato dalla Direttiva
1997/70/CE del 28 giugno 1999 (clausola 5, n. 1) prevede la necessità di
«ragioni obiettive», ma soltanto per la giustificazione del «rinnovo» di tali
contratti: peraltro, tale misura può essere cumulabile, ma anche alternativa
alle altre due, previste dalla stessa clausola 5, ossia la durata massima totale
dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi, oppure il
numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.
Viceversa, la predetta clausola non prescrive agli Stati membri di adottare
una misura che imponga di giustificare ogni primo o unico contratto di lavoro a
tempo determinato, come ormai acclarato dalla giurisprudenza comunitaria4.
Sul piano della legislazione interna, tuttavia, sin qui nulla autorizzava ad
escludere il primo (o unico) contratto a termine dal campo di applicazione
dell’art. 1, d.lgs. 368/2001 e, dunque, l’ammissibilità di un’assunzione a
tempo determinato del tutto priva di qualsiasi ragione di carattere tecnico,
produttivo, organizzativo o sostitutivo appare indubbiamente un’innova-
zione, che si muove nel segno dell’allentamento dei vincoli in materia di
flessibilità in entrata.
In relazione a tale innovazione normativa, sarebbe astrattamente possibi-
le invocare il divieto di reformatio in peius contenuto nella clausola 8, n. 3
dell’accordo-quadro («l’applicazione del presente accordo non costituisce un
motivo valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori
nell’ambito coperto dall’accordo stesso»), naturalmente a condizione che lo
si ritenga operante non solo in sede di formale trasposizione della direttiva,
ma anche successivamente ad esso.
Se è vero, tuttavia, che la clausola di non regresso non determina un vin-
colo assoluto di immodificabilità regolativa in peius, consentendo allo Stato
membro di disporre un arretramento protettivo, purché connesso al perse-
guimento di un obiettivo diverso da quello dell’applicazione dell’accordo
4 V., in particolare, Cgce 23.4.2009, K. Angelidaki e a. – Organismos Nomarchiakis
Autodioikisis Rethymnis, C. Giannoudi – D. Geropot amou, G. Karabousanos e a. – D. Geropotamou, cause
C-378-380/07, MGL, 2009, 424 ss.
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