Contratti di locazione e registrazione

AutoreStefano Giove
Pagine605-607

    Relazione svolta al XV Convegno del Coordinamento legali della Confedilizia tenutosi a Piacenza il 10 settembre 2005.


Page 605

Perseverare diabolicum il primo commento che deve essere venuto a tutti spontaneo leggendo la novità introdotta, nel nostro settore, dall'ultima finanziaria.

Già altre volte si è detto, commentando la L. 431/98, che il legislatore (scarso quanto a lungimiranza e praticità su questi aspetti) dopo norme sostanziali nel settore locatizio inserite in una congerie di provvedimenti lato sensu fiscali (patti in deroga) era passato ad una normativa di settore e tendenzialmente onnicomprensiva (almeno per le abitazioni) ma tutta connotata da richiami e imposizioni di carattere tributario.

Orbene, totalmente dimentichi dei giudizi dati dai Giudici delle leggi 1 e da quelli di legittimità 2 alle previsioni della novella, ad inizio 2005 si è tornati a... parafrasare la regola di cui al primo comma dell'art. 13.

Chi vi parla - mi piace ricordarlo - è stato smentito sia nelle interpretazioni proposte a caldo (anche in questa sala!) sulle c.d. nuove nullità; sia, e ancor più, in ordine alle previsioni sugli interventi di ormai prossima attuazione da parte della Corte, dopo la dichiarata illegittimità costituzionale dell'art. 7.

Quale efficacia deterrente - ci chiedevamo - potrà conservare la nuova normativa, costretta ora a marciare sulla sola gamba dell'art. 13 (sempre primo comma), in assenza della ineseguibilità dei titoli esecutivi privi di una (auto) certificazione in ordine agli adempimenti fiscali?

Certo, torniamo all'art. 7, il legislatore aveva posto in essere una costruzione da molti reputata «infelice»; anzi invece di seguire i suggerimenti (lo si potrebbe valutare operativo solo per i contratti abitativi dall'1 gennaio 1999 in poi...) era nuovamente intervenuto - 5 anni fa - con «sospetta» indisponenza estendendo (!) invece la regola attinente il procedimento esecutivo - o, almeno il suo nascere - ai titoli antecedenti 3.

Oggi - però - vogliamo essere «buoni»: se - allora - quell'estensione fu ritenuta un invito all'ormai prossimo intervento della Corte costituzionale, diretta quasi a favorire la eliminazione di una regola di dubbia legittimità e scomoda 4, dobbiamo sforzarci di attribuire alla nuova previsione comunque un senso.

In fin dei conti solo minima parte della dottrina 5 aveva dato del primo comma dell'art. 13 la lettura poi avallata dalla Cassazione. Quasi unanime - infatti - era stata la valutazione della regola come diretta a colpire la diffusissima prassi della contrattazione doppia: una diretta al fisco, l'altra a regolamentare i reali rapporti tra i contraenti 6.

Del tutto superfluo ricordare ai presenti come, invece, la c.d. sentenza Preden 7 abbia sposato la interpretazione minoritaria, leggendo nella comminata «nullità» di ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone... superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato» un divieto dei patti di aumento in costanza di contratto.

Non ci interessa qui tanto valutare insieme quella decisione (criticabile non per le argomentazioni utilizzate, ma per la sostanziale aggirabilità del divieto, che si è ritenuto invece ribadito dal legislatore) 8 quanto rammentare a quella che è stata definita prova del nove circa il significato della regola.

Leggere la nullità come riferita all'intero contratto sarebbe palesemente illegittimo, ci ha ricordato la Cassazione; e - come noto 9 - perché investire la Corte costituzionale se è possibile fornire una lettura della regola rispettosa dei principi (noti) che impediscono di subordinare la validità di una pattuizione al rispetto degli adempimenti fiscali connessi?

Ma, allora, anche la lettura del comma 346 dell'art. 1 L. 311 del 30 dicembre 2004 è segnata?

Non è così; liberato del resto e per tutto quanto ricordato in apertura - dalla scomoda etichetta di... attendibile profeta - l'indagine potrà risultare più agevole proprio perché priva in qualche misura di responsabilità.

Si è detto che perseverare è (sarebbe) diabolico; ma se il legislatore continua a comminare nullità si dovrà pur sempre, come anticipato, cercare una interpretazione consapevole delle esigenze che si vogliono tutelare.

Scambiando qualche battuta, questa mattina, con alcuni Colleghi si poteva sentire - scherzosamente - tacciare l'odierna scaletta dei quesiti di... risposta anticipata. È così? Sicuramente no. Il problema è che ormai da anni siamo abituati (leggendo in una norma «nullità») ad interrogarci sul cosa il legislatore abbia, realmente, inteso dire.

Ma è «proprio» nullità? Assoluta o relativa? È sanabile? Forse si tratta di una c.d. nullità di protezione, o sanzione? E a tutela di quali interessi? Non sarà poi che l'invalidità comminata finisca con il colpire proprio il c.d. contraente debole?

Come vi sarà chiaro le domande, molto spesso retoriche, mirano solo a prendere atto di come, ancor più nel... nuovo secolo, si abbia la certezza ormai che la più grave delle invalidità codicistiche ha sempre più spesso connotati diversi da quelli dettati nel 1942.

Agli studenti, oggi, si ricorda sempre che un manuale di diritto privato deve dedicare alla differenza nullità/annullabilità/inesistenza/inefficacia molte più pagine di quelle sufficienti solo trenta anni fa quando il confine sembrava assai più netto. Allora, e appunto, quella del comma 346 è scritta «nullità», ma si legge «inefficacia»?

Che la invalidità più grave non derivi, solo, dall'assenza dei requisiti essenziali - in ambito contrattuale - è noto; lo è però altrettanto come le categorie vadano create (o, almeno verificate) più per gli effetti che per il nomen utilizzato. Del resto - il riferimento è alla simulazione -...

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