Contrasti: Corte di cassazione penale sez. Un., 10 dicembre 2009, n. 47008 (Ud. 29 Ottobre 2009)

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Pres. Gemelli - est. Ferrua - p.m. Ciani (conf.) - ric. X.

Reatoy Estinzione (Cause di) Prescrizione Modifiche introdotte dalla L. n. 251 del 2005 Applicazione retroattiva delle disposizioni più favorevoli Limiti Pronuncia della sentenza di condanna in primo grado y Pendenza del procedimento in grado di appello Conseguenza

Ai fini dell'operatività delle disposizioni transitorie della nuova disciplina della prescrizione, la pronuncia della sentenza di condanna di primo grado determina la pendenza in grado d'appello del procedimento, ostativa all'applicazione retroattiva delle norme più favorevoli. (C.p., art. 2; c.p., art. 157; c.p., art. 158; c.p., art. 159; c.p., art. 160; c.p., art. 161; L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10) (1)

(1) Le SS.UU. aderiscono, con la decisione in epigrafe, all'orientamento maggioritario, esaurientemente rappresentato in motivazione, che individua nella sentenza di condanna emessa in primo grado il fattore al quale ancorare, in tema di prescrizione, l'inapplicabilità delle norme sopravvenute, più favorevoli all'imputato. Di diverso avviso, tra le più recenti, Cass. pen. sez. IV, 28 maggio 2009, Lombardi, in CED Archivio Penale RV 244000, per la quale la pendenza del grado d'appello, che rileva per escludere la retroattività delle norme sopravvenute più favorevoli, ha inizio nel momento del deposito dell'atto d'appello.

Svolgimento del procedimento

Con sentenza 10 novembre 2005 il Tribunale di Palermo dichiarava X. responsabile ai sensi degli artt. 81 cpv., 519 c. 1 e 2 c.p. dei reati continuati di violenza carnale e di atti di libidine ai danni della figlia Y., all'epoca minore degli anni 8, fatti commessi sino al maggio del 1994: condannava il predetto a pena ritenuta di giustizia.

Con pronuncia 14 febbraio 2008 la Corte di appello, a seguito di espletamento di una perizia sulla capacità della persona offesa a rappresentare gli accadimenti oggetto del processo e dopo avere effettuato nuovo esame della medesima, riduceva l'inflitta sanzione confermando nel resto la decisione impugnata.

Avverso la sentenza di secondo grado l'imputato ha proposto ricorso per cassazione in base ai seguenti motivi.

1 - Violazione degli artt. 157, 519 c.p. e 129, 531 c.p.p. per omessa declaratoria di estinzione dei reati ascritti a causa di intervenuta prescrizione.

In particolare è stato dedotto che tali reati, per i quali è stabilita la pena edittale massima di anni 10 di reclusione, alla luce della modifica dell'art. 157 c.p. introdotta dalla L. 5 dicembre 2005 n. 251 erano già prescritti sin dal novembre 2006, quindi prima della data di emissione della sentenza di appello: ciò in quanto doveva applicarsi il nuovo e più favorevole termine di operatività della causa estintiva, pari ad anni 10, eventualmente aumentato di un quarto ex art. 161 c.p.

2 - Vizio di motivazione in punto responsabilità e travisamento della prova (motivo enunciato con successiva memoria, peraltro nel lasso temporale previsto per l'impugnazione principale).

Precipuamente si è denunciata mancanza di adeguata valutazione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, la quale quando si era espressa spontaneamente non aveva mai accusato il padre, ma aveva ribadito la di lui estraneità ai fatti.

Il ricorso veniva assegnato alla terza sezione penale della Cassazione ed il collegio lo rimetteva alle Sezioni Unite, evidenziando che in relazione al primo motivo si delineava una questione - quella concernente il momento cui collegare il limite posto dall'art. 10. c. 3 L. 251/2005 alla retroattività, per i processi "pendenti in appello", delle disposizioni più favorevoli in materia di prescrizione introdotte dalla suddetta legge - in ordine alla quale sussisteva contrasto di giurisprudenza tra le sezioni semplici.

Motivi della decisione

Il quesito sul quale le Sezioni Unite sono chiamate a pronunciarsi è dunque il seguente:

"Se a seguito della sentenza di condanna emessa in primo grado debba ritenersi veriflcata la pendenza in appello del processo, prevista dall'art. 10 c. 3 della L. 5 dicembre 2005 n. 251 ai fini di escludere l'applicabilità delle disposizioni sopravvenute, più favorevoli in tema di prescrizione"

Per un corretto inquadramento ed un agevole approfondimento della questione è utile riportare il contenuto della norma di riferimento nella sua originaria formulazione ed in quella attuale, risultante a seguito dell'intervento operato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 23 novembre 2006 n. 393.

L'art. 10 L. 251/05 - dopo avere fissato, al comma 1, l'entrata in vigore della nuova legge nel giorno successivo alla sua pubblicazione ed avere sancito, al comma 2, la non applicabilità ai procedimenti ed ai processi in corso della nuova disciplina, qualora i termini di prescrizione risultassero più lunghi di quelli previgenti - recitava testualmen-Page 132 te, al comma 3: "Se per effetto delle nuove disposizioni, i termini di prescrizione risultano più brevi, le stesse si applicano ai procedimenti ed ai processi pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, ad esclusione dei processi già pendenti in primo grado ove vi sia stata la dichiarazione di apertura del dibattimento, nonché dei processi già pendenti in grado di appello o avanti la Corte di Cassazione".

La Corte Costituzionale con la menzionata pronuncia ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di tale comma, limitatamente alle parole "dei processi già pendenti in primo grado ove vi sia stata la dichiarazione di apertura del dibattimento, nonché".

All'uopo ha rilevato: che il principio della retroattività delle disposizioni più favorevoli posto dall'art. 2 c. 4 c.p. (da intendersi riferito a tutte le norme che apportino modifiche in melius alla disciplina di una fattispecie criminosa, ivi comprese quelle che incidono sulla prescrizione del reato) non è oggetto della tutela privilegiata contemplata dall'art. 25 c. 2 Cost. poiché questa concerne unicamente il divieto di applicazione retroattiva della norma incriminatrice o comunque più sfavorevole all'imputato; che, pertanto, il medesimo è derogabile anche tramite una legge ordinaria, ma che, trattandosi comunque di una regola generale del nostro sistema penale, alla quale viene attribuita valenza anche dalla legislazione internazionale e da quella comunitaria (Patto sui diritti civili e politici di New York del 16 dicembre 1966; Trattato sull'Unione Europea di Amsterdam del 2 ottobre 1997 e Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea di Nizza del 7 dicembre 2000), la deroga deve essere diretta a far prevalere principi di uguale o maggior valenza (quali - a titolo esemplificativo - l'efficienza del processo, la salvaguardia dei diritti dei soggetti che in vario modo sono destinatari della funzione giurisdizionale, la tutela di interessi dell'intera collettività nazionale connessi a valori costituzionali di primario rilievo) . Con specifico riferimento alla disposizione transitoria della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado come discrimine temporale per l'applicazione delle nuove norme sui termini di prescrizione non era "assistita da ragionevolezza" e violava l'art. 3 della Costituzione sotto diversi profili. Innanzitutto, a causa del carattere non indefettibile dell'incombente suddetto, che caratterizza solo il rito ordinario, restando estraneo a quelli alternativi ed altresì perché il medesimo non era idoneo a correlarsi significativamente alla funzione della prescrizione (strumento con il quale l'ordinamento si fa carico del diminuito allarme sociale suscitato dal reato e del meno agevole esercizio del diritto di difesa, determinati dal decorso del tempo), tanto da risultare "eccentrico" rispetto agli altri eventi processuali presi in considerazione dall'art. 160 c.p ai fini della sua interruzione; inoltre si è segnalato che non erano invocabili esigenze di efficienza processuale e di conservazione della prova poiché al momento dell'apertura del dibattimento non sono state ancora compiute attività processuali suscettibili di essere vanificate.

Per effetto della richiamata sentenza l'operatività dei nuovi termini di prescrizione, in quanto più favorevoli, risulta ormai esclusa dalla disposizione di cui al c. 3 dell'art. 10 della L. 251/05 unicamente con riguardo ai "processi già pendenti in grado di appello o avanti la Corte di Cassazione".

Con successiva pronuncia, del 28 marzo 2008 n. 72, la Consulta ha dichiarato infondate varie questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione alla suddetta residua deroga, evidenziando: che la stessa non può dirsi irragionevole, discendendo dal fatto oggettivo e inequivocabile che "processi di quel tipo siano in corso ad una certa data"; che l'avvenuta emissione di una sentenza di primo grado o di un decreto di condanna assume rilievo rispetto all'istituto della prescrizione in quanto questi atti, al pari del decreto di citazione per il giudizio di secondo grado, sono inclusi tra quelli indicati dall'art. 160 c.p.; che nei processi di appello (ed ancor più in quelli pendenti in cassazione) l'esigenza di evitare che l'acquisizione del materiale probatorio e quindi l'esercizio della difesa siano resi più difficili a causa del decorso del tempo è ormai soddisfatta poiché, in linea generale, l'attività istruttoria si svolge in primo grado; che l'opzione legislativa trova giustificazione siccome volta ad impedire la dispersione delle attività processuali realizzate secondo cadenze calcolate in base ai tempi di prescrizione più lunghi, vigenti all'epoca del loro compimento (motivazione integralmente richiamata dall'ordinanza 23 ottobre 2008 n. 343 che ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione nuovamente sollevata).

In relazione all'attuale testo della norma transitoria si è dunque posto il quesito sopra enunciato, il quale nella fattispecie in esame è rilevante sotto duplice aspetto.

Da un lato va considerato che la L. 251/05 è entrata in vigore il 7 dicembre 2005, ossia un mese dopo la...

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