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AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine717-736

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. un., 27 luglio 2009, n. 31011 (ud. 28 maggio 2009). Pres. Gemelli - Est. Fiandanese - P.M. Ciani (conf.) Ric. P.G. in proc. Colangelo.

Misure cautelari personali - Impugnazioni - Ricorso per cassazione - Provvedimenti del tribunale della libertà - Ricorso del P.G. presso la corte d’appello - Legittimazione - Esclusione.

Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello non è legittimato, salvo che sia stato egli stesso a chiedere l’applicazione della misura cautelare, a proporre ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse dal Tribunale della libertà sui provvedimenti adottati in materia cautelare dalla Corte di appello. (In motivazione la Corte ha precisato che, individuando l’art. 311 c.p.p. in maniera espressa i soggetti legittimati al ricorso nell’incidente cautelare, l’inammissibilità dell’impugnazione presentata dal procuratore Generale discende dall’applicazione del principio per cui il diritto di impugnare spetta soltanto a colui al quale la legge espressamente lo conferisce. (C.p.p., art. 309; c.p.p., art. 310; c.p.p., art. 311) (1).

(1) Nell’affermare il suesposto principio di diritto, la Corte ha precisato che, individuando l’art. 311 c.p.p. in maniera espressa i soggetti legittimati al ricorso nell’incidente cautelare, l’inammissibilità dell’impugnazione presentata dal procuratore generale discende dall’applicazione della fondamentale norma per cui il diritto di impugnare spetta soltanto a colui al quale la legge espressamente lo conferisce. In parte motiva sono illustrati efficacemente i contrapposti orientamenti giurisprudenziali formatisi sull’argomento.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. – La Corte di appello di Bologna, con sentenza 16 dicembre 2008, confermava la sentenza pronunciata in primo grado nei confronti di Colangelo Sergio, per la vendita di due grammi di hashish, alla pena dimesi dieci di reclusione, oltre la multa; con contestuale ordinanza rigettava l’istanza di revoca della misura cautelare della custodia in carcere.

A seguito di appello dell’imputato ex art. 310 c.p.p, il Tribunale di Bologna, con ordinanza in data 9 gennaio 2009, revocava la misura della custodia cautelare in carcere e ordinava l’immediata scarcerazione dell’imputato.

Il tribunale osservava che la durata della coercizione carceraria sino a quel momento subita dal Colangelo, pari a mesi otto e giorni uno, superava i quattro quinti della pena espianda, così come quantificata all’esito dei giudizi di merito, così che, non essendo imminente la conclusione del procedimento, il perdu- rare della custodia avrebbe comportato l’inevitabile sovrapposizione del presofferto cautelare alla sanzione espianda.

Lo stesso tribunale argomentava dal combinato disposto degli artt. 275, comma 2, e 299, comma 2, c.p.p. nel senso che il principio di proporzione, assumendo come parametro di riferimento la norma di cui all’art. 304, comma 6, c.p.p., deve operare in via autonoma e prioritaria rispetto agli altri parametri della complessiva disciplina cautelare, fra cui i termini di custodia dettati dall’art. 303 c.p.p. ed il periculum libertatis.

Propone ricorso per cassazione il procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Bologna deducendo erronea applicazione della legge penale e illogicità della motivazione.

Il ricorrente P.G., in primo luogo, afferma la propria legittimazione ad impugnare le ordinanze emesse dal tribunale del riesame ai sensi dell’art. 310 c.p.p., osservando che la formulazione letterale delle disposizioni di cui agli artt. 309, 310 e 311 c.p.p., che individuano il P.M. legittimato all’impugnazione in quello che ha richiesto l’applicazione della misura e in quello istituito presso il tribunale, mal si attaglia al caso in cui il provvedimento impugnato in materia de libertate sia stato emesso dalla corte di appello. Infatti, in tal caso, salvo la sporadica ipotesi in cui sia stato proprio il P.G. a richiedere l’applicazione della misura, la possibilità di ricorrere avverso il provvedimento del tribunale della libertà sarebbe affidata al solo procuratore della Repubblica distrettuale, rimasto estraneo alla fase del procedimento in cui è stata emessa l’ordinanza appellata, poiché non sarebbe nep- pure astrattamente ipotizzabile l’intervento del P.M. originario che ebbe a richiedere la misura, rimasto non solo estraneo al procedimento di secondo grado, ma impossibilitato anche ad essere reso edotto dal contenzioso insorto, non avendo titolo, a norma dell’art. 310, comma 2, c.p.p., a ricevere l’avviso dell’udienza camerale innanzi al tribunale della libertà.

Pertanto, al fine di evitare conseguenze lesive dei principi costituzionali in ragione della deteriore posizione che la corte di appello e il suo P.M. verrebbero così a rivestire rispetto al giudice di primo grado e al corrispondente organo dell’accusa, sarebbe corretto, secondo il P.G. ricorrente, pervenire ad una interpretazione costituzionalmente orientata del disposto dell’art. 311, comma 1, c.p.p., nel senso che il P.G. che ha reso le sue valutazioni in ordine alla conferma, modifica o revoca della misura cautelare nel procedimento innanzi alla corte di appello, ben possa identi-Page 718ficarsi in quella figura del P.M. che ha richiesto l’applicazione della misura indicato dall’art. 311 citato quale organo dell’accusa legittimato alla proposizione del ricorso.

Con riferimento al contenuto dell’ordinanza impugnata, il P.G. ricorrente osserva che il Tribunale di Bologna non ha contestato la persistenza del pericolo di reiterazione criminosa da parte dell’imputato, posto a base del rigetto della richiesta di revoca da parte della corte di appello, e ha considerato esclusivamente il periodo di ragionevole durata della cautela ottenuto con un semplice calcolo matematico. Ma il principio di proporzionalità sancito dagli artt. 275, comma 2, e 299, comma 2, c.p.p., ad avviso del P.G. ricorrente, non può essere inteso in chiave assoluta, dovendo sempre essere raccordato alle valutazioni inerenti la sussistenza e la persistenza delle esigenze cautelari, con il solo limite del disposto dell’art. 300, comma 4, c.p.p., unico caso in cui rimane irrilevante la persistenza di esigenze cautelari. Irrilevante, infine, sarebbe il richiamo al comma sesto dell’art. 304 c.p.p., trattandosi di norma avente lo scopo di dare un preciso termine alla compressione della libertà personale nella diversa ipotesi di sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare, fissati con riferimento all’intero processo e non già alle singole fasi di esso.

Il ricorso è stato assegnato alla sesta sezione penale che, con ordinanza del 1º aprile 2009 (depositata il successivo 15 aprile), lo ha rimesso alle Sezioni Unite sul rilievo della sussistenza di contrasti interpretativi su tre distinte questioni:

a) se il procuratore generale presso la corte d’appello sia legittimato a impugnare l’ordinanza di revoca della misura cautelare personale in carcere decisa, in difformità della pronuncia della corte d’appello, del tribunale quale giudice d’appello sui provvedimenti de libertate;

b) se il criterio cronologico della durata della misura cautelare rispetto all’entità della pena ritenuta in sentenza abbia prevalenza assorbente rispetto ad altri parametri di legge;

c) se l’annullamento con rinvio della decisione del tribunale del riesame o d’appello con la quale sia stata revocata la misura cautelare ne comporti l’automatica reviviscenza.

In particolare, sulla prima questione, l’ordinanza segnala gli orientamenti contrapposti, ponendo in evidenza che l’indirizzo contrario a riconoscere legittimazione al ricorso al procuratore generale presso la corte d’appello trae motivo dalla lettera dell’art. 311, comma 1, c.p.p., che non prevede il P.G. tra gli organi legittimati a ricorrere per cassazione avverso il provvedimento de libertate, salvo che non sia stato egli stesso a richiedere l’applicazione della misura (caso del tutto eccezionale e comunque non ricorrente nella specie). Per contro l’indirizzo favorevole a riconoscere tale legittimazione viene identificato dall’ordinanza in due risalenti pronunce e soprattutto in recenti sentenze che, decidendo sul ricorso del P.G., avrebbero implicitamente ritenuto la legittimazione sul punto dello stesso P.G.

In ordine alla seconda questione, l’ordinanza di rimessione segnala decisioni che hanno ritenuto non irragionevole il riferimento a un criterio aritmetico – custodia cautelare pari ai 2/3 della pena inflitta o che si ritiene possa essere inflitta – per fare cessare gli effetti della misura custodiale a prescindere dalla persistenza delle esigenze cauteleari e decisioni che hanno sottolineato come il mero parametro aritmetico sia, da un lato, inidoneo a una complessiva valutazione delle condizioni necessarie a far cessare la custodia cautelare e, dall’altro, si risolva, indirettamente, in una sorta di riduzione dei termini di fase della custodia cautelare stabiliti per legge.

Quanto alla terza questione, l’ordinanza, a fronte di un orientamento che esclude che il giudice di legittimità possa disporre il ripristino della misura cautelare, indica un’unica decisione, che ha ritenuto effetto dell’annullamento con rinvio della Corte di cassazione l’immediata «reviviscenza» della misura cautelare revocata, qualora le esigenze cautelari siano state affer- mate sia dalla Corte di merito in sede di rigetto dell’istanza di revoca, sia dal tribunale della libertà nell’ordinanza di accoglimento dell’appello proposto dall’imputato.

Con decreto del 23 aprile 2009 il presidente aggiunto ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la sua discussione l’odierna udienza came- rale.

Ha depositato memoria difensiva il difensore di Colangelo, il quale:

– con riferimento alla prima questione osserva che la legittimazione ad impugnare si ispira ad un rigoroso criterio di tassatività, imposto dall’art. 568, comma 3, c.p.p. e che l’art. 311 c.p.p. non lascia spazio ad interpretazioni...

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