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AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine633-638

Page 633

@CORTE DI CASSAZIONE Sez. un., 13 settembre 2005, n. 18128. Pres. Carbone - Est. Lo Piero - P.M. Palmieri (conf.) - Sidoti c. Condominio di via Ischia di Castro 25 in Roma.

Contratti in genere - Clausola penale - Riduzione - D'ufficio - Esercizio - Necessità di domanda o eccezione della parte tenuta al pagamentoEsclusione - Composizione di contrasto giurisprudenziale - Fattispecie di penale applicata in relazione al mancato pagamento di oneri condominiali.

Il potere di diminuire equamente la penale, attribuito dall'art. 1384 c.c. al giudice, può essere esercitato anche d'ufficio, e ciò sia con riferimento alla penale manifestamente eccessiva, sia con riferimento all'ipotesi in cui la riduzione avvenga perché l'obbligazione principale è stata in parte eseguita, giacché in quest'ultimo caso, la mancata previsione da parte dei contraenti di una riduzione della penale in caso di adempimento di parte dell'obbligazione, si traduce comunque in una eccessività della penale se rapportata alla sola parte rimasta inadempiuta. (Fattispecie in tema di mancata corresponsione di oneri condominiali e conseguente applicazione da parte del condominio della penale contenuta nel regolamento di natura contrattuale). (C.c., art. 1382; c.c., art. 1384) (1).

    (1) La sentenza in epigrafe risolve il contrasto - sorto all'interno delle sezioni semplici - in ordine al potere del giudice di ridurre d'ufficio la penale ai sensi dell'art. 1384 c.c., non ritenendo così necessaria la domanda o l'eccezione della parte tenuta al pagamento. In senso conforme alla pronuncia in epigrafe si vedano Cass. 24 settembre 1999, n. 10511, in Giur. it. 2000, 1154 con nota di GIOIA, ribadita poi da Cass. 23 maggio 2003, n. 8188, in Nuova giur. civ. comm. 2004, I, 553 con nota di PALASCIANO, sentenze che - sino all'intervento delle S.U. - non sembravano aver scalfito l'orientamento tradizionale (sfavorevole ad un esercizio d'ufficio del relativo potere) espresso da Cass. 30 maggio 2003, n. 8813, in Giur. civ. mass. 2003, f. 5; Cass. 4 aprile 2003, n. 5324, ivi 2003, f. 4; Cass. 19 aprile 2002, n. 5691, in Giust. civ. 2003, I, 1075 con nota DEL BORRELLO e Cass. 27 ottobre 2000, n. 14172, in Foro it. 2001, I, 2924.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Il Condominio di via Ischia di Castro, in Roma, convenne in giudizio, davanti al giudice di pace, il condomino Gaetano Sidoti e ne chiese la condanna al pagamento della somma di lire 3.562.355, a titolo di sanzione pecuniaria, dovuta, in base agli artt. 18 e 23 del regolamento condominiale, per il mancato pagamento di lire 1.045.281, dovute per spese di condominio. Il Sidoti chiese il rigetto della domanda, sostenendo che le clausole del regolamento comportavano l'obbligo di corrispondere un interesse usurario per il ritardato pagamento dei ratei relativi alle spese condominiali e, in via riconvenzionale, chiese che dette clausole fossero dichiarate nulle.

Il giudice di pace accolse la domanda, osservando che le norme del regolamento erano legittime ed erano state liberamente accettate dal Sidoti.

Questi propose appello insistendo perché fossero dichiarate nulle le norme del regolamento ai sensi dell'art. 1815, secondo comma, c.c., applicabile in tutte «le convenzioni di interessi» e «quindi anche in quelle contenute in un regolamento condominiale di natura contrattuale». Chiese anche che le suddette clausole fossero dichiarate nulle, perché prevedevano che la sanzione fosse applicata per il mancato pagamento dei ratei entro venti giorni dall'approvazione del bilancio preventivo senza una formale messa in mora.

Il condominio non si costituì in giudizio. Il Tribunale di Roma respinse l'appello, osservando:

- che alla fattispecie in esame non era applicabile il disposto del secondo comma dell'art. 1815 c.c. perché le somme dovute dal condomino, per il caso di ritardo nell'adempimento dell'obbligo di corrispondere i ratei condominiali, non erano interessi pattuiti per la ritardata restituzione di un prestito di denaro, ma erano oggetto di una penale, contenuta nel regolamento di natura contrattuale debitamente trascritto, con la quale era pattiziamente determinato il risarcimento dovuto in caso di inadempimento o ritardo nell'adempimento;

- che la penale sarebbe potuta essere diminuita dal giudice ove il condomino ne avesse fatto richiesta, non potendo il giudice provvedere d'ufficio;

- che non era necessaria, al fine della decorrenza dell'obbligo del pagamento delle somme dovute a titolo di penale, la messa in mora del condomino, poiché era lo stesso regolamento di condominio a prevedere la mora ex re e che tale previsione era conforme al disposto dell'art. 1219, secondo comma, c.c.

Gaetano Sidoti ha proposto ricorso per la cassazione della suddetta sentenza.

Il condominio intimato non ha svolto attività difensiva.

La causa è stata assegnata alla seconda sezione civile di questa Corte, che, con ordinanza del 30 marzo 2004, ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni unite, avendo ravvisato l'esistenza di un contrasto, all'interno dellePage 634 sezioni semplici, in ordine al potere del giudice di ridurre d'ufficio la penale ai sensi dell'art. 1384 c.c. (questione dedotta con il primo motivo del ricorso).

Il Primo Presidente ha assegnato la causa alle Sezioni unite per la risoluzione del contrasto.

MOTIVI DELLA DECISIONE. 1. - All'esame dei motivi occorre premettere che il tribunale ha qualificato come clausola penale la sanzione prevista, negli artt. 18 e 23 nel regolamento di natura contrattuale, a carico dei condomini inadempienti nel pagamento dei contributi dovuti.

Tale qualificazione non è posta in discussione dalle parti ed anzi il ricorrente su detta qualificazine poggia il motivo di ricorso, con il quale denuncia come erronea la decisione del giudice di merito nella parte in cui ha negato che il giudice possa ridurre d'ufficio la penale.

Pertanto, il ricorso deve essere esaminato da questa Corte sulla base di tale avvenuta qualificazione.

  1. - È preliminare l'esame del secondo motivo, perché con esso si deduce la nullità della clausola penale, cosicché se la censura fosse fondata cadrebbe la necessità di esaminare il primo motivo, con il quale la sentenza impugnata è censurata, invece, per avere negato il potere del giudice di ridurre la penale in assenza di una richiesta di parte.

  2. - Con il secondo motivo si denuncia: Violazione ed erronea applicazione dell'art. 1815, secondo comma, c.c. e difetto di motivazione in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.

    Si deduce che - non contestata l'usurarietà del tasso di interesse previsto nella penale - «la c.d. funzione calmieratrice prevista dall'art. 1815 c.c., come modificato dalla legge 7 marzo 1996 n. 108, trova applicazione sempre, allorquando ricorra nel contratto un vantaggio usurario, quale che sia il rapporto obbligatorio sottostante, creandosi in caso contrario una indebita sperequazione nel trattamento delle clausole penali e delle clausole fissanti tassi di interessi moratori, che altro non sono che una sanzione per il mancato pagamento nei tempi stabiliti della obbligazione pecuniaria».

  3. - La censura è infondata.

    Il ricorrente, sostanzialmente, invoca l'applicazione dei criteri fissati dalla legge 7 marzo 1996 n. 108 per attribuire carattere usurario alla somma dovuta in forza della penale pattuita.

    Sennonché - a prescindere da ogni altro rilievo in ordine alla esattezza o meno della tesi prospettata - il ricorrente non considera che i criteri fissati dalla legge...

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