Contrasti

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine411-414

Page 411

I.

@CORTE DI CASSAZIONE Sez. V, 6 dicembre 2004, n. 47159 (ud. 8 giugno 2004). Pres. Foscarini - Est. Di Popolo - P.M. Cesqui (diff.) - Ric. Licari.

Furto - Aggravanti - Prelievo abusivo di acque pubbliche - Configurabilità - Esclusione - Condotta depenalizzata.

Il prelievo abusivo di acque sotterranee demaniali non è più qualificabile come furto aggravato, trattandosi di condotta da ritenere sanzionata soltanto in via amministrativa, ai sensi dell'art. 17 del T.U. sulle acque approvato con R.D. 11 dicembre 1933 n. 1775, nella sua attuale formulazione. (Mass. Redaz.). (R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 17; c.p., art. 624; c.p., art. 625) (1).

II.

@CORTE DI CASSAZIONE Sez. IV, 7 novembre 2002, n. 37237 (ud. 21 novembre 2001). Pres. Frangini - Est. De Grazia - P.M. Gedrangolo (diff.) - Ric. Bricca.

Furto - Aggravanti - Sottrazione di acque pubbliche - Concessionario di una derivazione di acque pubbliche.

Costituisce reato di furto, con l'aggravante della commissione su cosa destinata a pubblica utilità (art. 625, n. 7, c.p.), il consapevole e volontario prelievo, da parte del concessionario di una derivazione di acque pubbliche, di un quantitativo di acqua maggiore di quello stabilito nel provvedimento di concessione, non potendosi, in detta ipotesi, ritenere applicabile, mediante richiamo al principio di specialità, la sola infrazione amministrativa di cui all'art. 219 del T.U. sulle acque pubbliche approvato con R.D. n. 1755 del 1933 e successive modificazioni, atteso che le norme contenute nel suddetto T.U. hanno diversa oggettività giuridica rispetto al furto, in quanto destinate soltanto a tutelare l'ambiente, la purezza delle acque dall'inquinamento e le risorse idriche, senza quindi escludere la tutela penale apprestata dagli artt. 624 e 625 c.p. ogni qual volta la loro violazione comporti anche impossessamento del bene da parte di colui che se n'è reso autore. (Mass. redaz.). (C.p., art. 624) (2).

    (1, 2) Occorre precisare anzitutto che la questione dibattuta ed il conseguente contrasto giurisprudenziale si riferiscono a fattispecie configurante prelievo ed utilizzazione di acqua demaniale per uso industriale e non per uso domestico; ciò che viene puntualizzato dalla prima delle sentenze in oggetto. La vexata quaestio inerisce al presunto rapporto di specialità tra la normativa codicistica e la disposizione in tema di utilizzazione abusiva di acque pubbliche, escluso dalla giurisprudenza meno recente e sostanzialmente affermato dalla prima delle sentenze qui riportate. Un precedente di legittimità civile delle sezioni unite, 21 marzo 2001, n. 126, in Arch. civ. 2002, 81, aveva in proposito, stabilito che dalla disposizione generale dettata dall'art. 17 del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, non derogata da quelle speciali, si dovesse trarre che chi deriva acque pubbliche, se non si munisce di concessione, è obbligato quanto meno a pagare un'indennità commisurata al canone che avrebbe dovuto corrispondere se avesse ottenuto la concessione. Ciò impedisce di ritenere che aver derivato acqua pubblica, senza concessione, costituisca un comportamento per sé privo di effetti sul piano della responsabilità da fatto illecito e che a fondare il diritto dell'ente territoriale cui il demanio idrico appartiene non basti il fatto della derivazione abusiva e sia anche necessario che, dalla sottrazione dell'acqua sia derivato un ulteriore danno patrimoniale. L'utilizzazione dell'acqua che la parte si è procurata di sua iniziativa ne configura un godimento illecito, che obbliga sempre a pagare, a titolo di risarcimento del danno, almeno la stessa somma che sarebbe stata dovuta nel caso di utilizzazione consentita, mentre è un eventuale danno diverso e maggiore che deve sussistere ed essere provato, qualora se ne domandi il risarcimento. La giurisprudenza in contrasto.


I.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - L'adita Corte di appello ha confermato la sentenza del Tribunale di Marsala del 24 aprile 2002 di condanna di Licari Vincenzo (legale rappresentante della società «Ittica Mediterranea») alla pena di giustizia limitatamente ai contestati fatti di furto aggravato continuato di «ingenti quantitativi di acqua pubblica» (prelevata dal sottosuolo, attraverso otto pozzi realizzati nell'area dello stabilimento aziendale, ovvero, senza autorizzazione, dal sottosuolo della contrada Triglia Scaletta di Petrosino sempre attraverso i pozzi ivi esistenti) e di realizzazione abusiva dei predetti otto pozzi «entro 300 metri dalla linea della battigia» e, così, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico (art. 1 sexies della legge n. 431/1985 ed art. 20 lett. c) della legge n. 47/1985). Ha, in particolare, avvalorato la ricostruzione della concreta fattispecie alla stregua delle risultanze processuali della sentenza di primo grado ed a confutazione delle doglianze dell'appellante, considerando che: - il fattoPage 412 (verificatosi nell'ambito territoriale del «Margio Spanò») ha comportato, secondo quanto accertato con specifica verifica peritale, il depauperamento della falda acquifera esistente a profondità compresa tra metri 2 e...

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