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AutoreCasa Editrice La Tribuna
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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. IV, 15 ottobre 2007, n. 37851 (c.c. 2 luglio 2007). Pres. Battisti - Est. Visconti - P.G. Ciani (conf.) - Ric. P.G. in proc. Farah ed altro.

Misure cautelari personali - Impugnazioni - Ricorso per cassazione - Legittimazione - Ricorso del P.G. avverso le ordinanze adottate dal tribunale in materia di libertà - Inammissibilità.

Deve escludersi che il procuratore generale presso la corte d'appello rientri tra i soggetti legittimati, ai sensi dell'art. 311 c.p.p., a proporre ricorso per cassazione avverso le ordinanze adottate dal tribunale in materia di libertà, non potendosi, in tale materia, applicare, per analogia, il disposto dell'art. 608, comma 1, c.p.p., che attribuisce al procuratore generale il potere di ricorrere per cassazione «contro ogni sentenza di condanna o di proscioglimento pronunciata in grado di appello o inappellabile». (Mass. Redaz.). (C.p.p., art. 309; c.p.p., art. 310; c.p.p., art. 311; c.p.p., art. 608) (1).

    (1) Sebbene si registrino alcune pronunce di segno opposto, debitamente indicate in motivazione, la giurisprudenza maggioritaria è conforme alla massima in epigrafe. Si vedano, ex plurimis, Cass. pen., sez. V, 3 febbraio 1998, Nasrale, in questa Rivista 1998, 752; Cass. pen., sez. III, 23 giugno 1997, Sciascia, in Cass. pen. 1998, 567 e Cass. pen., sez. II, 23 aprile 1997, Maniero, pubblicata integralmente in questa Rivista 1997, 338.


FATTO E DIRITTO. - Con ordinanza in data 29 gennaio 2007 il Tribunale di Bologna, in funzione di giudice del riesame, accoglieva l'appello proposto da Farah Mohamed e Merar Nordine avverso l'ordinanza della Corte di appello di Bologna del 22 dicembre 2006, e ne revocava la misura cautelare in carcere.

Il tribunale riteneva applicabile alla fattispecie la normativa di cui all'art. 275, secondo comma, c.p.p., in quanto gli appellanti, condannati in primo grado per il reato di cui all'art. 73, quinto comma, D.P.R. 309/90, e cioè spaccio di hashish, alla pena di mesi otto di reclusione, erano stati già ristretti per mesi 5 e giorni 10, e cioè per un tempo corrispondente a 2/3 della pena complessiva.

Pertanto, pur formulandosi un giudizio negativo sulla personalità dei prevenuti, clandestini, privi di lecita occupazione e dimora stabile, pluripregiudicati per reati specifici, il permanere della custodia cautelare si sarebbe tramutato in espiazione anticipata della pena, completata il 17 aprile 2007, il che è contrario alle finalità della custodia cautelare.

Inoltre, il criterio adottato, oltre che conforme alla disposizione di cui all'art. 275, secondo comma, c.p.p., è quello individuato per prassi dal Tribunale di Bologna come periodo di ragionevole durata della custodia cautelare in caso di elevata pericolosità sociale.

Il procuratore generale presso la Corte di appello di Bologna ha proposto ricorso per cassazione avverso al citata ordinanza del tribunale, chiedendone l'annullamento per violazione di legge e difetto di motivazione.

Il P.G. ricorrente ha assunto che le disposizioni di cui agli artt. 275, secondo comma, e 292, secondo comma, c.p.p. devono essere valutate tenendo altresì conto della susisstenza e della persistenza delle esigenze cautelari, e cioè in un contesto globale della ragionevolezza del permanere di una situazione limitativa della libertà.

Considerato che lo stesso tribunale aveva valutato negativamente la pericolosità sociale degli appellanti, il solo dato della durata della custodia cautelare sofferta era insufficiente per revocare la misura cautelare.

Non vi è dubbio che il P.G. di merito abbia proposto ricorso per cassazione ex art. 311 c.p.p. avverso un provvedimento di revoca della misura cautelare adottato dal tribunale del riesame ex art. 310 c.p.p.

Osserva il collegio che l'art. 311, primo comma, c.p.p. ben determina le parti legittimate a proporre ricorso per cassazione avverso il succitato provvedimento, individuandone, oltre che nell'imputato e nel suo difensore, nel «pubblico ministero che ha richiesto l'applicazione della misura» e «nel pubblico ministero presso il tribunale indicato nel comma 7 dell'articolo 309».

La chiara e precisa individuazione dei pubblici ministeri legittimati a ricorrere per cassazione, e cioè quello che ha chiesto la misura e quello del tribunale distrettuale, consente di escludere la possibilità di ampliare i soggetti legittimati, e quindi di escludere la legittimazione del procuratore generale presso la corte di appello (Cass. 19 gennaio 1998 n. 266; Cass. 25 marzo 1997 n. 2337; Cass. 11 febbraio 1997 n. 607). Né è applicabile analogicamente l'art. 608, primo comma, c.p.p., che attribuisce al detto organo soltanto il potere di ricorrere per cassazione «contro ogni sentenza di condanna o di proscioglimento pronunciata in grado di appello o inappellabile».

Il ricorso all'analogia è del tutto incompatibile con la materia della libertà personale, costituzionalmente garantita dall'art. 13, e, d'altronde, va ribadito che la chiara formulazione letterale dell'art. 311, primo comma, c.p.p., non consente dubbi interpretativi.

Non sfuggono al collegio alcune decisioni di legittimità con conclusioni contrarie (Cass. 25 ottobre 1993 n. 4425; Cass. 23 marzo 1994 n. 581), ma, oltrePage 32 alle ragioni citate inerenti alla chiarezza letterale della norma e alla difformità da ogni generica legittimazione, va altresì valutato che nella specie il giudice dell'appello è il tribunale del riesame, e competente a rappresentare la pubblica accusa è il P.M. presso il tribunale distrettuale ovvero quello che ha chiesto la misura (commi 8 e 8 bis dell'art. 309 c.p.p.), e mai il procuratore generale, come pure avviene per i procedimenti camerali dinanzi al tribunale di sorveglianza, che è anch'esso distrettuale. Ne deriva la conseguenza logica e coerente della volontà del legislatore di attribuire la legittimazione a ricorrere per cassazione agli organi di accusa che hanno partecipato o che possono partecipare alla fase del riesame o dell'appello, escludendo quelli che ne rimangono estranei.

Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile, perché proposto da soggetto non legittimato.

P.Q.M. la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

@CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 3 ottobre 2007, n. 36231 (c.c. 20 settembre 2007). Pres. Mocali - Est. Corradini - P.G. Iannelli (conf.)Ric. Brugnami ed altro.

Esecuzione in materia penale - Procedimento di esecuzione - Poteri del giudice - Provvedimento de plano di restituzione delle cose sottoposte a confisca - Opposizione - Conversione del ricorso per cassazione - Ammissibilità.

Avverso il provvedimento adottato dal giudice dell'esecuzione in una delle materie per le quali, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 676, comma 1, e 667, comma 4, c.p.p., è prevista la procedura de plano, deve ritenersi esperibile, pur quando sia stata invece adottata la procedura camerale partecipata di cui all'art. 666 c.p.p., il solo rimedio dell'opposizione, nel quale va convertito, ai sensi dell'art. 568, comma 5, c.p.p., il ricorso per cassazione che sia stato eventualmente proposto. (Mass. Redaz.). (C.p.p., art. 568; c.p.p., art. 666; c.p.p., art. 667; c.p.p., art. 676) (1).

    (1) Nello stesso senso, Cass. pen., sez. I, 10 ottobre 2007, Olivieri, inedita. A differente conclusione giunge Cass. pen., sez. II, 11 ottobre 2004, Tomasoni, in questa Rivista 2006, 101, la quale, pur ritenendo anch'essa che avverso il provvedimento emesso de plano dal giudice dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 667, comma quarto, c.p.p., sia consentito unicamente proporre opposizione dinanzi allo stesso giudice che lo ha emesso, ritiene che, qualora il ricorso sia stato proposto, esso vada dichiarato inammissibile in quanto non può trovare applicazione il principio della conversione dell'impugnazione indicato nell'art. 568, comma quinto c.p.p., non avendo natura di impugnazione l'opposizione in sede di esecuzione.


MOTIVI DELLA DECISIONE. - Con ordinanza in data 30 novembre 2006 il Tribunale di Roma - Sezione per la applicazione delle misure di prevenzione ha dichiarato inammissibile l'incidente di esecuzione proposto da Brugnami Alessandro per l'annullamento e la revoca della confisca, avente ad oggetto gli immobili di proprietà della Società Iniziative Immobiliari e Terzo Millennio, comprese le quote della Arisol Srl di proprietà per il 50% del ricorrente Brugnami, disposta dal tribunale con decreto n. 91/06 del 12 aprile 2006 nel procedimento di prevenzione promosso nei confronti di Sbarra Danilo.

Il tribunale ha ritenuto che il rimedio apprestato dall'ordinamento in favore del terzo che assumeva di essere proprietario dei beni confiscati e che non era stato chiamato a partecipare al giudizio di prevenzione fosse in effetti l'incidente di esecuzione, ma che peraltro nella specie tale rimedio non fosse al momento esperibile poiché il decreto di confisca non era ancora divenuto definitivo.

Ha proposto ricorso per cassazione la difesa del Brugnami lamentando che l'omessa citazione del terzo rendeva nullo il provvedimento di confisca e che appariva comunque illogico che il terzo potesse proporre l'incidente di esecuzione, che si qualificava come rimedio di immediata applicazione, soltanto dopo la definizione delle impugnazioni contro il provvedimento di confisca, cui ormai il terzo era estraneo.

Il procuratore generale presso questa Corte ha rilevato che, trattandosi di provvedimento adottato dal giudice dell'esecuzione, a norma degli artt. 676 e 667 c.p.p., pur se a seguito di fissazione dell'udienza camerale invece che de plano come previsto dalla norma, il rimedio esperibile restava quello della opposizione davanti allo stesso giudice che aveva emesso il provvedimento, cui ha chiesto la trasmissione degli atti previa riqualificazione della impugnativa come opposizione.

Il codice di rito (artt. 676, comma 1 e 667, comma 4, c.p.p.) prevede che i provvedimenti in materia di confisca e di restituzione delle cose sequestrate siano adottati dal...

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