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CORTE DI CASSAZIONE PENALE SEZ. UN., 15 SETTEMBRE 2011, N. 34091 (C.C. 28 APRILE 2011)

Pres. Lupo – est. Milo – p.m. Delehaye (diff.) – ric. S. F.

Istituti di prevenzione e pena (ordinamento penitenziario) y Uffici di sorveglianza y Procedimento di sorveglianza y Preclusione del giudicato y Operatività rebus sic stantibus y Sussistenza y Conseguenza.

Misure di sicurezza y Personale y Libertà vigilata y Applicazione in conseguenza della dichiarazione di abitualità nel reato sopravvenuta infermità psichica y Sostituzione con il ricovero in casa di cura e custodia y Esclusione y Ragioni.

La preclusione del giudicato, nel procedimento di sorveglianza in materia di misure di sicurezza, opera rebus sic stantibus e non impedisce, una volta esauriti gli effetti della precedente decisione, la rivalutazione della pericolosità del soggetto e la conseguente individuazione di un’eventuale nuova misura da applicare sulla base di ulteriori elementi non valutati, perché palesatisi successivamente all’adozione del provvedimento dive- nuto definitivo o, pur preesistenti, non presi da questo in considerazione. (Mass. Redaz.) (att. c.p.p., art. 173; c.p.p., art. 649; c.p.p., art. 678; c.p.p., art. 679) (1)

La misura di sicurezza della libertà vigilata applicata per effetto della dichiarazione di abitualità nel reato non può essere sostituita, per sopravvenuta infermità psichica, con la misura del ricovero in casa di cura e custodia, non operando in tale ipotesi la disposizione di cui all’art. 232, comma terzo, cod. pen.. (c.p., art. 103; c.p., art. 109; c.p., art. 228; c.p., art. 231; c.p., art. 232) (2)

(1) Per Cass. pen., sez. I, 11 febbraio 1995, Benso, in Ius&Lex dvd n. 5/11, ed. La Tribuna, anche nel procedimento di sorveglianza vige, per motivi di economia processuale, il principio del ne bis in idem. La decisione di un’istanza, con provvedimento inoppugnabile, o per il quale siano esauriti i gravami consentiti, acquista la caratteristica dell’immodificabilità nel senso che, pur non costituendo cosa giudicata, porta seco il limite negativo della preclusione, a meno che siano cambiate, nel tempo trascorso tra le due istanze, le circostanze di fatto.

(2) Si riportano gli estremi di pubblicazione delle pronunce citate in motivazione: Cass. pen., sez. I, 25 ottobre 2007, Servadei, in questa Rivista 2008, 831 e Cass. pen., sez. I, 1 marzo 1977, Fornelli, ivi 1977, 428.

Svolgimento del processo

  1. Il Tribunale di sorveglianza di Ancona, con ordinanza del 1° luglio 2010, rigettava l’appello proposto da S. F. avverso il provvedimento adottato, il precedente 14 aprile, dal Magistrato di sorveglianza di Macerata, che aveva disposto l’aggravamento della misura di sicurezza della libertà vigilata alla quale il predetto S. F., dopo alternative vicende, era sottoposto, sostituendola con quella del rico- vero in casa di cura e custodia.

    Il Tribunale chiariva che il S. F., già in data 14 giugno 2006, era stato sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata, perché dichiarato delinquente abituale, ai sensi degli artt. 103 e 109 cod. pen.

    Il Magistrato di sorveglianza di Ancona, però, con provvedimento del successivo 10 ottobre, preso atto delle plu- rime violazioni delle prescrizioni inerenti all’esecuzione della misura di sicurezza non detentiva, ritenuto inoltre che detti comportamenti erano ascrivibili ad una evidente patologia psichiatrica di cui il soggetto era portatore ed erano indice di nuove manifestazioni della sua pericolosità sociale, aveva disposto, a norma dell’art. 232, comma terzo, cod. pen., l’aggravamento della misura, sostituendola con quella del ricovero in casa di cura e custodia.

    Entrambi i provvedimenti da ultimo citati, a seguito di appello proposto dal S. F., erano stati confermati dal Tribunale, con ordinanza del 25 gennaio 2007, e il successivo ricorso per cassazione contro quest’ultimo provvedimento era stato rigettato, con sentenza di questa Corte in data 3 ottobre 2007.

    Il Tribunale di sorveglianza di Bologna, infine, con ordinanza del 24 novembre 2009, decidendo sull’appello avverso la proroga - disposta in data 3 settembre 2009 - della misura contenitiva, aveva ripristinato la libertà vigilata ed aveva affidato il S. F. alla comunità terapeutica (omissis), misura questa ritenuta adeguata alla ridotta pericolosità del predetto.

    Era poi accaduto che, durante la permanenza in tale Comunità, il S. F. aveva posto in essere, la notte del 30 gennaio 2010, un tentativo di violenza sessuale ai danni di una operatrice della struttura; e per tale fatto egli era stato arrestato e gli era stata applicata la custodia cautelare in carcere.

    Il Tribunale rilevava, per quanto qui interessa, che il S. F. era «incontestabilmente affetto da disturbi psichiatrici», come dimostravano la sua lunga permanenza in casa di cura e custodia e la certificazione in data 1° luglio 2009 dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia, che attestava una «dipendenza da sostanze e farmaci in disturbo della personalità ed antisociale»; ravvisava nell’episodio della tentata violenza sessuale una nuova manifestazione di tale patologia psichiatrica, che imponeva, analogamente a quanto avvenuto nell’ottobre 2006 e senza

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    la necessità di dovere disporre un accertamento peritale, la trasformazione della libertà vigilata nel ricovero in casa di cura e custodia anziché, come previsto dall’art. 231 cod. pen., nella casa di lavoro o nella colonia agricola, misura quest’ultima applicabile alle persone sane di mente; sottolineava che - per un verso - la misura non detentiva era inidonea a contenere la pericolosità del soggetto e - per altro verso - il mantenimento della medesima misura non era comunque più praticabile, avendo la comunità (omissis) revocato la propria disponibilità a ospitare il S. F. e non essendo stata prospettata alcun’altra “sistemazione” presso analoga struttura di assistenza sociale.

  2. Ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, il S. F., sollecitando l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

    Con un primo motivo, il ricorrente deduce la carenza di motivazione sulla ritenuta riconducibilità del fatto commesso il 30 gennaio 2010 alla asserita patologia psichiatrica, non confortata - peraltro - da una perizia specialistica, benché espressamente sollecitata: la patologia certificata nel luglio 2009 dall’o.p.g. di Reggio Emilia, infatti, era generica, «aproblematica» e risalente nel tempo; il tentativo di violenza sessuale posto in essere non evidenziava dati oggettivi sintomatici del suo radicamento nella patologia attribuitagli, ma era riconducibile occasionalmente ad una imprevedibile «défaillance della terapia farmacologica» alla quale egli era sottoposto, che avrebbe determinato una caduta dei freni inibitori, così come accertato dal consulente di parte, il cui elaborato non era stato neppure preso in considerazione dal Tribunale di sorveglianza.

    Con un secondo motivo, lamenta l’omessa ovvero l’illogica motivazione in ordine al carattere necessitato del rico- vero in struttura contenitiva, che, per le sue gravi e dram- matiche carenze e la sua diversità dal carcere, non poteva comunque scongiurare il reiterarsi di episodi analoghi; sottolinea, inoltre, che la stessa giurisprudenza costituzionale aveva qualificato il ricovero in casa di cura e custodia come misura “segregante”, alla quale poteva farsi ricorso solo come extrema ratio e che incombeva al Tribunale di sorveglianza ricercare strutture adeguate a somministrare trattamenti alternativi in regime di libertà vigilata.

  3. Con ordinanza del 23 novembre 2010, la Prima Sezione penale, assegnataria del ricorso ratione materiae, ne ha rimesso la decisione - ex art. 618 cod. proc. pen. - alle Sezioni Unite, al fine di prevenire un potenziale contrasto di giurisprudenza in ordine all’interpretazione dell’art. 232 cod. pen.

    La Sezione rimettente rileva, infatti, che, con sentenza n. 39498 del 3 ottobre 2007, la stessa Sezione, decidendo sul ricorso proposto nell’interesse del S. F. avverso - tra l’altro - il precedente provvedimento di sostituzione della libertà vigilata con il ricovero in casa di cura e custodia, aveva sostenuto, sulla base della disposizione di cui all’art. 232 cod. pen., ritenuta norma speciale rispetto al precedente art. 231, la legittimità di tale sostituzione, perché giustificata dalle gravi violazioni degli obblighi imposti con la misura di sicurezza non detentiva, indicative di conclamate e serie turbe psichiche sopravvenute alle condanne che avevano determinato la dichiarazione di abitualità nel reato e l’applicazione dell’originaria misura di sicurezza. Sostanzialmente analoga la soluzione adottata da Sez. 1, n. 2274 del 22 dicembre 1976, dep. 1 marzo 1977, Fornelli, che, in una ipotesi di reato impossibile, aveva ritenuto legittima, sempre in base alla peculiare regola posta dall’art. 232 cod. pen., l’applicazione al prosciolto, rivelatosi anche affetto da infermità psichica, della misura di sicurezza detentiva in luogo della libertà vigilata, anche se quest’ultima non era sostitutiva della prima prevista in via principale.

    La Sezione rimettente, quindi, dopo avere ricostruito il sistema delle misure di sicurezza delineato dal codice penale e avere evidenziato l’evoluzione scientifica e normativa, a partire dalla legge 13 maggio 1978, n. 180, in tema di assistenza ai malati di mente, con conseguenti e inevitabili riflessi sul contemperamento tra esigenze special-preventive legittimanti le misure di sicurezza e le necessità terapeutiche della persona interessata, offre una diversa lettura dell’art. 232 cod. pen. rispetto a quella proposta dai richiamati precedenti giurisprudenziali.

    In particolare, sottolinea che tale disposizione «si riferisce nel titolo e nelle sue varie previsioni, per quanto interessa in questa sede, agli infermi psichici in stato di libertà vigilata e di infermità psichica: letta in combinato con l’art. 212 cod. pen., appare chiaramente volta a disciplinare le...

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