Quale contraddittorio? Una evasiva pronunzia della Suprema Corte in tema di utilizzabilità di atti di indagini difensive

AutoreGiuseppe Luigi Fanuli
Pagine358-364

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@1. La questione controversa

– Il G.u.p. del Tribunale di Macerata, all’esito di giudizio abbreviato ordinario, assolve l’imputata, ai sensi dell’art. 530 co. 2 c.p.p., per contraddittorietà della prova. Ritiene in particolare il giudicante che le risultanze di prova poste a fondamento della richiesta di rinvio a giudizio siano in insanabile contrasto con alcune dichiarazioni raccolte in sede di investigazioni difensive e prodotte dalla difesa all’udienza preliminare, immediatamente prima della richiesta di giudizio abbreviato. Donde la inevitabile pronunzia assolutoria.

Il P.M. presso l’anzidetto Tribunale, che si era opposto alla utilizzazione delle dichiarazioni unilateralmente raccolte dal difensore dell’imputata, ricorre in cassazione, sollevando, tra l’altro, la questione di costituzionalità dell’art. 442 co. 1 bis c.p.p., nella parte in cui consente l’utilizzabilità dei risultati delle indagini difensive in sede di giudizio abbreviato non condizionato, per contrasto con l’art. 111 commi 2, 4 e 5 Cost., configurandosi una violazione del principio del contraddittorio nella formazione della prova.

Sostiene in particolare il ricorrente che la censurata disposizione consente l’utilizzazione ai fini della de-Page 359cisione di atti a contenuto dichiarativo raccolti unilateralmente dal difensore e, quindi, assunti fuori del contraddittorio, e in assenza delle ipotesi di deroga all’anzidetto principio contemplate dal 5º comma dell’art. 111 Cost.. Né varrebbe invocare la deroga fondata sul “consenso dell’imputato”, in quanto, per sua costruzione logica, il consenso dell’imputato può valere esclusivamente con riferimento ad elementi potenzialmente contra se in quanto raccolti da altre parti processuali. In tale ottica, con la richiesta di giudizio abbreviato, l’imputato acconsente, essenzialmente, ad essere giudicato sulla base delle risultanze delle indagini svolte dal P.M., in deroga al principio del contraddittorio. Ma sarebbe una contraddizione in termini sostenere che il consenso dell’imputato possa legittimare l’acquisizione di elementi a sé favorevoli formati unilateralmente dalla propria difesa. In sostanza, secondo il ricorrente, rimanendo filologicamente abbarbicati al testo del comma 5 dell’art. 111 Cost., deve assolutamente escludersi che questo autorizzi un sistema in cui sia sufficiente il consenso dell’imputato ad operare la trasmutazione genetica di un suo atto di indagine in prova: tale autopromozione probatoria della investigazione di parte sarebbe priva di qualsiasi significato epistemologico.

@2. La soluzione adottata dalla Corte

– La Corte ha “liquidato” la questione sollevata dal ricorrente P.M. sulla base della seguente trama argomentativa:

– la prospettata incostituzionalità della disciplina non può riguardare l’utilizzabilità ex se dei risultati delle indagini difensive, bensì l’altro e connesso profilo del contraddittorio, inteso come parità delle armi tra le parti;

– in sostanza, “ritorna, sotto altre spoglie”, la situazione che prospetta l’incostituzionalità della disciplina del giudizio abbreviato nella parte in cui consente l’utilizzabilità probatoria dei risultati delle indagini difensive senza il consenso del pubblico ministero, in mancanza del quale vi sarebbe “una disparità di situazione incompatibile con l’art. 111 co. 2 Cost.”;

– tale situazione è già stata oggetto di intervento della Corte Costituzionale che con ordinanza n. 245 del 2005 ha fornito “una lettura adeguatrice all’interprete” ritenendo che il riequilibrio delle posizione del P.M. rispetto alle produzioni di atti di investigazione difensiva sia garantito dal diritto alla controprova sulle prove introdotte “a sorpresa” dalla difesa. In particolare, secondo tale lettura adeguatrice, il P.M. ha diritto ad un differimento dell’udienza, in modo da poter “svolgere le indagini suppletive, per bilanciare l’impianto accusatorio rispetto alle novità introdotte dalla difesa”. In questo modo – secondo l’annotata sentenza – “non viene messo in crisi il carattere fondamentale del giudizio abbreviato, che è quello che privilegia l’apporto probatorio unilaterale, rispetto al quale il pubblico ministero ha sempre la possibilità di allegare nuove indagini in replica a quelle presentate dalla difesa”, sollecitando il potere integrativo officioso del giudice exart. 441 co. 5 c.p.p.;

– sulla base della “rilettura” della suddette disposizioni, la questione è manifestamente infondata. Nella fattispecie, infatti, il P.M. avrebbe potuto attivare i propri poteri di investigazione “suppletiva” – eventualmente richiedendo un differimento dell’udienza – e svolgere le necessarie indagini finalizzate a contrastare l’allegazione dei risultati investigativi della difesa, “ad esempio procedendo all’audizione dei soggetti già sentiti dalla difesa, realizzando in questo modo quel riequilibrio delle posizioni che caratterizza il contraddittorio e che legittima il giudizio abbreviato richiesto dall’imputato, che nell’udienza preliminare abbia depositato i risultati delle indagini difensive”.

@3. Limiti e nodi critici della decisione: a) interpretazione riduttiva del principio costituzionale del contraddittorio

– Il profilo più discutibile dell’annotata sentenza risiede in una non mirata individuazione ed interpretazione dei parametri costituzionali che il ricorrente assume violati. In particolare, a fronte della valorizzazione da parte del ricorrente del principio del contraddittorio nella formazione della prova, la Corte ha ritenuto di “estrapolare”, in modo piuttosto sommario, dai ricordati commi dell’art. 111 Cost. un generico “principio del contraddittorio sulla prova”, espressione di quella “parità delle armi” garantita dal 2º comma dell’anzidetta disposizione.

Tale parametro costituzionale – così geneticamente modificato – non sarebbe violato, con riferimento alla questione sollevata, stante la funzione “riequilibratrice” del diritto alla “prova contraria” che spetterebbe al P.M. (anche) in sede di giudizio abbreviato non condizionato.

Tale soluzione scaturisce da un’evidente evirazione precettiva dell’art. 111 Cost.

È noto, infatti, che a seguito della riforma costituzionale sul “giusto processo”, l’art. 111 è stato “arricchito” non solo dalla statuizione, di carattere generale, secondo cui ogni processo (e, quindi, non solo quello penale) si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo ed imparziale (comma 2º).

Non minore rilevanza, invero, assume –nella novellata disposizione – il principio costituzionale del “contraddittorio nella formazione della prova” (comma 4º): principio da cui deve essere regolato il processo penale, fatte salve specifiche eccezioni (comma 5º).

Tale principio dà una prescrizione di natura oggettiva: è una norma preposta alla tutela del processo penale ed appare funzionale ad assicurare il contraddittorio inteso come metodo di conoscenza.

La storia politico-legislativa della riforma dell’art. 111 Cost. e la collocazione sistematica del principio di elaborazione dialettica della prova non sembrano lasciare dubbi in ordine al fatto che il legislatore costituzionale abbia inteso fare del contraddittorio lo statuto epistemologico della giurisdizione (art. 111 comma 2 Cost.) e, del contraddittorio nella elaborazione della prova, la specificità della giurisdizione penale (art. 111 comma 4 Cost.). «Soltanto nel processo penale, cioè, il contraddittorio deve necessariamente calarsi dentro il momento genetico della prova, farsene ’lievito’. Disconoscerlo, significa smarrire le ragioni di una disciplina costituzionale autonoma della giurisdizione penale»1.

In termini essenziali, il detto principio indica al legislatore il canone “minimo” di ammissibilità e legit-Page 360timità delle prove penali: è vietato permettere che i materiali conoscitivi non formati in contraddittorio trovino ingresso nel giudizio per fini decisori. Per tutti gli altri scopi (cioè diversi da quelli decisori sul merito dell’accusa) non si rinvengono particolari limitazioni2. Il termine “contraddittorio” evoca una sfida, una contrapposizione o, meglio, l’esistenza di soggetti portatori di interessi (potenzialmente) contrapposti. Ne consegue che se le prove vanno formate secondo il principio in questione, l’attività processuale inerente non può essere attribuita ad uno solo degli “antagonisti” né, ed a maggior ragione, al giudice, che deve rimanere per definizione terzo ed imparziale rispetto alla materia del contendere (art. 111 co. 2 Cost.). Pertanto la formazione della prova deve essere affidata congiuntamente solo a coloro che, nel processo penale, hanno e possono avere un interesse connesso al mento: le parti.

Se così è, allora, non vi sarà alcun rispetto del contraddittorio se la prova non è riconducibile ad una attività processuale e congiunta delle parti. Detto in termini espliciti, gli elementi probatori formati unilateralmente non sono e, dunque, non possono mai essere considerati come prove assunte in contraddittorio3.

Sul punto sembra chiaro il principio affermato, in motivazione, dalla Corte Costituzionale nella sentenza 14-26 febbraio 2002 n. 32 (pronunzia riguardante il divieto di testimonianza indiretta di p.g.)4.

è profondamente mutato (...), il quadro di riferimento costituzionale, ora integrato dalla previsione, contenuta nella prima parte del quarto comma dell’art. 111 Cost., del principio del contraddittorio nella formazione della prova. Da questo principio, con il quale il legislatore ha dato formale riconoscimento al...

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