Interrogatorio di garanzia e diritto di difesa. La consulta arresta l'estensione interpretativa (ed il riconoscimento dei diritti della persona)

AutoreRoberto Puglisi
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  1. - La facoltà del legislatore di prevedere diverse modulazioni del diritto di difesa può permettere un trattamento differente, di fatto, delle persone sottoposte a misure cautelari a seconda della fase processuale nella quale le misure stesse vengano eseguite. Questa la risposta data dalla Consulta al quesito riguardante la legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 294, comma 1 e 302 del codice di procedura penale nella parte in cui non prevedono l'obbligo di interrogare, anche dopo l'inizio del dibattimento, la persona sottoposta a custodia cautelare in carcere non oltre cinque giorni dall'inizio dell'esecuzione. Considerata la grande rilevanza degli interessi in gioco, si ritiene opportuno qui proporre la medesima questione, quantomeno, ancora in termini interrogativi. La libertà personale dell'imputato è un tema che merita attenzione particolare in considerazione delle pericolose conseguenze che possono discendere da letture esegetiche lontane dalla realtà processuale ovvero da accostamenti interpretativi poco calibrati o troppo affrettati.

    L'interrogatorio di garanzia è il momento in cui si esplica il maggior controllo sull'applicazione di una misura cautelare. Non a caso sono stati previsti termini brevi entro i quali si deve procedere. Non è un presupposto irrinunciabile imposto (in via diretta) dalla Costituzione; si è affacciato, infatti, per la prima volta nel nostro ordinamento grazie all'art. 10 della legge 8 luglio 1984, n. 398, che ha modificato l'art. 365 cod. 1930 1. Nel nuovo codice del 1988 è disciplinato dall'art. 294, disposizione che, almeno prima del vaglio della Corte costituzionale, limitava tale prerogativa dell'interessato alla fase delle indagini preliminari.

    Con la decisione in commento, la Corte costituzionale ha ritenuto manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale dell'attuale disciplina del procedimento applicativo di una misura cautelare laddove non estende anche alla fase successiva all'apertura del dibattimento l'obbligo di interrogare la persona in stato di custodia cautelare in carcere entro cinque giorni dall'inizio dell'esecuzione della custodia. A questo punto, prima di conoscere la motivazione che ha condotto a tale risultato, è necessario ripercorrere le modificazioni subite dall'istituto in esame e le pronunce della Corte costituzionale che si sono occupate direttamente della questione ovvero che hanno affrontato temi (almeno apparentemente) contigui, e proprio su tale mera apparente contiguità permangono dubbi sull'operazione interpretativa attuata alla Consulta.

    Come già ricordato, l'art. 294 c.p.p. originariamente limitava l'operatività dell'istituto alle sole ipotesi di custodia cautelare eseguita nel corso delle indagini preliminari. La scelta così operata, se, da un lato, poteva essere giustificata con i richiami alla discrezionalità del legislatore, dall'altro, comportava inevitabili problemi di ordine sistematico. A prescindere dalle innovazioni introdotte con la legge n. 332 del 1995 nella disciplina generale dell'applicazione delle misure cautelari e dell'interrogatorio di garanzia in particolare 2, diverse questioni di legittimità costituzionale sono sorte con riferimento proprio al regime differenziato sopraindicato. Era difficilmente accettabile, in altre parole, che l'importante tutela venisse offerta solamente nella fase iniziale del procedimento ovvero limitatamente ad un tipo di misura cautelare. Due le sentenze cd. additive della Corte costituzionale declaratorie dell'illegittimità della disciplina dell'interrogatorio di garanzia contenuta nel codice di procedura penale.

  2. - La sentenza n. 77 del 1997 della Corte costituzionale ha affrontato e risolto parzialmente le contraddizioni appena evidenziate. La denuncia di illegittimità costituzionale del giudice rimettente riguardava gli articoli 294 e 302 c.p.p. nella parte in cui non prevedevano, dopo la richiesta di rinvio a giudizio, l'interrogatorio di garanzia obbligatorio dell'imputato in custodia cautelare così da far conseguire, in caso di mancato espletamento dello stesso nel termine di cui all'art. 294 c.p.p., la perdita di efficacia della misura a norma dell'art. 302 c.p.p. 3. Le ragioni addotte muovevano principalmente dalla disparità di trattamento che si creava fra coloro nei cui confronti veniva eseguita la custodia cautelare durante le indagini preliminari e coloro i quali perdevano la libertà in una fase successiva. Nonostante si trattasse sempre del medesimo diritto alla libertà personale e l'istituto dell'interrogatorio di garanzia avesse la medesima funzione (la verifica d'ufficio della permanenza delle condizioni di applicabilità della misura cautelare), il sistema normativo conteneva la suddetta differenziazione che, quindi, si poneva in evidente contrasto con il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost.

    Altra norma costituzionale di riferimento è stato, altresì, l'art. 24, comma 2 Cost. Partendo dalla considerazione dell'interrogatorio di garanzia quale il più efficace strumento di difesa avente ad oggetto la cautela disposta e grazie al quale il soggetto privato della libertà personale viene posto, incondizionatamente ed in un tempo necessariamente breve, a diretto contatto con il giudice, si rendeva palese il contrasto con la garanzia costituzionale del diritto di difesa. D'altro canto, non si poteva fare a meno di allargare lo sguardo, altresì, ai ri-Page 643svolti di carattere internazionale. In particolare, oltre al rilievo per il quale l'interrogatorio di garanzia trova una diretta discendenza nell'habeas corpus ad subiciendum anglosassone 4, opportunamente nelle ordinanze di rimessione si sottolineava come l'art. 5, par. 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e, inoltre, l'art. 9, par. 3 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici di New York del 1966 prevedessero uno standard minimo di garanzie relativamente alle privazioni della libertà personale. Tale esigenza era inconciliabile con la mancanza, per la fase successiva alla richiesta di rinvio a giudizio, di una garanzia simile a quella già esistente per le indagini preliminari.

    Interessanti, ancora, i rilievi sollevati dal Tribunale di Napoli, uno dei giudici rimettenti la questione affrontata dalla Corte costituzionale con la sent. 77 del 1997. Dopo avere individuato nella richiesta di rinvio a giudizio (e non già nel decreto di rinvio a giudizio) il momento dell'effettiva conclusione delle indagini preliminari - lettura, questa, fatta propria dalla stessa Consulta - il giudice partenopeo ha evidenziato come non possano essere ricercati validi surrogati dell'interrogatorio di garanzia nel procedimento di riesame o nell'interrogatorio ai fini della revoca della misura. «L'uno», come si legge nei considerata della sentenza, «si rileva strumento meramente eventuale; l'altro viene assunto solo in presenza di un'istanza di revoca o di sostituzione della misura in corso, sempre che basata su elementi nuovi e diversi rispetto a quelli già valutati». Del tutto eterogenee le tre forme di garanzia: da una parte, l'interrogatorio di garanzia quale intervento irrinunciabile dello Stato nell'ambito della procedura applicativa di una misura coercitiva e, quindi, quale affermazione di inviolabilità della libertà personale; dall'altra, due strumenti predisposti dall'ordinamento sempre a tutela del medesimo bene giuridico, tuttavia efficaci solo a condizione di un'attivazione dell'interessato, quasi come conseguenza della disponibilità del diritto ovvero di un minore bisogno di vigilanza da parte del soggetto pubblico. Ancora più incisive, del resto, le considerazioni della Corte medesima: «La partecipazione [dell'imputato] al procedimento di riesame, inserendosi in una procedura che non coinvolge il giudice che ha adottato il provvedimento cautelare, non può essere in alcun modo assimilata all'interrogatorio previsto dall'art. 294 c.p.p.: un atto che, per espressa disposizione di legge, può promuovere, anche d'ufficio, la revoca della custodia cautelare, secondo il disposto dell'art. 294, comma 3 c.p.p.».

    Condividendo i rilievi di illegittimità proposti dai giudici rimettenti, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 77 del 1997, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 294, comma 1 c.p.p. nella parte in cui non prevedeva che, fino alla trasmissione degli atti al giudice del dibattimento, il giudice dovesse procedere all'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare in carcere immediatamente e comunque non oltre cinque giorni dall'inizio di esecuzione della custodia; ha dichiarato, altresì, l'illegittimità costituzionale dell'art. 302 c.p.p. limitatamente alle parole «disposta nel corso delle indagini preliminari».

    Importante per l'analisi degli sviluppi futuri è tenere presente il principio espresso dalla Corte: considerata la ratio ispiratrice dell'istituto dell'interrogatorio di garanzia, vale a dire la libertà personale di cui all'art. 13 Cost., non si possono ammettere limitazioni all'obbligo dell'interrogatorio di garanzia dovute esclusivamente alla fase in cui viene eseguita la misura 5.

    La presa d'atto da parte della Corte costituzionale della innegabile maggiore efficacia derivante da un meccanismo di controllo caratterizzato dalla irrinunciabilità e, quindi, dalla assoluta certezza della sua operatività ha dato luogo ad ulteriori sviluppi di carattere sia giurisprudenziale sia legislativo. Punti di partenza sono stati, da una parte, la più ampia estensione possibile delle garanzie della persona sottoposta a custodia cautelare, compatibilmente con le esigenze di carattere processuale, e dall'altra, la conseguente necessaria individuazione di un uniforme ambito applicativo, evitando di lasciare fuori posizioni simili ovvero comprendere situazioni eterogenee.

  3. - Il primo appuntamento è stato con la sentenza n. 32 del 1999 della Corte costituzionale che...

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