Considerazioni conclusive

AutorePaolo Stefani
Pagine141-158

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La laicità appare, dunque, una categoria concettuale immanente alla modernità. Ciò implica che, la nuova laicità, debba confrontarsi con il pluralismo etico e religioso delle società contemporanee. Ma, anche con il risveglio delle religioni tradizionali, chiese cristiane ed islam, che occupano sempre più uno spazio "pubblico". La deprivatizzazione delle religioni deve essere però intesa alla stregua di un processo storico immanente alla modernità, di istituzionalizzazione della modernità laica.

La separazione tra sfera privata e pubblica costituisce, allo stato attuale, "un' opzione storica"1. Oggi le religioni tendono ad inserirsi nella sfera pubblica della società civile, ma la separazione tra sfera sociale e sfera politica non è superata, ed anzi costituisce l'istituzionalizzazione del 'moderno'.

Laicità e modernità, dunque, binomio inscindibile, così come quello Stato laico - Stato moderno2.

Da tutto ciò emerge un dato inequivocabile: se si legge la realtà sociale contemporanea con le categorie della post modernità (il ritorno del sacro3 e la negazione della sovranità)4 è fuor di dubbio che la laicità perda i suoi connotati essenziali. Page 142

Proiettata in una dimensione post moderna la laicità finisce per essere praticamente inutilizzabile e giuridicamente inutile.

Se lo Stato moderno e laico è caratterizzato dalla sovranità politica5, la negazione della sovranità implica necessariamente negazione della laicità6 . Page 143

Questa si attua sulla base dell' affermazione di una teoria ad essa contrapposta e concorrente. Questa è certamente rappresentata dal declino del concetto politico di sovranità, in luogo della sovranità autopoietica del diritto razionale7, costituzionale o internazionale, che riprende sotto diverse spoglie la teoria kelseniana, fino a spingersi all'affermazione della sovranità dei valori-principi supremi dell'ordinamento costituzionale8.

È dunque evidente che queste teorie hanno come controparte dialettica il concetto schmittiano della sovranità. La sua teoria dello "stato d'eccezione"9 era speculare all'affermazione della sovranità dello Stato come momento pre-giuridico.

Se da un certo punto di vista possiamo considerare superato il concetto schmittiano di stato di eccezione, occorre però affrancarsi dalla dialettica Kelsen-Schmitt, per affermare la duplice dimensione, politica e giuridica, della sovranità. È stato rilevato, infatti, con espressioni assolutamente condivisibili, che la "sovranità si situa necessariamente all' incro- Page 144 cio dei due discorsi, giuridico e politico, una concezione unilaterale finisce necessariamente in un vicolo cieco. Coloro che la riducono alla sola dimensione giuridica, la amputano del suo significato politico, come se l'ordine giuridico potesse essere interamente chiuso in se stesso, trascurando il principio di legittimità: inversamente, coloro che la riportano al significato politico di principio di legittimità, la identificano con un'ideologia ed ignorano la dimensione giuridica chiaramente contenuta nella nozione di prerogativa giuridica e di atto di sovranità"10.

Appare evidente, dalle parole testè citate, il tentativo di superare la dialettica Kelsen-Schmitt, che ha rappresentato una schermaglia scientifica, non scevra da contenuti politicoideologici di entrambi 11, che ha avuto quale oggetto tutti i più importanti argomenti del diritto pubblico e della teoria dello Stato: il concetto di Stato, quello di sovranità, ed, inevitabilmente, il rapporto tra Stato, sovranità e Costituzione.

Sia Kelsen sia Schmitt sono finiti, però, in quel vicolo cieco cui si è fatto precedentemente riferimento, poiché entrambi attraverso o la negazione della dimensione politica Page 145 della sovranità, o la netta separazione tra politica e diritto nella ricostruzione concettuale della sovranità, hanno finito per considerare politica e diritto come ambiti separati, se non giustapposti 12.

Ciò ha condotto i due grandi giuristi del novecento alla considerazione della Costituzione come mero atto giuridico, poiché entrambi hanno escluso il contratto sociale dali' analisi giuridica. Invece, la dottrina di colui che può certamente essere considerato il fondatore della scienza giuridica moderna, Thomas Hobbes, che torna di frequente nella ricostruzione del nostro lavoro, ha dimostrato che "il popolo può agire solamente dopo essersi costituito, ed occorre un patto sociale per pensare questa unità"13. L'unità politica diviene unità giuridica, entrambe, rapportate al discorso sulla relazione tra sovranità e Costituzione, si rinvengono nell'unità dei principi fondamentali della Costituzione, intesa come atto costituente del popolo sovrano. Un'indagine, dunque, incentrata "sull'atto costituente è conforme al metodo di riduzione del principio politico al diritto" 14.

Si accoglie dunque una concezione del rapporto tra sovranità e Costituzione che si emancipa dalla dialettica KelsenSchmitt. Kelsen, com'è noto, rifiutava qualsiasi tipo di fondamento politico della Costituzione. Fondava la Costituzione su due elementi: l'uno positivo, l'atto di volontà giuridi- Page 146 camente rilevante, l'altro logico-formale, la norma suprema, fondamentale.

Nella ricostruzione di un coerente e logico sistema laico15, egli sostituiva all'unità sostanziale, un'unità giuridica e formale, nella quale si ritrovava una critica radicale alla sovranità, al concetto politico di sovranità, ma nello stesso tempo la "sua finale trasformazione e il suo compimento''16. La sovranità di Kelsen era la sovranità del diritto, nella quale scompariva il riferimento al contenuto della norma, che veniva assunta esclusivamente nella sua componente formale. In questo sistema "la sovranità è dunque una qualità funzionale, esprime una relazione logica; il suo unico senso è quello formale - funzionale, mai quello sostanziale. Non c'è per Kelsen un 'soggetto sovrano'in carne ed ossa la cui sostanza sia quella dell' essere sovrano. Il sovrano è dissolto e risolto in norma fondamentale" 17. Se per Schmitt il fondamento è esterno alla norma, per Kelsen esso è interno alla stessa18. Page 147

Carl Schmitt, dal canto suo, affermava che la Costituzione è una "decisione politica fondamentale del titolare del potere costituente"19, di un potere costituente e sovrano che non si dissolve nell' atto di dar vita alla Costituzione, fondando quindi la sovranità della Costituzione come norma, ma resta accanto e al di sopra della Costituzione20. Un potere "politico", giustapposto alla Costituzione, non dissolto nella stessa. Il fondamento politico restava dunque a caratterizzare "l'identità" della Costituzione, che si creava intorno ai valori di una determinata società21 . Eravamo dinanzi alla disputa ai massimi livelli, ed ancora oggi molto attuale, tra i sostenitori delle definizioni formali o materiali del diritto22. Ed era il problema Page 148 che investiva il concetto stesso di Costituzione, il suo significato ultimo: "norma neutra autogarantita (Konstitution), secondo la linea Laband-Jellinek-Kelsen, o «concreta condizione generale dell 'unità politica e dell' ordinamento sociale di un determinato Stato» secondo la definizione schmittiana"23.

A vvertiamo l'esigenza di andare oltre la dialettica Kelsen- Schmitt, cogliendo la necessità di considerare la Costituzione come atto fondante l'unità politica del popolo sovrano, che non resta giustapposta accanto e/o al disopra della Costituzione, o non si dissolve nella Legge costituzionale sovrana, ma si incarna, divenendo quiescente, nei principi/fini materiali della stessa Costituzione, di ciò che essa esprime come momento dell'identità sociale, dell'unità politica e sociale24.

La sovranità del popolo viene concepita quale limite alla sovranità dello Stato, coesistendo entrambe le sovranità nel concetto stesso di Costituzione e di Stato costituzionale25 . Si concepisce la Costituzione, da un lato come principio di unità politica e sociale, un'unità che si incarna nei "principi fondamentali" della stessa carta costituzionale, dall'altro quale limite all'esercizio del potere degli organi costituiti, all'esercizio del potere costituito26. Page 149

Dunque, come è stato osservato, il "potere costituente e l'atto costituente sono per la sovranità dello Stato di cittadini (Stato costituzionale) ciò che il principe e la legge erano per la sovranità dello Stato di sudditi"27.

Tutto quanto sinora sostenuto, che meriterebbe certamente un ulteriore approfondimento posto che si versa in settori nevralgici dello studio del diritto costituzionale e della teoria dello Stato, appare però estremamente interessante se rapportato allo studio della laicità dello Stato, e soprattutto se si ponga mente ai problemi cui sta andando incontro il dibattito italiano sul "principio supremo della laicità" dello Stato, affermato ormai quasi vent' anni or sono dalla sentenza n. 203 del 1989 della Corte costituzionale.

La laicità dello Stato, come si è già detto, appare intimamente legata alla sovranità. Ciò, per varie ragioni che attengono da un lato alla dimensione politica della laicità, al discorso sul fondamento del potere, alla legittimità del potere28. Come la sovranità, la laicità è connessa ad una duplice dimensione, politica e giuridica. Essa appare un logico corollario della sovranità, della quale rappresenta un aspetto oltremodo essenziale, poiché concerne la dinamica delle relazioni con il fenomeno religioso in senso lato. Se, infatti, la sovranità è la "negazione di una fondazione extrasociale della «legge», la negazione di ogni autorità esterna e trascendente"29, la laicità indica la totale separazione del potere politico da un fondamento religioso, dal potere religioso, così come la negazione di un fondamento morale/religioso della legge. Dunque, non soltanto separazione di poteri, ma anche separazione di grandezze Page 150 morali: politica e religione. In questo senso, la laicità è legata indissolubilmente alla sovranità, al dinamismo della sovranità. La società laica, lo Stato...

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