Le conseguenze derivanti dall'omessa lettura del dispositivo della sentenza nel rito locatizio

AutoreAldo Carrato
Pagine289-292
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giur
Arch. loc. e cond. 3/2015
LEGITTIMITÀ
2.1. Il motivo va accolto sulla base del principio con-
solidato affermato dalla giurisprudenza di legittimità - ed
applicabile nella specie essendo stata la sentenza decisa
con il rito ordinario secondo il quale «Nelle controversie
soggette al rito del lavoro l’omessa lettura del dispositivo
all’udienza di discussione determina, ai sensi dell’art. 156,
secondo comma, c.p.c., la nullità insanabile della senten-
za per mancanza del requisito formale indispensabile
per il raggiungimento dello scopo dell’atto, correlato alle
esigenze di concentrazione del giudizio e di immutabilità
della decisione, dovendosi ritenere, ove l’omissione abbia
riguardato la decisione assunta dal giudice d’appello, che
la Corte di cassazione, qualora la nullità sia stata dedotta
come motivo di impugnazione, debba limitare la pronun-
zia alla declaratoria di nullità con rimessione della causa
al primo giudice senza decidere nel merito, trovando ap-
plicazione tale ultima regola, desumibile dagli artt. 353 e
354 c.p.c., esclusivamente nei rapporti tra il giudizio di
appello e quello di primo grado» (Cass. 8 giugno 2009, n.
13165).
3. Resta assorbito il secondo motivo, posto come alter-
nativo al primo, con il quale si deduce la violazione degli
artt. 325 e 426 c.p.c. e del principio del giusto processo ex
art. 111 cost.
4. Pertanto, la sentenza impugnata va cassata, con
rinvio alla Corte di appello di Palermo, in diversa com-
posizione, alla quale competerà pronunciarsi anche sulle
spese processuali del giudizio di legittimità. (Omissis)
le Conseguenze derivAnti
dAll’omessA letturA del
dispositivo dellA sentenzA
nel rito loCAtizio
di Aldo Carrato
Da un punto di vista generale si rileva che, nel rito del
lavoro (sulla struttura del quale è tendenzialmente con-
formato anche il rito locatizio, alla stregua dei complessivi
richiami al suddetto tipo di processo previsti dall’art. 447
bis c.p.c.), una volta esaurita l’istruzione della causa (1) e
ritenuta la stessa matura per la decisione, il giudice invita
le parti alla discussione (2) in seguito alla quale – alla
stregua dell’art. 429, comma 1, c.p.c., come sostituito per
effetto dell’art. 53, comma 2, del D.L. 25 giugno 2008, n.
112, conv., con modif., nella L. 6 agosto 2008, n. 133 (3)
(come richiamato nel comma 1 del citato art. 447 bis) -
emana la sentenza, provvedendone a dare immediata
lettura del dispositivo, con la contestuale motivazione
consistente nella esposizione delle ragioni di fatto e di di-
ritto della decisione (4). Nelle ipotesi di particolare com-
plessità della controversia, lo stesso comma 1 dell’art. 429
(come novellato) sancisce che il giudice può f‌issare nel
dispositivo un termine, non superiore a sessanta giorni,
per il deposito della sentenza.
Sulla scorta del citato comma 1 dell’art. 429 (come
riformulato) del codice di rito (5) (da applicarsi anche ai
giudizi locatizi instaurati a far data dal 25 giugno 2008),
pertanto, il modello decisorio ordinario si identif‌ica, ora,
con quello della contestuale lettura del dispositivo e della
concisa motivazione in fatto e diritto, mentre quello ricon-
ducibile alla suddistinzione tra il momento della lettura
del dispositivo ed il successivo deposito della sentenza
integrale (comprensiva di motivazione) – che prima era
quello esclusivo tipico di tale rito – è divenuto residuale,
essendo stato riservato ai casi particolarmente comples-
si che non consentono il soddisfacimento delle esigenze
tendenziali di concentrazione ed immediatezza a cui è im-
prontato lo stesso rito. In questo secondo caso, la suddetta
norma come modif‌icata prevede per il giudice il termine
(invero ordinatorio, siccome la sua violazione non è assi-
stita da alcuna sanzione) non superiore a sessanta giorni
per il deposito della sentenza, in sostituzione di quello
precedente contenuto in quindici giorni.
A tal proposito si è dibattuto sulla sopravvenuta incom-
patibilità tra il disposto del novellato comma 1 dell’art. 429
in discorso e quello di cui all’art. 430 c.p.c. che continua
a prevedere, non essendo stato espressamente abrogato,
il termine di 15 giorni per il deposito della sentenza. Gli
orientamenti scientif‌ici (6) che per prima si sono occupati
della questione, proprio in virtù dell’intervenuta incompa-
tibilità tra le due disposizioni normative (ai sensi dell’art.
15 delle cc.dd. preleggi), ha ritenuto conf‌igurabile la taci-
ta abrogazione della precedente norma che prevedeva un
termine inferiore.
La nuova disciplina prevista per la fase decisoria del
processo del lavoro ha, in un certo senso, da un lato,
legittimato la precedente interpretazione dottrinale (e
di un settore della giurisprudenza) (7) sull’estensibilità
al processo del lavoro (e, quindi, a quello in materia di
locazioni) dell’applicabilità del pregresso art. 281 sexies
c.p.c. relativo alla previsione della “decisione a seguito di
trattazione orale” nel rito ordinario dinanzi al tribunale e,
dall’altro lato, ha anticipato la nuova disciplina dello stes-
so giudizio ordinario di cognizione per come contemplata
dalla recente legge 18 giugno 2009, n. 69, con riferimento
alla modif‌icata (e snellita) struttura della motivazione
della sentenza che, ora, ai sensi del novellato n. 4) dell’art.
132 c.p.c. (per effetto dell’art. 45, comma 17, della citata
L. n. 69 del 2009), deve contenere “la concisa esposizione
delle ragioni di fatto e di diritto della decisione” (anziché
“la concisa esposizione dello svolgimento del processo
e dei motivi in fatto e in diritto della decisione”), nella

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