I Nuovi termini di custodia nella ratio del d.l. 341/2000 Conv. In l. 4/2001: Una esplicita consapevolezza di volontà a venir fuori da una situazione di impasse che ha afflitto l'impianto dei termini custodiali

AutoreCarlo Dell'Agli
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@1. Premessa

Il decreto-legge del 24 novembre 2000 n. 341, recante le «Disposizioni urgenti per l'efficacia e l'efficienza dell'amministrazione della giustizia», secondo la ratio della relazione Governativa, rende ben intellegibile le ragioni di un intervento urgente - per la speditezza celebrativa dei processi - ove emerge con molta chiarezza, che l'unico intento, che si è voluto assegnare alla stessa relazione, è quello di scongiurare le gravi pregiudizialità ed i mali endemici che hanno vulnerato il processo penale i cui presupposti hanno dato luogo a «scarcerazioni di imputati nei cui confronti permangono concrete esigenze di cautela processuale e finale o addirittura condannati per reati particolarmente gravi a pene elevate» (v. Relazione Governativa al decreto-legge 341/2000).

Non soltanto, ma ad offrire, in maniera ampia e con ulteriore dimostrazione di volontà, una maggiore tutela al cittadino che si vede continuamente leso un diritto subiettivo.

Tali scopi - rispondenti di certo all'attuale necessità sostanziale ed evolutiva della società - conducono ad un comune denominatore id est al recupero dei valori che si sostanzia, in concreto, nel bisogno di anticipare e sottoporre ad una pena le eventuali offese al bene o all'interesse nella difesa dei quali è riconosciuto il motivo cardine del criterio valutativo dell'aspetto processuale penale.

Il canone relativo di tale considerazione, nella sua più semplice espressione, sembrerebbe però non fare ammenda alle attuali contingenze ed esigenze di una odierna società così strutturata.

Si noti, al riguardo, come l'urgente intervento del considerato provvedimento legislativo, benché la sua positività, ponga una serie di questioni applicative che danno luogo, inevitabilmente, ad una sequela di problematiche di diritto intertemporale con la conseguente inflizione mortificatoria alla materia processuale.

Certo la disposizione della norma riformatrice, sotto l'aspetto tecnico-formale, non sembra apparire molto chiara tant'è che si è dovuto, successivamente, procedere alla immediata revisione in sede legislativa di conversione.

Tali prospettive, nella riesamina ed interpretazione dei nuovi criteri valutativi della adottata riforma, non riflettono - a modesto parere di chi scrive - certamente le reali necessità di intervento sul c.d. «garantismo» e tanto meno il tentativo sforzo di rendere più vaste le dimensioni di un moderato equilibrio tra difesa ed accusa ma l'eventuale timore di deterioramento della qualità processuale e dei suoi principi del garantismo penale.

Non resta, a questo punto, che chiedersi se l'iter da percorrere dalle norme del decreto, apportate dal Governo per fronteggiare gli endemici mali che hanno mortificato la durata delle misure, sia effettivamente il solo esistente e praticabile o, quanto più possibile, il più aderente, il più armonioso alla difesa e alla tutela delle necessità ad esso sottesi, che ci si auspica sussumibile nel modello fissato dal legislatore.

Non è difficile, in tali termini, comprendere la tanto agognata aspirazione - in questi ultimi anni - di rendere più commisurata ed efficace la funzione della pena «intesa assai più come trattamento idoneo alla rieducazione e al recupero del soggetto o comunque ad una lotta contro la sua pericolosità che non come mera riaffermazione giuridica contro la violazione del precetto legislativo» 1.

Malauguratamente gli àmbiti limitati di una dottrina, invero, non concedono - in queste brevi note - di andare incontro con risolutezza ad una questione che si stima molto più complessa di quanto la previgente giurisprudenza non rivelasse.

Alla stregua, dunque, di tali brevi considerazioni prendiamo in esame il capo primo del provvedimento legislativo, che introduce le modifiche nonché le integrazioni apportate alle norme codicistiche (anche di quelle, ovviamente, di collegamento), in tema di termini di custodia cautelare, volti a tutelare la sicurezza dei cittadini e, nel quadro normativo di tale disciplina processuale penale, studiati decisamente «con l'obiettivo di razionalizzare la disciplina inerente ai procedimenti nei confronti o di condannati per gravi reati che si trovino in stato di custodia cautelare e per i quali un ritardo nella trattazione dei procedimenti potrebbe comportare la rimessione in libertà per scadenza dei termini custodiali» 2.

@2. La custodia cautelare nella ratio del decreto legge e le innovazioni apportate

Il recente intervento di riforma - apportato dal Governo, e battezzato dal Parlamento - al codice di procedura penale ed in particolare al tema riguardante la durata della custodia cautelare (anche ad altri temi riguardanti la giustizia penale), rappresenta la decantazione di elementi deteriori che caratterizzavano il tessuto dell'originaria formulazione nella quale, com'è noto, non rifletteva quell'aspetto della normativa ove, con sincero vaglio critico, era assente ogni soluzione armoniosa con le peculiarità delle esigenze dei valori fondamentali (libertà individuale e funzione difensiva nel processo) ai quali si vuole, in maniera auspicabile, attribuire una maggiore tutela.

La prima modifica riguarda l'aggiunta, all'art. 303 dell'art. 1, comma 1 del codice, del comma 1-bis il quale prevede che la parte residua dei termini, non portati a fine nella fase 3 precedente, si viene a sommare ai termini previsti per ciascuna fase o grado successivo.

I termini non trascorsi della fase o del grado precedente, in buona sostanza, secondo la ratio del testo legislativo, vengono travasati nella fase o nel grado successivo attuando, in termini concreti una struttura - fermo restando il meccanismo processuale della durata della custodia - collegata al principio della cumulabilità dei termini delle fasi contigue avuto riguardo della chiarezza della disposizione decretata.

Sul punto, la disputa dottrinale è piuttosto intensa, anche se non ancora suffragata da univoci atteggiamenti decisivi 4. Page 582

Tale impostazione, giustificatrice della norma riformata, è ispirata essenzialmente ad una ragione fondamentalmente strutturata sulla non ritenuta considerazione del principio della reciproca autonomia dei termini intermedi e su quello - in direzione opposta - secondo il dettato della disciplina riformata, della cumulabilità.

Nella previgente formulazione del codice, in tema di termini massimi di durata della custodia, la segmentazione di tali termini in ordine alle singole fasi processuali e in reciproca autonomia presupponeva che la celerità della totale cessazione di una fase e quindi il suo impiego dei termini per questa disciplinati, non potevano essere nella...

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