Conoscere attraverso le massime d'esperienza, ovvero giudicare una realtà pensata

AutoreAntonio Forza
Pagine920-922

Page 920

@1. Premesse

Questa pronuncia si iscrive a pieno titolo nel novero di quelle sentenze, nelle quali prevale l'idea che l'intuizione personale del giudicante sia così forte da sostituirsi alla scienza nella formulazione delle generalizzazioni causali e dove il libero convincimento si intromette in un giudizio che qualcuno, già commentando una sentenza da problematiche non dissimili, ha definito «di finta legittimità» 1.

Pensando di risolvere il dissidio senza fine tra legittimità e merito, il nostro legislatore aveva affidato al giudizio di legittimità il dominio della logica ed aveva lasciato al merito lo spazio della persuasione.

Logica è cosa diversa dalla persuasione: mentre la prima rappresenta il metodo oggettivo di verifica della compatibilità razionale tra la motivazione della sentenza e le risultanze processuali, la seconda investe il fatto soggettivo di una decisione che deve convincere innanzitutto la collettività e poi l'eventuale giudice d'appello, attraverso un percorso argomentativo credibile 2.

La «logica» del giudizio di merito non è di tipo dimostrativo, ma argomentativo.

L'accettabilità di un argomento non dipende solo dalla coerenza razionale delle conclusioni, rispetto alle premesse, ma anche della condivisibilità delle premesse medesime. E l'argomento porta, inevitabilmente, a parlare delle cosiddette massime d'esperienza e dei limiti di sindacato sulle stesse nel giudizio di legittimità, introducendo una ricca problematica culturale e giuridica 3.

La sentenza, che qui si annota, si segnala non solo per l'essersi sottratta a quella sorta di «asettica neutralità», che la Suprema Corte dovrebbe mantenere sul contenuto delle massime d'esperienza utilizzate dal giudice di merito, ma per aver autorevolmente fissato alcuni criteri inferenziali che parrebbero andare in senso opposto alle acquisizioni della moderna scienza psicologica. E questo è il tema sul quale vorremmo soffermarci 4.

@2. Le massime d'esperienza

La Suprema Corte, condividendo nella sostanza il ragionamento della Corte territoriale, completa l'argomentazione sottolineando due passaggi apparentemente logici ma, aggiungiamo noi, sicuramente contrari alle evidenze più recenti della psicologia in tema di testimonianza del minore.

Viene così sostenuto che le dichiarazioni di un bambino, con il progressivo allontanamento dal periodo in cui i fatti si sono verificati, diventano quasi naturalmente fantasiose, specie in quelli più piccoli, in considerazione delle presunte aspettative dell'interlocutore o a causa di esperienze successive che inducono ad elaborare i dati reali in termini fantastici.

Si aggiunge, poi, che è sempre possibile per il bambino costruire racconti di carattere sessuale, anche senza aver vissuto direttamente l'esperienza, purché abbia maturato una conoscenza, sia pur in termini vaghi e confusi, in materia sessuale. Pertanto, una bambina di tenerissima età, priva di qualsiasi substrato cognitivo, non avrebbe potuto elaborare o falsare un materiale, al di fuori di un'esperienza diretta.

Si conclude, infine, sottolineando che le dichiarazioni della bambina trovarono indiretta conferma nelle conclusioni del medico-legale, che aveva riconosciuto l'esito cicatriziale compatibile con l'ipotesi di abusi sessuali.

Al di là del fondamento dei principi enunciati, dei quali si dirà più oltre, i giudici di legittimità hanno seguito quell'orientamento che vuole la Cassazione legittimata, non solo a fissare principi astratti in diritto, ma anche a verificare la congrua applicazione dei principi probatori utilizzati. Nel caso in esame la sentenza ha infatti sottoposto a verifica il contenuto delle massime d'esperienza, utilizzate dai giudici di merito per valutare le dichiarazioni della piccola 5.

Le massime d'esperienza, per stessa definizione della S.C., vengono intese come enunciazioni o giudizi ipotetici di contenuto generale, indipendenti dal caso concreto, sul quale il giudice è chiamato a decidere, acquisiti con l'esperienza, ma autonomi rispetto ai singoli casi, dall'osservazione dei quali sono dedotti ed oltre i quali devono valere per nuovi casi. Tra i criteri di valutazione utilizzabili dal giudice, per vagliare il fondamento della prova, assieme alle leggi scientifiche vi sono le massime d'esperienza, che si collocano nell'area del libero convincimento. Nella valutazione degli indizi, esse si pongono quali premesse maggiori del sillogismo, normativamente imposto dall'art. 192 comma 2 c.p.p. Gli indizi costituiscono, invece, la premessa minore. La prova del fatto si cristallizza definitivamente come risultato della operazione logico-induttiva 6.

Già prima del codice del 1988 i giudici avevano sempre fatto largo ricorso alle massime d'esperienza, ritenendole indispensabili per pervenire ad una decisione, frutto di scelte razionalmente argomentate.

Ma mentre le leggi scientifiche hanno un grado di condivisione pressoché universale, le massime d'esperienza sono reperite dal giudice attingendo alla comune esperienza, all'id quod plerumque accidit e, sovente, alla propria personale esperienza 7.

Con una felice espressione FERRUA le ha definite come una sorta di categoria retorica a metà tra la scienza e l'ideologia 8.

@3. Le massime di esperienza ed i loro contenuti

Ma quali sono nei loro contenuti le massime d'esperienza vagliate dalla Corte, che corrono il rischio di diventare un principio astratto generale di valutazione della credibilità dei bambini in tenera età, vittime di abusi sessuali?

La prima massima, per così dire omologata e condivisa, stabilisce che la narrazione dei bambini, più si allontana temporalmente dai fatti, più si fa sfuocata e fantasiosa, per la concomitante influenza degli eventi successivamente vissuti e della naturale tendenza infantile ad assecondare le domande dell'interlocutore. Dal che devono essere valutate con credito maggiore le iniziali indicazioni che le piccole vittime forniscono nelle prime narrazioni. È quasi fisiologica allora la bugia e l'elaborazione fantasiosa «ineliminabile tendenza dei bambini, soprattutto in tenera età», purché ciò si verifichi non all'inizio della collaborazione con l'Autorità Giudiziaria, ma in un momento successivo.

L'assunto sembra ispirato ad un criterio logico, quasi un'annotazione di buon senso, ma è del tutto erroneo se confrontato con le più recenti acquisizioni e conferme della scienza psicologica 9.

Page 921

È significativo l'interrogativo posto dal famoso neuropsichiatra infantile Daniel Marcelli laddove si chiedeva non tanto «perché i bambini mentono?» ma, anzi, «perché talvolta dicono la verità?», quasi rispondendo alla stessa domanda che divenne il titolo della celebre opera di Ekman 10.

L'affermazione secondo la quale il bambino più è...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT