Condominio e diritto all'equa riparazione per durata irragionevole del processo

AutoreArcangela Maria Tamburro
Pagine254-257
254
dott
3/2015 Arch. loc. e cond.
DOTTRINA
Condominio e diritto
All’equA ripArAzione
per durAtA irrAgionevole
del proCesso
di Arcangela Maria Tamburro
SOMMARIO
1. Iustitia protracta e legittimazione processuale attiva. 2.
Condominio e processo per iustitia protracta; 2-1) Segue. La
soluzione delle Sezioni Unite: “Tutti per uno, uno per tutti”.
3. Considerazioni conclusive.
1. Iustitia protracta e legittimazione processuale attiva
L’art. 6, par. 1, della Convenzione per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratif‌ica-
ta con L. 4 agosto 1955, n. 848 (come del resto, l’art. 47
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea)
riconosce il diritto di ogni persona a che la sua causa
giudiziaria sia conclusa (o esaminata) entro un termine
ragionevole. La sua violazione comporta, previo ricorso
della parte lesa alla Corte europea dei diritti dell’uomo
e dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interne, la con-
danna dello Stato a risarcire il danno subito dalla persona
per effetto della disfunzione dell’apparato giudiziario che,
in quanto tale, non riesce a garantirlo (artt. 34, 35 e 41
CEDU).
Al f‌ine di arginare la marea di ricorsi che inondavano la
CEDU per violazione del predetto diritto, lo Stato italiano
ha dovuto emanare la l. 24 marzo 2001, n. 89, la quale di-
sciplina il procedimento giudiziario per ottenere una equa
riparazione per il danno patrimoniale o non patrimoniale
subito per effetto della violazione dell’art. 6, par. 1, della
CEDU. La norma cardine della citata legge è l’art. 2,
comma 1, che così recita: “Chi ha subito un danno patri-
moniale o non patrimoniale per effetto di violazione della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali, ratif‌icata ai sensi della legge 4
agosto 1955, n. 848, sotto il prof‌ilo del mancato rispetto del
termine ragionevole di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della
Convenzione, ha diritto ad una equa riparazione”. Si tratta
della disposizione che ha il precipuo ruolo di delineare il
soggetto legittimato a chiedere il relativo risarcimento del
danno.
La formulazione della norma in oggetto si mostra
alquanto generica ma chiara dal punto di vista lessicale:
infatti, l’uso del pronome relativo indef‌inito, «chi», lascia
intendere che la legittimazione attiva spetti a ogni per-
sona, f‌isica o giuridica, purché abbia assunto la veste di
parte in senso sostanziale che di parte in senso formale
nel processo presupposto ed abbia subìto un danno per
effetto della irragionevole durata del processo medesimo.
Tuttavia, sulla questione della legittimazione attiva in
oggetto non vi è mai stata uniformità di vedute in giuri-
sprudenza.
In diverse occasioni, la giurisprudenza di legittimità
ha sempre affermato che “il diritto alla trattazione delle
cause entro un termine ragionevole è riconosciuto dall’art.
6, par. 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali, specif‌icamente
richiamato dall’art. 2 della L. 89/01, solo con riferimento
alle cause proprie e quindi esclusivamente in favore delle
parti della causa nel cui ambito si assume avvenuta la
violazione e non anche in favore dei soggetti che siano ad
essa rimasti estranei” (così, Cass., sez. I, 14 maggio 2010 n.
11761, in Foro it., Rep. 2010, voce Diritti politici e civili, n.
227), “essendo irrilevante, ai f‌ini della legittimazione, che
questi ultimi possano aver patito indirettamente dei danni
dal protrarsi del processo” (Cass., sez. I, 23 agosto 2005 n.
17111, che ha escluso la legittimazione in merito del socio
di società di capitali che sia stata parte del processo pro-
lungatosi oltre il termine ragionevole, neanche in caso di
sopravvenuto fallimento della società medesima e di iner-
zia della curatela, non essendo egli immediatamente inciso
dai pregiudizi correlati alla durata irragionevole del pro-
cesso; in tal senso, si veda anche Cass., sez. I, 18 luglio 2006
n. 16440 e Cass., sez. I, 12 luglio 2011 n. 15250). Mentre,
solo in una occasione la Suprema Corte ha riconosciuto la
legittimazione attiva a colui che abbia avuto la veste tanto
di parte in senso sostanziale che di parte in senso forma-
le, “essendovi situazioni in cui le due qualità sono scisse,
appartenendo a soggetti diversi”. In tal caso, secondo la
Suprema Corte, “ciò che rileva è che un determinato sog-
getto abbia subito un danno in conseguenza dell’eccessiva
durata di un processo e che costui sia il destinatario degli
effetti della sentenza; il fatto di essere parte soltanto in
senso processuale rileva, invece, ai f‌ini dell’accertamento
in concreto della sussistenza della violazione” (Cass., sez.
I, 15 dicembre 2006 n. 26931). Ne consegue che debbano
ritenersi legittimati attivi ad ottenere un equo indennizzo
per l’irragionevole durata del processo anche gli eredi delle
parti, i loro aventi causa, e, ove la parte sia un soggetto
collettivo (persona giuridica), i singoli associati o soci, a
seconda del caso, anche se nel processo presupposto si
siano costituiti in persona del legale rappresentante del
soggetto collettivo (società, associazione, ente e simili) e
purché dimostrino di aver subito un danno patrimoniale o
non patrimoniale per l’eccessiva durata del processo.
L’impostazione giurisprudenziale da ultimo illustrata si
mostra, ad avviso di chi scrive, più coerente con il dettato
normativo europeo, che, utilizzando per l’appunto l’espres-
sione generica “ogni persona”, lascia intendere che, senza
distinzione di sorta, tutti coloro che siano stati parti, so-
stanziali o formali, di un processo dalla durata irragione-
vole abbiano diritto ad ottenere un equo indennizzo. Si os-
serva che un associato o socio è per principio parte di un
processo, anche se esso sia stato instaurato dal soggetto

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