Le condizioni obiettive di punibilità

AutoreMaria Grazia Maglio/Fernando Giannelli
Pagine183-200

Page 183

@1. Caratteri generali.

L'art. 44 c.p. recita: «(Condizione obiettiva di punibilità). Quando, per la punibilità del reato, la legge richiede il verificarsi di una condizione, il colpevole risponde del reato anche se l'evento, da cui dipende il verificarsi della condizione, non è da lui voluto».

La condizione in esame non deve necessariamente coincidere, quanto a struttura, con la condizione rilevante jure civili: quest'ultima è sempre futura, mentre la prima può anche essere concomitante (PANNAIN, CURATOLA).

L'istituto era sconosciuto sia sotto il vigore dei codici preunitari, sia nel codice Zanardelli.

La regola, in diritto penale, è la punibilità incondizionata, e, quindi, l'istituto ha carattere eccezionale. Pertanto, anche ad ammettere l'analogia nel diritto penale, essa sarebbe, nel caso di specie, vietata.

Ciò sfuggiva, forse, al CARACCIOLI, quando, nell'intento di introdurre la possibilità del tentativo nei delitti omissivi propri, avrebbe voluto trattare la scadenza del termine alla stregua di una condizione obiettiva di punibilità, ed a MAURO LEONE, quando, nell'intento di arretrare la tipicità della condotta nei casi di preordinazione dello stato di incapacità alla commissione di un reato, vorrebbe includere nel novero dei casi di condizione obiettiva di punibilità la commissione del reato di cui al fine considerato nell'art. 87 c.p. Il CARACCIOLI, ora, non ammette più il tentativo nei reati omissivi propri (GIULIANI, BALESTRINO).

Se è innegabile che l'istituto di cui all'art. 44 c.p. ha la forza di porre un limite alla punibilità, ci si deve pur sempre chiedere se la condizione obiettiva di punibilità integri un reato, o la presupponga.

Orbene, di fronte a tale interrogativo l'ANTOLISEI, pur sostenendo che la antigiuridicità non sia un elemento del reato, ma l'essenza dello stesso, ritiene che la condizione obiettiva di punibilità trovi un reato già perfetto, solo condizionandone la punibilità; il PANNAIN, invece, anch'egli sostenitore della tesi che vuole il reato bipartito, e non, invece, tri o quadripartito (BATTAGLINI, MARINUCCI, DOLCINI), afferma che la condizione di cui si tratta, se non può negarsi che sia fuori del fatto (DELITALA, ma, contra, LEONE), fa parte, comunque, del reato, che non potrà mai essere scisso dalla punibilità, unica epifania pratica, e concreta, dell'antigiuridicità che possa dirsi rilevante per il diritto penale (VANNINI, PETROCELLI, BRICOLA).

Noi crediamo che sia nel giusto la seconda tesi.

Il legislatore penale, nel dare alla luce un reato, lo «partorisce» dotato di precetto e di sanzione; se mancano cause di giustificazione, che sono l'antitesi della vita dell'entitàreato esso, ceteris paribus (in presenza, ad esempio, di imputabilità), «funziona»; il legislatore può condizionare questo meccanismo, obbedendo al principio, sviluppatosi specialmente in Francia, dell'opportunità (GIULIANI BALESTRINO, PANNAIN) (in Germania: Opportunitaetsprinzyp).

E ciò rappresenta un fenomeno particolarmente interessante nel nostro sistema processuale, ispirato al principio dell'obbligatorietà dell'azione penale (art. 50 c.p.p. - già art. 1 c.p.p. 1930), come dettato anche dalla nostra Costituzione (art. 112: «Il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale»).

Non deve trarre in inganno il fatto che l'art. 44 c.p. parli di «colpevole», poiché, all'evidenza, l'espressione è riferita al momento in cui la condizione si è verificata (DELITALIA, MASSARI, FINZI, CURATOLA, DELOGU, MUSOTTO, PANNAIN, SALTELLI, ROMANO DI FALCO, VANNINI, MANZINI, ESCOBEDO, FROSALI, NUVOLONE, BRICOLA, RAMACCI, ANTONINI, FIORE) (contra: ANTOLISEI).

L'evento cui si allude nel corpo della disposizione non è l'evento in senso tecnico (PANNAIN, CURATOLA), poiché sarebbe stato del tutto fuor di luogo «condizionare» la punibilità alla lesione del bene giuridico, che ne costituisce momento fondamentale; in secundis, la condizione di punibilità è un istituto eccezionale, mentre la verificazione dell'evento da cui dipende l'esistenza del reato è un requisito imprescindibile.

Trattasi, quindi, di evento in senso atecnico (PANNAIN, SANTANIELLO, MARUOTTO). D'altronde, lo stesso art. 44 c.p. parla di evento da cui dipende il verificarsi della condizione, e non di evento dannoso o pericoloso da cui la legge fa dipendere l'esistenza del reato.

Con le cond. ob. di pun. non vanno confusi, di certo, i presupposti del fatto, o, meglio, come giustamente osserva l'ANTOLISEI, della condotta, poiché quei presupposti sono parte integrante del fatto, tanto è vero che si può cadere in errore riguardo ad essi.

Invece, quanto ad alcuni di questi presupposti parlano di condizione obiettiva di punibilità il MANZINI, il MARINI, il PEDRAZZI, ed una parte della giurisprudenza, per vero superata (PICOTTI): s'allude alla pubblicità del luogo nell'ambito dei delitti di cui agli artt. 247-251 c.p.

Nella critica alla tesi suddetta concordano sia la dottrina che pone la condizione obiettiva di punibilità «dentro» il reato, sia quella che lo pone «fuori», poiché entrambe asseriscono l'estraneità della condizione al fatto di reato, in cui, invece, senz'altro, rientra il presupposto della condotta (ANTOLISEI).

Il PAGLIARO ed il MANGANO qualificano alla stregua di condizione obiettiva di punibilità la qualità di fallito nella bancarotta post-fallimentare. Ma si tratta di presupposto della condotta (ANTOSEI, GIULIANI BALESTRINO,Page 184 CURATOLA, PANNAIN, CONTI, LA MONICA, PAJARDI, COCCO, SCALERA).

L'art. 44 c.p. si esprime nel senso che l'«evento» può an che non essere voluto. Ma facciamo attenzione: quell'evento non è mai voluto in senso tecnico, poiché voluto, e in senso tecnico, è l'evento vero e proprio. Di più: l'evento cui fa riferimento l'art. 44 c.p. può anche non essere voluto in senso atecnico; invece il presupposto della condotta deve entrare nella rappresentazione dell'agente (ché, di certo, non può far parte di una «determinazione» - MANTOVANI -), il che non può assolutamente dirsi per la condizione obiettiva di punibilità.

Il tema delle condizioni obiettive di punibilità è fuori di quello della responsabilità per fatto altrui, e, quindi, nessun problema può sorgere di fronte al disposto dell'art. 27, primo comma, della Costituzione (ZANOTTI, NUVOLONE): se il legislatore permette ad accadimenti estrinseci al fatto di reato di influire sulla punibilità, non è che si risponde di un «fatto altrui» (contra: BRICOLA).

Si pensi, all'uopo, all'art. 2049 c.c.: qui condotta, danno e nesso di causalità materiale tra gli stessi sono addebitabili ad altri, il che non accade riguardo alle condizioni di cui si tratta, che, come detto, sono da tener fuori della struttura del fatto (DELITALIA, PETROCELLI, ANTOLISEI, PANNAIN, CURATOLA). Ma le condizioni obiettive di punibilità non costituiscono neanche dei casi di responsabilità oggettiva, poiché la responsabilità ex art. 42, terzo comma, c.p. riguarda l'evento in senso tecnico, non già quello di cui all'art. 44 c.p.

Il MANZINI intese ascrivere le condizioni obiettive di punibilità al campo della responsabilità oggettiva considerando che la formulazione dell'art. 44 c.p. era per alcun verso analoga a quella dell'art. 59, primo comma, c.p. (si è, naturalmente, in un momento anteriore alla riforma attuata con la legge 7 febbraio 1990, n. 19), ove erano poste a carico le circostanze aggravanti «anche se da lui non conosciute o per errore ritenute inesistenti».

Ascriveva, comunque, il caso delle condizioni obiettive di punibilità al novero di quelli di responsabilità oggettiva il FROSALI.

Ma bene nota lo ZANOTTI l'eterogeneità delle due situazioni, richiedendosi, quanto alle circostanze, il nesso di causalità materiale con l'operato dell'agente, e dovendo, invece, per trattarsi di condizioni obiettive di punibilità, trovarsi, le stesse, fuori del nesso di causalità materiale con l'evento in senso tecnico (DE MARSICO, ANTOLISEI, PANNAIN, CURATOLA).

La «somiglianza» intravista dal MANZINI, dobbiamo aggiungere, poteva, ad ogni buon conto, riguardare le sole circostanze estrinseche, estranee, come le condizioni in esame, al fatto.

D'altro canto, neanche le circostanze, e neanche prima della riforma del 1990, erano da considerare casi di responsabilità oggettiva, non essendosi nel campo dei rapporti psicologici con l'evento da cui dipende l'esistenza del reato (PANNAIN) (contra: MANZINI, ANTOLISEI).

Per altra via, molti, e molto valenti, autori (NUVOLONE, PAGLIARO, ANGIONI, VASSALLI, MANTOVANI, FIANDACA, MUSCO) hanno voluto ricondurre l'istituto che stiamo esaminando al novero dei casi di responsabilità oggettiva. Riprendendo la distinzione, dovuta alla dottrina tedesca, tra Tatbestandsmerkmahl e Handlungsmerkmahl, che s'usa adottare per distinguere i presupposti che debbono far parte dell'oggetto del dolo, poiché immediatamente connessi al disvalore della condotta (Handlungsunwert) (PAGLIARO, PROSDOCIMI, GIULIANI BALESTRINO) dai presupposti attinenti all'intera, globale, struttura criminosa, con opposti riflessi quanto ai rapporti con il dolo, si è voluto distinguere tra condizioni di punibilità intrinseche, corrispondenti ai presupposti intrinseci nella attinenza al carattere lesivo del fatto di reato, e condizioni di punibilità estrinseche, corrispondenti ai Tatbestandsmerkmaehle, quanto, stavolta, alla mancanza di relazioni con il carattere lesivo del fatto (Handlungsunwert - disvalore di condotta - è contrapposto ad Erfolgsunwert - disvalore di evento -) (MAZZACUVA, ALEO, PAGLIARO).

Esempio classico di condizione intrinseca, secondo il PAGLIARO, è la pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento (FIORE).

La formulazione dell'art. 44 c.p., secondo questa tesi, fungerebbe da «trasformatore» delle condizioni intrinseche in casi di responsabilità oggettiva, poiché si risponderebbe del verificarsi delle stesse a prescindere dalla consapevolezza di tanto; non si avrebbe responsabilità oggettiva, invece, nei casi di condizioni obiettive di punibilità estrinseche, attesa la...

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