La concreta incidenza dell'obbligo di verità a carico del dichiarante: un criterio essenziale per la valutazione del contributo probatorio delle dichiarazioni rese

AutoreMarcella Marcianò
Pagine595-605

Page 595

@1. Cenni introduttivi

- La sentenza in esame, nell'affrontare la questione della chiamata in correità, offre un'esegesi dell'art. 192, commi 3 e 4, c.p.p. che induce a svolgere alcune riflessioni sull'argomento, al fine di valutare entro quali limiti le conclusioni formulate siano condivisibili.

Per inquadrare meglio il problema, è opportuno precisare che, nel caso di specie, la condanna di due soggetti per un «omicidio di mafia» è stata fondata principalmente sulle dichiarazioni rese da un testimone assistito legato agli imputati da un vincolo affettivo persistente, che si trovava però, in una posizione di assoluta estraneità rispetto al fatto costituente oggetto del processo. Tale pronuncia fonda poi il proprio convincimento sui motivi che avevano condotto il testimone alla scelta collaborativa: la presa di coscienza della responsabilità nei confronti dei figli ai quali intendeva trasmettere valori esistenziali e morali estranei ad ogni cultura mafiosa. Un ulteriore elemento significativo, per valutare la credibilità del soggetto in oggetto, viene fondato sul concreto interesse dello stesso a non aggravare la propria posizione processuale.

Dall'analisi della motivazione della sentenza emerge, anzitutto, una certa elasticità della Corte di Assise nel valutare le intenzioni interiori del testimone assistito, mediante un'interpretazione della situazione psicologica in cui lo stesso si trovava. Questa sceltaPage 596 valutativa, condivisibile o meno sul piano della individuazione dei limiti entro cui debba muoversi il giudizio discrezionale del giudice, risulta ad ogni modo, sicuramente innovativa, nella misura in cui introduce un criterio interpretativo della chiamata di correità fondato sulla verifica della correlazione sussistente tra obbligo di verità del dichiarante ed entità dei riscontri. Pertanto essa, collocandosi tra quei provvedimenti che hanno affrontato in maniera dettagliata e attenta la materia de qua merita, senza alcun dubbio, un accurato approfondimento.

Al fine di esaminare tale questione, innanzi tutto, sembra opportuno qualche breve cenno sull'istituto della chiamata in correità.

Sebbene l'art. 192 c.p.p. non abbia subìto modificazioni incisive in seguito all'emanazione della legge n. 63 del 2001, la modifica dello statuto complessivo della prova dichiarativa ha avuto dei risvolti importanti anche in riferimento ai criteri di valutazione di tali dichiarazioni. In base ad un nuovo meccanismo legislativo, individuabile da uno studio complessivo delle norme che disciplinano la prova dichiarativa, la Corte d'Assise ha, dunque, proposto un criterio di individuazione dei riscontri esterni, richiesti dall'art. 192 comma 3 c.p.p., modulabile in relazione alla «tipologia» di testimone assistito e che tenga conto della sussistenza e della concreta incidenza dell'obbligo di verità a carico del dichiarante.

La dottrina, nei numerosi interventi seguiti all'introduzione dei principi del giusto processo nell'art. 111 della Costituzione, fin dai primi commenti ha posto in luce il rilievo sostanziale che la chiamata di correità assume, con riferimento alle dichiarazioni di imputato di reato connesso o collegato, nell'ambito dei processi per fatti di criminalità organizzata.

Partendo da questa premessa iniziale occorre, inoltre, proporre un'ulteriore riflessione: il fenomeno del «pentitismo» e della «collaborazione processuale», di soggetti appartenenti ad organizzazioni criminali di stampo mafioso, acquisiscono un rilievo essenziale al fine della conclusione di processi difficili. Pertanto, nonostante i gravi dubbi sulla potenziale ambiguità ed inattendibilità della «chiamata di correità» non sarebbe, in nessun caso, giustificabile un'eventuale rinuncia all'acquisizione probatoria delle stesse; non potendo mettersi in dubbio l'importanza che le dichiarazioni del coimputato assumono nell'ambito dei processi di mafia, essendo le stesse caratterizzate da un «surplus conoscitivo in relazione alle caratteristiche dei fatti oggetto di accertamento processuale». In questi termini la dottrina, in riferimento alle testimonianze rese da imputati o coimputati nel medesimo reato già giudicati e agli imputati di reato connesso o collegato che, rendendo dichiarazioni erga alios, divengono «testimoni assistiti» ex art. 197 bis c.p.p. (nonché alle figure riconducibili in via residuale al più ristretto ambito dell'art. 210 c.p.p.), ritiene che, in queste ipotesi, sia assai peculiare il legame che si instaura tra l'apporto probatorio proprio delle fonti dichiarative e gli elementi costitutivi del reato. Se è vero, infatti, che la tipologia di questo illecito è stata costruita tramite l'elaborazione di alcuni tratti di esperienza (omertà, forza dell'intimidazione, assoggettamento) derivati dagli esiti di queste particolari prove, «può certamente dirsi dirompente l'effetto della propalazione di un collaboratore sulla tenuta dei suddetti elementi costitutivi». In particolare, si pensi alla segretezza del nucleo criminale e alla deflagrazione interna che il «pentimento» produce rispetto alla stessa struttura dell'illecito1.

@2. Il vincolo del riscontro esterno e i riflessi sul principio del libero convincimento del giudice nella valutazione della prova

- La storia del nuovo processo penale è stata costantemente contrassegnata da due differenti fattori di crisi che hanno dato luogo ad una vera e propria esplosione di polemiche mai sopite.

La prima difficoltà, scaturita dalla complessa normativa contenuta nella legge 1 marzo 2001, n. 63, emerge dall'inevitabile incompatibilità tra un regime di contraddittorio ispirato al modello del processo anglosassone, ed il sistema italiano nel quale esso è stato trapiantato; dall'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali sancito dalla Costituzione scaturisce, infatti, un impegno del giudice di manifestare, in maniera specifica, il percorso interpretativo seguito ai fini della definizione del giudizio o dell'emanazione di provvedimenti endoprocedimentali.

L'inquadramento, proposto da questa nota a sentenza, richiede, adesso, una verifica in ordine alla sussistenza o meno di peculiarità che caratterizzerebbero il meccanismo mediante il quale l'organo giudicante perviene al passaggio, dall'ipotesi di accusa all'accertamento giudiziale, qualora si tratti di processi relativi a reati di criminalità organizzata di stampo mafioso.

L'art. 192 c.p.p., esplicitamente dedicato alla valutazione della prova, stabilisce che il giudice «valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati».

L'attività di valutazione della prova si concretizza in un procedimento probatorio che rappresenta una sottofase del procedimento penale2. Tramite tale giudizio, la «prova» da strumento gnoseologico diventa «epilogo conoscitivo»3. Si può quindi tranquillamente parlare, nel nostro ordinamento di «principio del libero convincimento del giudice nella valutazione della prova»: il giudice è libero nella valutazione della prova, ma deve spiegare chiaramente i risultati acquisiti ed i criteri adottati (leggi scientifiche, leggi della logica, massime di esperienza e quant'altro sia servito all'inferenza dall'elemento di prova al fatto da provare)4.

L'art. 546 lett. e) c.p.p. prevede, poi, che requisito della sentenza, è la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata; con l'indicazione delle prove poste a base della decisione stessa e l'enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie.

Tali disposizioni normative non vengono riferite, in via esclusiva, dalla dottrina prevalente, alla fase processuale: nel corso delle indagini preliminari, tutti gli interventi del giudice di natura incidentale dovranno, da un lato, fondarsi sulle regole di valutazione della prova predisposte dal codice di procedura penale (entro i limiti e le finalità delle indagini stesse), dall'altro lato, dovranno essere oggetto di motivazione.

L'obbligo di motivazione è, infatti, intimamente connesso ad uno dei principi fondamentali del sistema processuale penale italiano: quello del libero convincimento del giudice nella valutazione della prova che,Page 597 sancito dall'art. 192 comma 1 c.p.p., incontra un proprio limite nel dovere del giudice di motivare, rendendo esplicito il procedimento logico che sorregge le sue conclusioni.

La previsione di un metodo legale di formazione della prova garantisce, con tutta evidenza, sia l'attendibilità del risultato probatorio, sia le libertà individuali. La motivazione svolge, poi, la funzione di garantire la controllabilità razionale delle decisioni del giudice.

Nel corso della presente analisi, si tenterà di dare voce ai diversi orientamenti dottrinali e giurisprudenziali in materia di valutazione probatoria nei processi per fatti di mafia. Senza alcuna pretesa di esaustività, vista la complessità della materia, si cercherà poi di proporre delle coordinate essenziali per poter maturare delle considerazioni oggettive, sull'attuale capacità del nostro sistema processuale di garantire l'efficace perseguimento del reato riconducibile al grave fenomeno della criminalità organizzata.

Il secondo nodo problematico che verrà analizzato emerge, invece, con tutta chiarezza dalla mancanza di una disciplina in grado di assicurare l'attuazione di effettive misure di garanzia del contraddittorio; e ciò, in particolar modo, per la difficoltà di provare intimidazioni e forme di subordinazione dei testi, soprattutto nei processi di mafia, dove le «pressioni» sui dichiaranti sembrano ormai connaturate all'ordinario svolgimento degli stessi5.

Trattandosi di dichiarazioni provenienti da un soggetto in qualche modo coinvolto nella vicenda processuale, esse richiedono, in ogni caso, una verifica più attenta in ordine alla loro veridicità.

L'art. 192, commi 3 e 4, c.p.p. richiede, infatti, una particolare cautela nella valutazione delle «chiamate di correità»: esse devono essere...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT