Conclusion
Autore | Trabace, Silvana |
Pagine | 257-267 |
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CONCLUSIONI
Sin dalla sua introduzione nel codice di procedura civile del
1940, la disposizione dell’art. 687 è stata al centro di un dibattito
mai realmente sopito tra gli studiosi, che ancora oggi non sem-
brano aver raggiunto una soluzione unitaria in rapporto alle di-
verse questioni che coinvolgono la misura ivi prevista. L’espres-
sione “sequestro liberatorio”, con cui l’istituto è comunemente
identificato, induce a creare un automatico parallelismo con i ri-
medi previsti dal codice civile in materia di mora del creditore. E
del resto, la stessa identificazione dell’oggetto del sequestro con i
beni ed alle somme offerte dal debitore per la sua liberazione
sembrerebbe alludere proprio alla situazione in cui un debitore,
pur intenzionato a dare esecuzione alla propria obbligazione, non
riesca a procedere in tal senso a causa del contegno della contropar-
te, che non compie quanto necessario a ricevere la prestazione.
Sennonché, tale apparente chiarezza del fenomeno non trova
riscontro nelle interpretazioni che ne hanno offerto la dottrina e
la stessa giurisprudenza, che hanno riconosciuto all’istituto fun-
zioni differenti, fino ad ammetterne l’impiego in situazioni dia-
metralmente opposte rispetto a quella appena richiamata, in cui il
sequestro verrebbe a tutelare un debitore che, contestando l’esi-
stenza dell’obbligazione a suo carico, non intenda affatto offrire il
proprio adempimento ma voglia, giusto al contrario, evitare che i
beni controversi passino nella disponibilità del creditore.
È chiaro che a venire in discussione è lo stesso ambito appli-
cativo dell’istituto che, dalla situazione di mora credendi, si sposta
fino a ricomprendere vere e proprie ipotesi di mora debendi.
La questione non è di poco conto, ed affianca l’altra, non
meno importante, problematica della natura del sequestro, da
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