La comunione de residuo: destinazione e appartenenza dei risparmi

AutorePierantonio Lisi
Pagine103-112

Page 103

@1. I redditi non consumati: attribuzione alla comunione e regole di gestione

La legge dispone che sono comuni i redditi dei coniugi (stipendi, proventi professionali, profitti o rendite) non consumati al momento dello scioglimento della comunione.

Si tende spesso ad enfatizzare il carattere residuale della comunione dei redditi non consumati e ad interrogarsi sul momento esatto in cui questi diventano comuni, lasciando in secondo piano il dato essenziale della regola: la loro destinazione legale alla divisione in parti uguali tra i coniugi, qualunque di essi ne sia stato il percettore; qualunque di essi ne risulti il titolare (perché ad esempio intestatario del conto corrente sul quale si trovano depositati)1.

La divisione, occorre sottolinearlo, non determina alcun reale spostamento di ricchezza. Il coniuge che risultasse titolare esclusivo dei redditi non consumati dovrà versare all’altro la metà del saldo attivo, senza che ciò dia luogo ad una attribuzione patrimoniale; senza necessità, dunque, di una causa giustificativa, di un titulus adquirendi.

Per converso, i coniugi in comunione legale – in sede di divisione – non possono rinunciare, in tutto o in parte, alla quota di rispettiva spettanza, se non procedendo ad una nuova attribuzione patrimoniale2.

Page 104

Il rilievo, piuttosto scontato, dimostra la radicale differenza – già sul piano neutro della circolazione giuridica – della situazione del coniuge non titolare della ricchezza non consumata rispetto a quella di chi si aspetta un’eredità3.

Costui spera che si verifichi una fattispecie che gli attribuisca nuova ricchezza. Il primo – invece – dispone già di un titolo legale che giustifica il trasferimento formale in suo favore: lo stesso regime patrimoniale legale, in un sistema di attribuzioni4 che trova il suo fondamento sostanziale nel riconoscimento della dignità sociale del rapporto coniugale.

L’attribuzione alla comunione, tuttavia, riguarda solo i redditi non consumati, non tutti i redditi percepiti.

Si è, pertanto, ritenuto plausibile che se il coniuge percettore gode di un potere di gestione dei propri redditi, allora potrà esercitare tale potere anche su quella parte di essi che non ha ancora consumato (rectius impiegato).

Il passaggio logico, che sembra ineccepibile, si fonda sull’esaltazione del dato materiale e puramente contabile della non consumazione – intesa come mera esistenza dei redditi al momento dello scioglimento – e sul contestuale rifiuto di individuare la specifica funzione del reddito non consumato.

Ne è derivata una impropria interferenza delle regole di gestione dei redditi di ciascuno dei coniugi con la questione dell’appartenenza del “residuo”, che ha favorito posizioni estreme condizionate – in modo più o meno evidente – da opzioni di fondo sul modo stesso di concepire la disciplina dei rapporti patrimoniali tra coniugi.

@2. L’approccio individualistico: l’inesistenza di regole di gestione o di vincoli di destinazione dei redditi. La comunione virtuale dei risparmi

L’approccio individualistico estremo si trova schiettamente e compiutamente espresso in una recente sentenza della Suprema corte5, resa proprio in occasione della soluzione di una controversia sull’appartenenza dei risparmi di una coppia in comunione legale.

Il sistema di regole che disciplinano il regime patrimoniale legale è rappresentato come una serie di limitazioni di carattere eccezionale al principio della libertà individuale – che nasce assoluta – del coniuge percettore di redditi. La funzione di queste norme sarebbe quella di assicurare una garanzia minima per il coniuge non percettore, il quale – tuttavia – non avrebbe alcun diritto di intromettersi nella gestione dei redditi dell’altro e maturerebbe una semplice aspettativa di fatto alla divisione in parti uguali della ricchezza risparmiata nel corso della vita coniugale in comunione.

“Non esiste alcun diritto di ciascun coniuge sui proventi dell’altro e sul modo in cui questi li amministra (…), salvo il limite di contribuire ai bisogniPage 105 della famiglia”6; “la legge non pone obblighi di destinazione sui beni oggetto della comunione de residuo né limiti o controlli alla facoltà di consumazione”; “L’impiego nei più vari modi sottrae lecitamente cespiti a quella che, al momento dello scioglimento, diventerà esattamente la comunione de residuo”.

Adempiuti gli obblighi contributivi, insomma, il coniuge percettore dei redditi potrebbe finalmente disporre del “surplus” a suo piacimento, senza vincoli di sorta e senza fastidiosi controlli o “gravosissimi” oneri di rendiconto, che renderebbero “troppo vincolante e oppressivo” il regime patrimoniale legale. In breve, da single.

Le regole di gestione dei redditi propri, insomma, non esistono, esistono solo le eccezioni al principio della libertà individuale, ossia il dovere di contribuzione, che si risolve nell’adempimento di specifici e circoscritti obblighi. Per il resto, rimane intatta la libertà individuale di disposizione e di gestione dei propri redditi, assoluta e insindacabile. Il coniuge percettore di maggiori redditi, quindi, è tenuto a rendere partecipe l’altro del suo benessere economico solo fino ad una certa soglia (quale?), oltre la quale può legittimamente prescindere del tutto dal contesto familiare in cui vive per assecondare le sue voglie individuali.

Il potere di disposizione resta integro fino al giorno in cui si perfeziona la fattispecie che determina lo scioglimento della comunione e il coniuge “forte” – anche un attimo prima – è libero di fare quello che vuole; può, ad esempio, decidere estemporaneamente di consumare in una sola volta tutti i risparmi di una vita.

Il linguaggio usato, sin troppo diretto, è agli antipodi di quello degli studiosi cui piace riferirsi ai coniugi che “vivono7 in comunione legale. Questi ultimi descriverebbero la comunione legale tratteggiata dalla Suprema Corte come il regime patrimoniale in cui il coniuge percettore del reddito “vive” in parte in comunione ed in parte per suo conto.

Prima dello scioglimento della comunione, dunque, nessuna partecipazione paritaria alle fortune della famiglia8, perché il sistema legale è sì comunitario, ma “variamente e notevolmente temperato”; la comunione comprende molti beni acquistati dopo il matrimonio, ma non si estende, se non “virtualmente”, ai frutti dei beni personali e ai proventi o agli utili dell’attività separata di ciascuno, anche se accumulati e accantonati.

Se ne deduce che occorrerebbe appigliarsi alla incerta e residuale figura dell’abuso del diritto9 per attaccare, ad esempio, la donazione integrale dei risparmi effettuata dal coniuge separando (titolare del conto corrente) in favore del nuovo partner alla vigilia del passaggio in giudicato della sentenza di separazione oppure nell’intervallo di tempo che intercorre tra la presentazione del ricorso per separazione consensuale ed il deposito del decreto di omologazione.

Page 106

Ecco che, muovendo dall’affermazione del potere di gestione del reddito proprio di ciascuno dei coniugi, si finisce con la riduzione della comunione de residuo a comunione virtuale (o viceversa), svuotando di significato l’attribuzione legale e inderogabile10 della ricchezza non consumata.

Dalla legittimazione della “consumazione” arbitraria e senza onere di rendiconto alla tolleranza dell’occultamento della ricchezza, il passo è breve11.

@3. L’approccio comunitario: l’individuo nella coppia. L’affermazione della regola dell’accordo nella gestione dei redditi non può incidere sulla distribuzione della ricchezza non consumata

Accedendo ad una diversa e opposta impostazione, si può sostenere che il rapporto coniugale impone di disporre dei propri redditi tenendo sempre conto dell’altro nella gestione dell’intero reddito di ciascuno dei coniugi.

La vita coniugale rappresenta il contesto – imprescindibile – per determinare in concreto il contenuto della libertà individuale delle persone sposate. Non un limite ad una libertà che si suppone assoluta12.

Immaginare uno spazio di irrilevanza del rapporto coniugale significa assecondare un “desiderio di rottura” rispetto alla realtà “socialmente condizionata”13 rappresentata – nel caso di specie – dall’essere persone coniugate in regime di comunione legale.

Tener conto dell’altro e della situazione familiare non significa occuparsi esclusivamente di bisogni primari o comuni, ma anche e soprattutto perseguire e realizzare esigenze ed interessi – eterogenei tra loro – che fanno capo a ciascuno, senza perdere di vista il contesto dei rapporti14.

Nella fase di svolgimento fisiologico del rapporto, in effetti, sono i coniugi stessi a determinare, d’accordo, la destinazione dei redditi della famiglia15.

Non è necessario alcun atto formale; l’accordo può risultare dal comportamento tenuto dai coniugi; è sufficiente la mancata opposizione di ciascuno all’iniziativa dell’altro.

È ovvio, pertanto, che si può decidere di scommettere sulle ambizioni o sulle potenzialità di uno dei coniugi, adottando una distribuzione delle risorse tutt’altro che uniforme.

Page 107

L’autonomia dei coniugi in materia è piuttosto ampia. Nel corso del rapporto, in funzione delle esigenze riconosciute via via come prioritarie, prenderà forma uno stile di vita della famiglia.

A...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT