Le competenze dell'optometrista nel trattamento delle disfunzioni visive

AutoreElio Palombi
Pagine81-84
375
giur
Rivista penale 4/2017
LEGITTIMITÀ
attività riservate alla professione medico oculistica, rico-
struendo in modo attento la fattispecie concreta e sussu-
mendo esattamente il fatto nella norma incriminatrice in
parola.
4.1. In particolare, il Collegio del gravame ha rimarcato
come B. - lungi dall’attenersi ai conf‌ini dell’attività di op-
tometria, id est di misurazione della potenza visiva -, abbia
operato in continuità diagnostica rispetto alle pratiche di
L.B. (anch’egli titolare di un mero diploma di optometrista
conseguito all’estero), abbia approntato interventi tera-
peutìci (come si evincono dalle prescrizioni di contenuto
non meramente correttivo e tecnico operativo) ed abbia
dato indicazioni ai genitori con previsione di controlli cui
sottoporsi a distanza di tempo (v. pagine 3 e seguenti ed,
in particolare, pagina 6).
Attività che - con considerazioni immuni da irragione-
volezza manifesta - la Corte ha dunque stimato avere natu-
ra diagnostica e di predisposizione di un percorso di cura,
in assenza in capo al B. delle necessarie competenze ed
abilitazioni, integrante in ossequio ai condivisibili principi
sopra delineati il reato oggetto di contestazione.
5. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso
consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ri-
corrente, oltre che al pagamento delle spese del procedi-
mento, anche a versare una somma che si ritiene congruo
determinare in 1.500,00 euro. (Omissis)
LE COMPETENZE
DELL’OPTOMETRISTA
NEL TRATTAMENTO
DELLE DISFUNZIONI VISIVE
di Elio Palombi
1. L’Optometria, nata nella cultura anglosassone da
oltre 100 anni, è presente, come corso universitario legal-
mente riconosciuto, in gran parte del mondo e nella quasi
totalità dei Paesi europei. In Italia vi sono sette Università
che annoverano un Dipartimento di Optometria, diverse
scuole regionali che rilasciano un diploma di specializza-
zione in Optometria, e almeno due corsi di laurea stranie-
ri, che insegnano come trattare le disfunzioni visive.
Purtroppo in Italia gli Optometristi sono esposti agli at-
tacchi dell’Associazione dei medici Oculisti, che prospet-
tano presunte invasioni del campo di propria competenza,
costringendo la magistratura ad occuparsi della questione
già a partire dalla f‌ine degli anni ‘70 dello scorso secolo. Si
ricordano le sentenze del Pretore di Torino del 26 aprile
1977, del Pretore di Bologna del 30 marzo 1977, del Pre-
tore di Schio del 16 marzo 1978, quest’ultima relativa·alla
preparazione tecnica necessaria per l’applicazione delle
lenti a contatto.
Con queste sentenze dei giudici di merito si comincia-
va ad aprire la strada verso la legittimazione dell’attivi-
tà degli Optometristi nel campo delle disfunzioni visive,
ma fu solo a partire dagli anni’90 che la Suprema Corte
affrontò il problema in maniera più diretta, occupandosi
delle pratiche di “educazione visiva” al f‌ine di far regredire
il def‌icit visivo miopico con esercizi di ginnastica oculare
basati sul principio della biofeedback. Tale pratica, appli-
cata in Optometria, è basata sulla reazione dell’organismo
visivo del soggetto ad uno stimolo luminoso collegato con
una risposta di tipo sonoro. L’ideatore della pratica, l’Opto-
metrista statunitense Trachtman, elaborò uno strumento
chiamato Accommotrac che venne importato anche in Ita-
lia e distribuito tra gli optometristi nella prima metà degli
anni Novanta.
Con la sentenza del 9 giugno 1993 il Supremo Collegio,
nell’occuparsi delle caratteristiche tecniche dell’apparec-
chio Accommotrac ribadiva che “miopia, astigmatismo,
presbiopia, strabismo, non sono malattie ma anomalie
dell’occhio”. Con queste sentenze la giurisprudenza riba-
diva che doveva essere considerata lecitamente realizzata
dall’Optometrista l’attività di assistenza, controllo e trat-
tamento svolta, in quanto non rientrante nell’ambito delle
funzioni di specif‌ica competenza del medico.
Con la fondamentale sentenza della Corte di Cassa-
zione del 3 aprile 1995 si entrava nel pieno del problema,
affermando che “l’evoluzione scientif‌ica e tecnologica de-
terminano sovente la possibilità che nuove attività profes-
sionali non riescano ad essere incasellate nelle professioni
uff‌icialmente consolidate, ma ciò non può essere motivo
per una dilatazione degli ambiti delle categorie profes-
sionali riconosciute, f‌ino a ricomprendere, nella riserva
loro spettante, attività soltanto analoghe, complementari,
parallele o ausiliarie rispetto alle professioni protette”.
Stabilito che “l’attività professionale dell’Optometrista è
indubbiamente un’attività nuova sorta a seguito dello svi-
luppo tecnologico”, la Corte precisava che occorre chiari-
re, nel caso concreto, se la mera attività di misurazione
strumentale, sia pure sof‌isticata ed una semplice attività
di ginnastica oculare debbono considerarsi “solo ausiliarie
e funzionali all’espletamento della professione medica e
non integranti il reato di esercizio abusivo della profes-
sione, oppure se esse necessariamente comportano, nella
loro essenziale esecuzione, scelte e valutazioni di carat-
tere diagnostico e terapeutico, tipiche dell’atto medico”.
Posto il problema, la Corte f‌issava un principio di gran-
de rilievo, secondo cui “la sfera di attività professionale
consentita all’Optometrista non può essere collegata ad
una comparazione fra l’attività professionale da lui posta in
essere e quella consentita all’Ottico, che si sostanzia in un
mero giudizio di contenuto negativo, ma va ricondotta ad

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