Le competenze comunicativo-emotivo-relazionali nella trasformazione del conflitto

AutoreIlaria Buccioni
Pagine31-52

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In certi momenti mi sembrava che il mondo stesse diventando tutto di pietra: una lenta pietrificazione più o meno avanzata a seconda delle persone e dei luoghi, ma che non risparmiava nessun aspetto della vita. Era come se nessuno potesse sfuggire allo sguardo ineso-rabile della Medusa... Perseo riesce a padroneggiare quel volto tremendo tenendolo nascosto, come prima l'aveva vinto guardandolo nello specchio. È sempre in un rifiuto della visione diretta che sta la forza di Perseo, ma non in un rifiuto della realtà del mondo di mostri in cui gli è toccato vivere, una realtà che egli porta con sé, che assume come proprio fardello... Ma la cosa più inaspettata è il miracolo che ne segue: i ramoscelli marini a contatto con la Medusa si trasformano in coralli, e le ninfe per adornarsi di coralli accorrono e avvicinano ramoscelli e alghe alla terribile testa.

Italo Calvino, Lezioni americane

Le nostre relazioni interpersonali a tutti i livelli ci richiedono sempre più la capacità di accettare e gestire ciò che è diverso da noi stessi: persone, valori, pensieri, culture. Questo inevitabilmente porta il conflitto in una posizione centrale nella nostra esistenza.

La parola conflitto continua però a evocare nella nostra cultura concetti o immagini sgradevoli, rimandandoci allo scontro, al contendere, all'aggressività e inevitabilmente alla violenza. Se la pace è stata considerata antitetica rispetto al conflitto e dunque il conflitto visto come guerra, un modo nuovo per affrontare la possibilità di una pace - concreta e operativa - è ristrutturare la stessa concezione di pace. La proposta è di accettare che il concetto di pace contenga in sé quello di conflitto, in quanto permette di mantenere la relazione anche nella divergenza. Si può pensare quindi al conflitto come un elemen-Page 32to generativo, un elemento creativo, una risorsa all'interno della costruzione di relazioni che non possono prescindere dal valorizzare la diversità.

In tutto ciò emerge la difficoltà di capire le ragioni degli altri, di accettare la divergenza, la compresenza di visioni diverse delle situazioni e del mondo. Questa è la sfida: creare le condizioni affinché le relazioni possano alimentarsi non solo nella simpatia, ma anche nella discordanza e nella diversità. Cercare di apprendere la capacità di stare dentro il conflitto e di vivere la diversità interpersonale, interreligiosa, interculturale come momento di crescita e non più come un fattore di paura e di minaccia. La diversità perde così la sua connotazione di antagonismo e diventa un elemento evolutivo, di arricchimento. Per arrivare a questo è necessario uscire dalla convinzione che per soddisfare i propri bisogni sia necessario penalizzare qualcun altro, entrando in un gioco che permetta a tutte le parti di uscire vincitrici. Imparare a relazionarsi in modo costruttivo non significa quindi soltanto dotarsi di «buone tecniche» comunicative, che ci permettano di padroneggiare razionalmente le relazioni, ma significa anche aprirsi alla conoscenza e alla consapevolezza delle emozioni, dei sentimenti e di tutti quei processi comunicativi che noi e gli altri attiviamo nelle relazioni. Il conflitto diventa così un'opportunità di leggere se stessi, di osservare quelle parti di noi che non conosciamo e che la relazione con l'altro fa emergere in modo più eclatante.

@Tra micro e macro

Nel momento storico attuale, dove la conflittualità sembra aver raggiunto livelli mai visti, né le nuove tecnologie, né la cultura della globalizzazione portano a una comprensione e a una «inclusione» della diversità, ma a una chiara contrapposizione. Purtroppo molti di noi sono ancora legati alla vecchia concezione che per cambiare lo stato del mondo sia necessario partire esclusivamente dall'esterno, imponendo unicamente cambiamenti attraverso interventi a livello culturale, sociale, politico. In effetti senza una contemporanea rivoluzione nel campo della coscienza individuale poco si trasformerà in meglio e la resistenza al cambiamento del sistema in cui viviamo rimarrà comunque forte. Soltanto nel momento in cui accettiamo le nostre «diversità» accettiamo anche quelle dell'altro, perché riusciamo a conciliare creativamente i nostri bisogni invece di accettarne solo una parte.

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Partiamo così da una dimensione di conflittualità interiore che riguarda la non accettazione di sé per riportarla sui piani intermedi (famiglia, lavoro, scuola, condominio...) alimentando discriminazione sessuale, razziale, culturale. Questo favorisce un terreno emotivo e ideologico che inevitabilmente supporta macroconflitti, guerre, prevaricazioni e sfruttamento a livello macrosociale.

È vero però che riportare il tutto esclusivamente al nostro mondo inte-riore sarebbe assurdamente riduttivo. Le nostre ottusità culturali favoriscono contrasti; certi «valori» sono rappresentazioni di un preciso contesto socioculturale e fanno parte del patrimonio comune dell'essere «riconosciuti» e accettati. Questa dicotomia non soltanto ci impone di nascondere quelle parti di noi che non corrispondono a un «valore positivo», ma ci porta a giudicare negativamente quello che proviene dalle altre culture, creando un reciproco rifiuto.

Crediamo occorrano strumenti che partendo da questo stato generale portino a un'analisi funzionale del nostro mondo interiore e allo stesso tempo dei rapporti interpersonali indirizzandoci verso il recupero della positività, della ricchezza del mondo relazionale1.

A tale scopo riteniamo indispensabile soffermarci sulla stretta connessione tra la comunicazione intra-personale (la relazione con se stessi) e quella inter-personale (la relazione con gli altri). Individueremo la prima come capacità di accesso alla propria vita emotiva, affettiva, grazie alla quale ci è concesso di compiere un'immediata discriminazione delle emozioni, di accettarle, di comunicarle, di interpretarle alla luce di codici simbolici - strumento per comprendere e regolare il proprio comportamento. La seconda, la comunicazione interpersonale, implica nel bimbo piccolo la capacità di discriminare tra le persone e soprattutto fra le loro motivazioni e intenzioni, gli stati d'animo, i temperamenti; da adulti ci permette di leggere perspicacemente le intenzioni, i bisogni e i desideri dell'altro2. In questo scritto le coinvolgeremo allo stesso livello tenendo presenti le seguenti premesse:

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Comunicare con gli altri significa innanzitutto comunicare con se stessi. Se è vero che una buona comunicazione interna genera una buona comunicazione esterna, maggiore sarà l'armonia con noi stessi più appaganti, nutrienti, creative saranno le relazioni che riusciamo a instaurare. Parlando di relazioni interpersonali, di pace, di conflitto, si è portati a spostare costantemente l'attenzione verso l'esterno, verso l'altro. Raramente consideriamo quello che troviamo all'esterno una sorta di specchio della nostra realtà interiore; quel micromondo fatto dalle nostre esperienze, dalle nostre maschere, dai nostri condizionamenti, insomma da tutto ciò che fino ad oggi ci ha permesso di esistere e di vivere la nostra esistenza familiare, lavorativa, sociale. Questo riproduce fondamentalmente la conflittualità che ognuno di noi ospita e, nella maggior parte dei casi, ci impedisce di vivere pienamente la nostra vita e le nostre relazioni interpersonali per incamminarci verso il nostro ben-essere e, perché no, sulla strada di una presunta felicità. Il principio di isomorfismo " ovvero la corrispondenza strutturale che consente di individuare le somiglianze tra i sistemi di riferimento e i diversi livelli di comunicazione - ci spiega, perché ciò che troviamo all'esterno sia una sorta di specchio del nostro mondo interiore. Tra le ipotesi a sostegno di tale teoria, merita attenzione quella che sostiene l'esistenza di un rapporto profondo e universale tra l'uomo e i simboli che pur in forme temporali e cronologiche diverse rileva somiglianze nei significati. Tali somiglianze sono da ricercare nelle matrici storiche, religiose e culturali comuni o vicine, che potrebbero derivare da complessi psicologici inconsci, innati e universali, comuni a tutta l'umanità. Secondo Jung tali archetipi sono inosservabili, ma attraverso sollecitazioni interne o esterne emergono sotto forma di sogni, miti, fantasie ecc. Nonostante le differenze esteriori è spesso possibile riuscire a vederli come espressione di uno stesso significato profondo. Il carattere universale degli archetipi sembra costituire un ulteriore elemento a sostegno dell'ipotesi che vi siano isomorfismi tra la struttura della percezione e la struttura della realtà, non solo quella esterna, ma anche quella interna all'individuo (il sistema neuropercettivo)3. Il processo comunicativo è innescato dalla necessità di esprimere un nostro bisogno considerando che ognuno di noi si esplicita attraverso le dimensioniPage 35fisico-energetica, emotiva, razionale e spirituale. Pertanto per poter realizzare un salto evolutivo verso una consapevolezza globale è necessario che innanzitutto l'essere umano realizzi un'unità interiore. Partendo da questi presupposti, la risoluzione della crisi relazionale che caratterizza la società in cui viviamo implica una trasformazione dell'esperienza di se stessi che - modificando e sviluppando le potenzialità del nostro cervello e della nostra coscienza - si manifesti in una nuova logica creativa del vivere e in una visione unitaria dell'uomo e del pianeta. Tale approccio incoraggia una visione integrata e globale che tiene conto delle differenze e delle molteplicità, favorendo così il superamento della frammentarietà che connota attualmente la gamma degli interventi con cui " a livello sociale e istituzionale - si tende a rispondere alla complessificazione della società e dell'individuo. Siamo di fronte quindi a una proposta che ci permette di offrire delle linee educative più globali, flessibili e consone alle esigenze del presente momento di trasformazione culturale e...

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