La competenza penale del giudice di pace: aspetti sostanziali

AutoreGiovanni Cerquetti
Pagine279-280

    Relazione svolta al Convegno degli Ordini Forensi dell'Umbria su La competenza penale del giudice di pace: aspetti processuali e sostanziali, Piediluco, 7 dicembre 2002, organizzato dall'Ordine degli Avvocati di Terni. Gli articoli citati senza ulteriori indicazioni sono del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274.


Page 279

Il criminalista austriaco Franz von Liszt, nel suo Programma di Marburgo del 1882, scolpiva così l'essenza e le funzioni del diritto penale nei moderni ordinamenti giuridici, con proposizioni ancora oggi condivisibili: «La pena - che ha un'essenza retributiva: n.d.r. - è per noi mezzo per raggiungere uno scopo - la prevenzione generale e la prevenzione speciale: n.d.r. -. L'idea dello scopo postula però l'adattamento del mezzo al fine e la massima parsimonia nella sua applicazione. Questa esigenza ha particolare valore per quanto concerne la pena, essendo essa infatti un'arma a doppio taglio: tutela di beni giuridici attuata attraverso lesione degli stessi».

In linea con il principio di sussidiarietà - o di extrema ratio - della pena, che così emerge, è il criterio di fondo della mitezza a cui dichiaratamente si è ispirato il legislatore storico nel configurare il sottosistema penale del giudice di pace. La mitezza è, però, bilanciata dall'altro criterio di fondo costituito dall'effettività. Ed entrambi, sempre secondo il legislatore storico, puntano a valorizzare la «conciliazione delle parti», emblematicamente individuata dall'art. 2, comma 2 come compito e finalità primari del giudice di pace.

Che tale giudice sia deputato più alla mediazione e composizione della micro-conflittualità sociale che alla punizione emerge dagli istituti che connotano il sottosistema. Il giudice di pace, infatti, deve adoperarsi fattivamente per la remissione della querela o per la rinuncia al ricorso da parte della persona offesa dal reato (art. 29, commi 4 e 5); può dichiarare estinto il reato, sentite le parti e l'eventuale persona offesa, in caso di comportamento riparatorio-ripristinatorio tenuto dall'imputato successivamente alla commissione del reato e sempre che ritenga con ciò soddisfatte «le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione» (art. 35; formula, per altro, molto ambigua); può dichiarare di non doversi procedere nei confronti dell'indagato o dell'imputato nel caso di «particolare tenuità del fatto», sempre tenendo conto dell'interesse o della non opposizione della persona offesa (rispettivamente, prima o...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT