Compatibilitá costituzionale e aporie sistemiche del nuovo art. 41 Bis dell'ordinamento penitenziario

AutorePasquale Troncone
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@1. La stabilizzazione del regime differenziato

Con l'ordinanza n. 417 del 13 dicembre 2004 la Consulta è stata chiamata a decidere sulla legittimità costituzionale del nuovo contenuto dell'articolo 41 bis ord. pen. come stabilito dall'ultimo intervento del legislatore con la legge 23 dicembre 2002 n. 279 1.

L'attuale testo dell'art. 41 bis è frutto di una precisa opzione legislativa maturata all'indomani di una serie di pronunce della Corte costituzionale che, seppure salvaguardando le ragioni di «emergenza» poste a fondamento della disciplina, avevano segnalato la necessità di rivedere in alcuni suoi aspetti la norma definita, molto sommariamente, attuativa del «carcere duro» 2. Definizione quanto mai opportuna attesa la sostanziale condizione di isolamento cui viene sottoposto il detenuto, privato delle condizioni minime che consentono una vita sociale all'interno e con l'esterno della struttura carceraria, attraverso i colloqui, la permanenza all'aperto, la corrispondenza, la consegna di beni ed oggetti.

Tuttavia, anche con l'intervento che ha rimodellato in modo particolare la previsione del comma secondo dell'art. 41 bis (oltre ad avere riformulato per intero l'ampio comma primo dell'art. 4 bis ord. pen. - cui la prima disposizione opera un rinvio di tipo sistematico -), il complessivo assetto normativo della disciplina di ri-Page 548gore non cessa di mostrare il suo volto atipico nell'impianto sistematico della legge sull'ordinamento penitenziario 3.

È pur vero che nel corso della sua vigenza la norma non è mai stata sottoposta a correzioni sostanziali, né attraverso espliciti interventi legislativi, né attraverso pronunce di accoglimento o manipolative di rigetto della Corte costituzionale. Le diverse decisioni di quest'ultima ne hanno sempre confermato la compatibilità con i principi del nostro ordinamento, pur riconoscendone il tratto di eccezionalità che trae giustificazione dal fatto che appare adeguato all'eccezionalità del fine e delle esigenze che è chiamata a salvaguardare. In questo modo il carattere di emergenzialità è stato progressivamente piegato alle ordinarie scelte che nell'ambito penitenziario è necessario compiere, allorché si registra la presenza di detenuti che presentano una rilevante pericolosità sociale e che si esprime, in quel particolare contesto, anche come pericolosità penitenziaria 4.

Il proposito evidente del legislatore è quello di recidere i legami del detenuto con il mondo esterno facendo ricorso a variegate forme di intensità del suo isolamento, al fine di evitare che il contributo possa alimentare o agevolare l'attività del circuito criminale di appartenenza. È stato infatti constatato che il carcere in sè non impedisce la partecipazione, sia pure indiretta, alla vita di un'organizzazione criminale, partecipazione che si risolve nell'impartire scelte di tipo operativo o esercitare pressioni di carattere psicologico e morale sulle vittime, anche attraverso gregari, garantendo in questo modo la sopravvivenza e la stabilità della societas sceleris. A tutto ciò si aggiunga che la capacità di intervento indirizzata all'esterno si riflette nel contesto della struttura penitenziaria, a causa dei propositi di riproduzione del gruppo criminale che esprime la medesima potenzialità offensiva questa volta verso l'ordine e la sicurezza interna.

L'esame delle fonti normative del sistema penale italiano fornisce la riprova che le scelte operate sul terreno del diritto penale sostanziale e processuale in materia di criminalità organizzata e terroristica finiscono per riflettersi sulla fase della esecuzione della pena e, comunque, sull'organizzazione delle strutture dove le persone sono ristrette per la custodia cautelare o per la espiazione della condanna. Non a caso l'ordinanza della Consulta conferma che nel nostro sistema penitenziario ha trovato ormai definitivamente ingresso un doppio regime, così come in termini di disciplina generale sempre più si radica una legislazione caratterizzata da un doppio binario: da un lato la criminalità organizzata e terroristica; dall'altro la criminalità comune 5. La delineazione di una precisa categoria di soggetti, indagati o condannati per i reati tassativamente indicati dal legislatore e che formano il presupposto applicativo degli istituti di rigore, finisce sovente per risolversi in un puro e semplice giudizio di pericolosità presunta, con tutte le conseguenti difficoltà da parte dell'interessato di opporre convincenti elementi di fatto, dalla forza persuasiva tale da vincere la presunzione di attualità della sua propensione a quelle determinate categorie di delitto.

Molti dati confermano questa sorta di contaminazione normativa di differenziazione. Anche una legge come quella sul condono edilizio impedisce la possibilità di riconsocere la sanatoria ad immobili i cui proprietari risultano condannati per delitti che rientrano nella tradizionale attività del crimine organizzato.

@2. Brevi premesse storico-legislative dell'art. 41 bis ord. pen.

L'art. 41 bis ord. pen. risulta caratterizzato da una storia legislativa particolare che ne connota anche il tessuto genetico, ponendo in evidenza in questo modo la sua atipicità rispetto alla legislazione in materia penitenziaria. Tuttavia si può dire che le ragioni della sua scelta sono state confermate da due diverse iniziative normative di stabilizzazione del suo regime di eccezionalità.

L'innesto operato nell'ambito della legge 26 luglio 1975 n. 354 dell'ordinamento penitenziario è il portato tipico di un intervento emergenziale che ha finito per modificare sostanzialmente il quadro dei principi cui si era ispirato il legislatore dell'epoca 6. Va comunque ricordato che già la legge n. 354/75, all'art. 90 sotto la rubrica Esigenze di sicurezza, autorizzava il Ministro della giustizia a sospendere le regole di trattamento ordinario del detenuto qualora si fossero imposti «gravi ed eccezionali motivi di ordine e di sicurezza» 7. La vaghezza della formula legislativa conferiva, è evidente, un «potere in bianco» all'organo amministrativo, il quale poteva adottare, senza preventiva istruttoria e senza alcun corredo motivazionale, provvedimenti ulteriormente restrittivi e privativi della libertà personale.

Questa disposizione mal si conciliava con il dettato costituzionale ed in particolare con il terzo comma dell'art. 13, laddove viene previsto che «è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà». Peraltro, il contrasto con i principi dell'ordinamento era ancora più evidente per il fatto che il comma secondo dell'art. 13 della Carta fondamentale impone che soltanto l'autorità giudiziaria può adottare con «atto motivato» iniziative per l'ulteriore restrizione della libertà personale, escludendo decisamente l'intervento di qualsiasi autorità amministrativa 8. Cosicché all'esigenza di legalità si abbinava la correlativa esigenza di giurisdizionalizzazione delle misure di rigore, nel senso che una tale norma, per i prorompenti effetti che era destinata a produrre, doveva essere caratterizzata da un alto grado di tassatività e la sua concreta applicazione non poteva essere sottratta in alcun modo al vaglio giurisdizionale.

Nonostante i controversi percorsi legislativi con l'art. 10 della legge 10 ottobre 1986 n. 663, detta Gozzini 9, era stato invece interamente recuperato lo spirito dell'art. 90 ord. pen. abrogato, attraverso l'introduzione gli artt. 4 bis e 41 bis che avevano configurato un regime differenziale tra la categoria di coloro che erano stati condannati per reati ritenuti particolarmente allarmanti per l'ordine pubblico e tutti gli altri soggetti condannati per reati di natura diversa. Regime maggiormente caratterizzato e sostanzialmente aggravato proprio con l'introduzione del comma secondo dell'art. 41 bis, avvenuta con il decreto legge 8 giugno 1992 n. 306 - definito dai nomi dei ministri dell'epoca proponenti Scotti-Martelli - e convertito nella legge 7 agosto 1992 n. 356, che significativamente recava nella rubrica il titolo «Situazioni di emergenza».

La norma di emergenza, significativamente definita di «carcere duro», era stata introdotta dopo i gravissimi episodi stragisti di stampo mafioso accaduti in quei mesi ed i problemi di ordine all'interno degli istituti ove si eranoPage 549 registrate rivolte e sommosse legate a quel...

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