La flessibilità come alternanza tra lavoro e disponibilità nel parttime e nel lavoro intermittente
Autore | Roberto Voza |
Pagine | 595-613 |
ROBERTO VOZA
LA FLESSIBILITÀ COME ALTERNANZA
TRA LAVORO E DISPONIBILITÀ
NEL PART-TIME
E NEL LAVORO INTERMITTENTE*
S: 1. Il part-time tra flessibilità genetica e rigidità funzionale. – 2. La
flessibilità nella gestione del tempo parziale di lavoro. – 2.1. La variabilità della
durata. – 2.2. La variabilità della collocazione temporale. – 3. Dallo ius variandi
allo ius creandi: la disponibilità del lavoratore intermittente. – 4. La temporanei-
tà camuffata da intermittenza: il lavoro a chiamata senza obbligo di risposta.
1. In tutte le sue declinazioni possibili, l’organizzazione d’impresa non
può non avere un intrinseco interesse a comprare lavoro solo quando serve.
Se l’adattabilità della forza-lavoro all’andamento (non sempre prevedibile)
della produzione implica un costante turn-over dei propri addetti (attraverso
una pluralità di rapporti temporanei con lavoratori sempre diversi), una di-
scontinuità nell’impiego dei medesimi lavoratori, o – semplicemente – una
riduzione del loro orario di lavoro, si tratterà – come al solito – di comparare
vantaggi e svantaggi. Non si trascuri, in particolare, che il turn-over occupa-
zionale e, in misura minore, la discontinuità nell’impiego dei medesimi lavo-
ratori costituiscono il polo opposto a quello delle strategie di fidelizzazione
del personale, soprattutto in termini di formazione, qualificazione e riquali-
ficazione professionale.
Quando la flessibilità attiene alla possibilità di incidere sul profilo tempo-
rale della prestazione, l’esigenza imprenditoriale è ampiamente presa in con-
siderazione dalla disciplina del lavoro subordinato standard, attraverso mec-
canismi che consentono la rimodulazione e/o il prolungamento del regime
orario: pensiamo, principalmente al sistema c.d. multiperiodale, ed al lavoro
supplementare e straordinario.
In riferimento, poi, alle variazioni che attengono all’arco temporale (sen-
za implicazioni sulla durata) della prestazione, lo strumento negoziale che si
* Il presente lavoro si inserisce nell’ambito di una ricerca PRIN, bando 2006, co-finanziata dal
MIUR, sul tema “Organizzazione della produzione e lavori flessibili: effettività e funzionalità delle
nuove tipologie contrattuali nelle imprese private” (coordinatore scientifico: Prof. M.G. Garofalo).
596 Annali della Facoltà di Giurisprudenza di Taranto — Anno II
mostra più flessibile è lo stesso contratto di lavoro subordinato a tempo pie-
no, dove non è previsto alcun obbligo di fissare preventivamente la colloca-
zione dell’orario di lavoro (diversamente da quanto avviene nel part-time,
ove tale vincolo è disposto dalla legge), e – pertanto – solo in via interpreta-
tiva (magari avvalendosi del diritto comune delle obbligazioni), si può pro-
vare a contenere (o, addirittura, a negare) tale forma di ius variandi da parte
del datore di lavoro1.
Ad analoga conclusione si deve giungere rispetto all’esigenza di prolun-
gare l’orario di lavoro oltre il limite concordato: sicuramente, l’interesse im-
prenditoriale alla esigibilità della prestazione aggiuntiva è meglio garantito
nel full-time piuttosto che nel part-time, il quale nasce per rispondere (anche)
ad un’esigenza di preservare il tempo che (almeno inizialmente) il lavoratore
non ha voluto cedere, concordando un orario ridotto rispetto allo standard.
Dal lato dell’impresa, il ricorso al lavoro a tempo parziale risponde primaria-
mente ad un’esigenza di utilizzare (e remunerare) il lavoro per un arco tempo-
rale inferiore a quello standard, il c.d. orario normale di lavoro, in cui si identi-
fica la nozione legale di tempo pieno [art. 2, lett. a), d.lgs. 25.2.2000, n. 61].
E perché vi sia convenienza ad optare per il part-time, tale esigenza deve
prevalere su quella di poter disporre di quel (più ampio) margine di flessibi-
lità in ordine alla durata ed alla distribuzione dell’orario, che caratterizza il
lavoro a tempo pieno.
Insomma, in quest’ottica si può pensare al lavoro a tempo parziale come
ad uno strumento impiegato per soddisfare l’interesse imprenditoriale, solo
allorquando la maggiore rigidità nella gestione del rapporto sia (più che)
compensata dal beneficio della riduzione dei costi, dovuto alla compressione
genetica dell’orario. È come dire che il part-time conviene solo a quelle im-
prese che dispongano di una quantità di lavoro remunerabile inferiore allo
standard, e non intendano azzardare una programmazione ‘in eccesso’.
Ove mai la quantità di lavoro fosse esattamente pari allo standard, per
l’impresa offrire, per esempio, due contratti part-ti me da 20 ore settimanali
ciascuno, anziché un solo contratto full-time da 40 ore presenterebbe l’unico
vantaggio della ‘scindibilità’ delle due posizioni lavorative. Infatti, qualora,
successivamente alla stipulazione dei contratti, vi fosse un ca1o dell’attivi-
tà, sarebbe lecito risolvere (per giustificato motivo oggettivo) uno dei due
rapporti, mantenendo in piedi l’altro. Viceversa, in presenza di un unico
1 Un’utile sintesi del dibattito sul punto è quella compiuta da A. A, Tempo della
prestazione e poteri del datore di lavoro, in Arg. dir. lav., 2007, I, 341. Successivamente a tale con-
tributo, si segnala la recente Cass., 23 maggio 2008, n. 12962, ove si è riconosciuto che “le esigen-
ze di programmabilità del tempo libero, ravvisate espressamente dal legislatore nell’ambito del
rapporto di lavoro part-time, sussistono, anche se in maniera meno pressante, all’interno del rappor-
to di lavoro a tempo pieno” (la sentenza è pubblicata in Riv. it. dir. lav., 2008, II, 825, con nota di G.
B, Sul potere del datore di lavoro di variare la collocazione dell’orario nel full-time, e in
Lav. giur., 2008, 1147, con nota di C. G). In merito ai tentativi di smontare “la tesi della
sostanziale diversità fra part-time e full-time per quanto riguarda la programmabilità del tempo di
non lavoro da parte del lavoratore”, v., pure, M. D, Il lavoro part-time nella prospettiva co-
munitaria. Studio sul principio volontaristico, Napoli, 2008, 209-219.
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