Il principio della colpevolezza 'al di là di ogni ragionevole dubbio

AutoreFrancesco Zaccaria
Pagine497-506
FRANCESCO ZACCARIA
IL PRINCIPIO DELLA COLPEVOLEZZA
AL DI LÀ DI OGNI RAGIONEVOLE DUBBIO”
S: 1. Premessa. – 2. L’origine statunitense del principio dell’ “oltre ogni
ragionevole dubbio”. – 3. La regola “b.a.r.d.” nel sistema italiano prima della L.
n. 46/2006. – 4. Problematiche definitorie ed applicative.
1. Con l’art. 5 della L. 20 febbraio 2006, n. 46, è stato modificato l’art.
533, comma 1°, c.p.p., prevedendo che il giudice debba pronunciare sentenza
di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli “al di là di
ogni ragionevole dubbio”. Appare evidente come il legislatore abbia voluto
porre l’accento sul principio della presunzione di innocenza, costituzional-
mente garantito dall’art. 27 Cost. Infatti, questo rigido principio basilare può
essere superato solo da una presunzione altrettanto rigida che è quella di in-
nocenza; a sua volta, quest’ultima può essere superata solo se l’istruttoria
dibattimentale abbia plasmato un determinato e rigido standard probatorio.
Orbene, la lente epistemologica attraverso la quale va letto il corpo probante,
è proprio il principio del “ragionevole dubbio”, recentemente codificato.
Sussiste, quindi, un vero e proprio dovere di condannare solo sulla base di
un grado di dimostrazione dei fatti quasi pari alla certezza. Questa premessa
generale deve portare a riflettere su alcuni profili problematici: in effetti, gli
esiti di colpevolezza del processo penale sono affetti da insanabile relatività
e, come tali, parrebbero meritevoli di tendenziale sfiducia e predisposti ad
essere oggetto di critica e di revisione. Sfiducia che dipenderebbe dal quan-
tum probatorio occorrente per una pronuncia di condanna, ovvero dalla pre-
visione di criteri razionali deboli per la sua giustificazione.
Basti citare gli artt. 530, comma 2°, c.p.p. (che stabilisce l’assoluzione
“quando la prova è insufficiente o contraddittoria” facendo dunque intendere
che basti una prova meramente sufficiente e non contraddittoria a condanna-
re) e 546, lett. e), c.p.p. (da cui si evince che il giudice può condannare anche
in presenza di prove contrarie ritenute inattendibili): tali disposti normativi
testimonierebbero l’ontologica fallibilità delle decisioni processuali, affidate
al libero convincimento del giudice ex art. 192 c.p.p.

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