Colpevolezza e imputabilità

AutoreMassimiliano di Pirro
Pagine237-260

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@1 Inquadramento generale

Affinché un soggetto possa essere sanzionato penalmente, non basta che ponga in essere una condotta (attiva od omissiva) lesiva di un bene penalmente protetto, ma occorre anche che tale condotta sia attribuibile al soggetto, ossia che sussista, oltre al rapporto di causalità (vedi Cap. 14), anche un nesso psichico tra la condotta e l’evento lesivo (ad eccezione delle ipotesi, di dubbia costituzionalità, di responsabilità oggettiva, a proposito delle quali vedi Cap. 27).

In uno Stato di diritto, infatti, un soggetto può essere ritenuto penalmente responsabile se, oltre ad aver materialmente commesso un fatto costituente reato, lo ha realizzato con dolo o, almeno, con colpa, "partecipando" psicologicamente al fatto stesso.

A questo proposito, si parla di "colpevolezza" nel senso di insieme dei requisiti per l’imputazione soggettiva del fatto all’agente (Mantovani).

Anticipando nozioni che saranno affrontate diffusamente più avanti (vedi Cap. 25), ci limitiamo a precisare che il dolo e la colpa (artt. 42-43 c.p.) sono elementi soggettivi del reato, ossia criteri di attribuzione del fatto all’autore. In particolare:

- il dolo consiste nella previsione (cd. rappresentazione) e volontà dell’evento lesivo come conseguenza della propria condotta. Pertanto, il soggetto agisce prevedendo e volendo il reato che si accinge a commettere. Nei reati cd. formali, privi cioè di un evento in senso naturalistico (si pensi all’evasione fiscale, ossia alla violazione delle norme che obbligano a dichiarare i redditi percepiti), la previsione e la volontà riguardano soltanto la condotta criminosa (azione od omissione); invece, nei cd. reati materiali (es.: omicidio), investono anche l’evento (es.: la morte della vittima);

- la colpa consiste nella violazione di regole cautelari di condotta, scritte (es.: la legge) o non scritte (diligenza, prudenza e perizia). Si pensi, ad esempio, alla violazione delle norme in materia di antinfortunistica, che comportano una responsabilità penale del datore di lavoro a titolo di omicidio colposo in caso di morte di un operaio caduto da un’impalcatura priva dei necessari presidi di sicurezza.

L’orientamento tradizionale, risalente alla seconda metà dell’800, considerava la colpevolezza in senso esclusivamente psicologico: secondo

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questa tesi era sufficiente accertare se il soggetto aveva posto in essere un fatto lesivo doloso o colposo, senza che assumessero rilevanza alcuna i motivi che avevano spinto il soggetto ad agire, le condizioni personali del reo etc. In presenza di una condotta lesiva realizzata con dolo o con colpa, scattava la sanzione penale, uguale per tutti coloro che avessero commesso quel medesimo reato, in quanto non erano presi in considerazione, ai fini di un’eventuale aumento o diminuzione della pena, né i motivi che avevano spinto il soggetto ad agire, né le condizioni personali del reo.

Tale concezione affondava le proprie radici nel principio di uguaglianza di matrice illuministica, che reputava "giusto" assoggettare alla medesima sanzione coloro che avessero commesso gli stessi fatti lesivi di beni penalmente protetti.

Questa tesi, però, non consentiva di adattare la pena in relazione ai motivi che avevano spinto il soggetto a commettere il reato e, più in generale, alle sue condizioni personali.

Successivamente, si è fatta strada la cd. concezione normativa della colpevolezza, tuttora dominante, per la quale la colpevolezza consiste nel contrasto tra la volontà del soggetto e la norma, ossia nell’atteggiamento antidoveroso del reo. Questa definizione di colpevolezza consente di unificare i concetti del dolo e della colpa, in quanto in entrambi i casi siamo in presenza di un atteggiamento della volontà contrastante con l’ordinamento, poiché:

- il fatto doloso è un fatto volontario che non si doveva volere, e si rimprovera al soggetto di averlo prodotto;

- il fatto colposo è un fatto involontario che non si doveva produrre, e si rimprovera al soggetto di non averlo impedito.

Inoltre, la concezione normativa della colpevolezza permette di adeguare la pena a seconda della maggiore o minore rimproverabilità del fatto, tenendo conto della capacità di intendere e di volere, del nesso psicologico (dolo o colpa) tra condotta ed evento, delle condizioni personali del soggetto etc., che consentono di ritenere più o meno esigibile, da parte del reo, un comportamento conforme a diritto.

Ad esempio, è diversamente valutabile l’errore di manovra nello scambio dei binari a seconda che a commetterlo sia un ferroviere fresco di energie all’inizio del servizio o un altro stanco per l’eccessivo lavoro prestato alla fine di una giornata caldissima.

stabilisce che "la responsabilità penale è personale". Ciò significa non soltanto che un soggetto non può essere chiamato a rispondere per un fatto commesso da altri (divieto di responsabilità per fatto altrui), ma anche - e soprattutto - che un fatto può

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essere attribuito a un soggetto solamente se è stato commesso con un certo grado di partecipazione psichica (responsabilità per fatto proprio colpevole) (Mantovani).

La necessità che la condotta sia attribuibile al soggetto anche sotto il profilo psicologico costituisce diretta espressione della concezione retributiva della pena, secondo la quale la sanzione penale rappresenta il rimprovero per il male commesso, con la conseguenza che, mancando la possibilità di far risalire il reato alla volontà del soggetto (perchè, ad esempio, incapace di intendere o di volere, o per l’assenza del dolo o della colpa), la pena non ha più ragion d’essere.

Inoltre, la colpevolezza rappresenta un argine all’arbitrio della potestà punitiva dello Stato, potenzialmente senza confine (Mantovani). Infatti:

- da un lato, il soggetto risponde soltanto dei fatti che rientrano sotto il suo controllo;

- dall’altro, le pene devono essere proporzionate all’entità della colpevolezza.

Il principio di colpevolezza non può essere sacrificato dal legislatore in nome di una più efficace tutela penale di altri valori. Tale principio, infatti, ha una finalità comune a quelli di legalità e di irretroattività della legge penale (art. 25, 2° comma, Cost.): esso, cioè, intende consentire ai consociati di effettuare libere scelte, sulla base di una valutazione anticipata delle conseguenze penali della propria condotta; valutazione che verrebbe meno se al soggetto fossero addossate conseguenze non volute né concretamente rappresentate, ma neppure prevedibili ed evitabili.

Inoltre, il principio di colpevolezza svolge un ruolo fondamentale rispetto alla funzione rieducativa della pena (art. 27, 3° comma, Cost.): non avrebbe senso, infatti, rieducare chi non ha bisogno di essere "rieducato", non versando almeno in colpa rispetto al fatto commesso (Corte cost. n. 364/1988). D'altronde, la finalità rieducativa non potrebbe essere obliterata dal legislatore a vantaggio di altre e diverse funzioni della pena, che siano astrattamente perseguibili, almeno in parte, a prescindere dalla rimproverabilità dell'autore (Corte cost. n. 78/2007 e n. 257/2006). Punire in difetto di colpevolezza, al fine di dissuadere i consociati dal porre in essere le condotte vietate (prevenzione generale negativa) o di neutralizzare il reo (prevenzione speciale negativa), implicherebbe una strumentalizzazione dell'essere umano per contingenti obiettivi di politica criminale contrastante con il principio personalistico affermato dall'art. 2 Cost.

In tale ottica, dunque, il legislatore può graduare il coefficiente psicologico di partecipazione dell'autore al fatto, in rapporto alla natura della fattispecie e agli interessi che devono essere preservati, pretendendo dall'agente un particolare impegno nell'evitare la lesione dei valori esposti a rischio da

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determinate attività. Ma in nessun caso gli è consentito prescindere dal predetto coefficiente; altrimenti, stabilire quando ricorrano esigenze repressive atte a giustificare una rinuncia al requisito della colpevolezza - in vista della tutela di altri interessi di rango costituzionale, come, di norma, quelli protetti in sede penale - diverrebbe un apprezzamento rimesso alla mera discrezionalità legislativa: con conseguente svuotamento delle accennate funzioni del principio di colpevolezza.

insieme dei requisiti necessari per l’imputazione del fatto all’agente

In senso psicologico: è sufficiente accertare il compimento di un fatto lesivo doloso o colposo, senza che assumano rilevanza i motivi che hanno spinto il soggetto ad agire, le sue condizioni personali etc.

In senso normativo (concezione attualmente dominante): consiste nel contrasto tra la volontà del soggetto e la norma, ossia nell’atteggiamento antidoveroso del reo

@2 L’imputabilità

@@a) Definizione

Circa la complessa struttura della colpevolezza, la concezione normativa richiede (Mantovani) l’imputabilità, la conoscenza o la conoscibilità della norma penale, il dolo o la colpa e l’assenza di cause di esclusione della colpevolezza.

Per quanto riguarda l’imputabilità, essa consiste nella capacità di intendere e di volere al momento della commissione del fatto, come afferma l’art. 85 c.p. ("Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile. È imputabile chi ha la capacità d’intendere e di volere").

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capacità di intendere è l’idoneità del soggetto a rendersi conto del valore sociale e delle conseguenze degli atti che compie. Ciò non significa che il soggetto debba avere coscienza dell’illiceità penale del fatto, ossia della contrarietà della propria condotta alla legge: è sufficiente, infatti, che possa genericamente comprendere che essa contrasta con le esigenze della vita sociale (Antolisei).

Ovviamente, la capacità di intendere non presuppone necessariamente né il sentimento morale né l’adesione ai valori morali correnti, poiché chi è privo di sentimenti o chi dissente dai valori sociali e...

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