Azione collettiva (per fini contrattuali) e libertà economiche nel diritto comunitario

AutoreCarabelli, Umberto
Pagine111-206
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Caso Viking1
Una società finlandese (Viking), che gestiva una linea di trasporto
nautico tra la Finlandia e l’Estonia, intendeva, utilizzando la propria li-
bertà comunitaria di stabilimento, immatricolare in Estonia, in capo ad
una società controllata (Viking Eesti), uno dei suoi traghetti, il Rosella, e
quindi far battere ad esso bandiera estone. Ciò con l’obiettivo di definire
in Estonia, tramite contrattazione collettiva con i sindacati locali, dei
trattamenti economico-normativi per l’equipaggio imbarcato sul Rosella
più bassi di quelli previsti dalla contrattazione collettiva finlandese, e di
continuare a svolgere lo stesso servizio di trasporto con costi inferiori.
Al fine di ostacolare tale progetto – che di fatto rischiava di mette-
re in pericolo la futura occupazione dei marinai finlandesi – i sindacati
finlandesi hanno minacciato, contro l’operatore del trasporto nautico,
un’azione collettiva, legittima secondo la normativa finlandese. Essi
hanno ottenuto anche il sostegno solidale del Sindacato Internazionale
dei Trasporti, il quale ha invitato, con circolare, le associazioni sindaca-
li affiliate a boicottare la Viking, rifiutando di negoziare con essa.
Quest’ultima ha allora adìto la Corte di Londra (sede del Sindaca-
to Internazionale dei Trasporti), lamentando che il comportamento dei
sindacati finlandesi e di quello internazionale violava la propria libertà
comunitaria di stabilimento, sancita dall’art. 43 del Trattato CE.
Caso Laval2
Una società edile operante in Svezia (Baltic), ma controllata da una
società lettone (Laval), aveva vinto un appalto per la costruzione di una
scuola nella città svedese di Vaxholm e, nell’esercizio della propria li-
bertà comunitaria di circolazione dei servizi, intendeva eseguire i lavori
relativi all’appalto tramite personale assunto in Lettonia dalla società
madre e distaccato in Svezia presso la società controllata. Ciò al fine di
applicare ad esso i trattamenti legali e contrattuali lettoni.
In assenza di una disciplina interna svedese in materia di retribuzio-
ne, attuativa dell’art. 3, co. 1, Direttiva n. 76/91, il sindacato svedese
delle costruzioni ha cercato di convincere la Laval ad accettare il sistema
di contrattazione collettiva svedese (ispirato al volontarismo e fondato
su una contrattazione collettiva priva di efficacia erga omnes). Dopo vari
1 CGCE C-438/05 dell’11.12.2007.
2 CGCE C-341/05 del 18.12.2007.
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AZIONE COLLETTIVA PER FINI
CONTRATTUALI E LIBERTÀ ECONOMICHE
NEL DIRITTO COMUNITARIO
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tentativi andati a vuoto, alla fine ha promosso contro l’impresa svedese,
con il sostegno, in solidarie, del sindacato degli elettrici, uno sciopero
– legittimo secondo la normativa svedese – bloccando l’attività esecutiva
dell’appalto e riducendo alla fine la società svedese al fallimento.
La società Laval ha allora agito in giudizio contro i sindacati svede-
si, al fine di fare accertare l’illegittimità tanto dello sciopero diretto,
quanto di quello di solidarietà, in particolare (ai fini che qui più inte-
ressano) in ragione del loro contrasto con lart. 49 TCE, sulla libera
circolazione dei servizi, e con la stessa Direttiva n. 76/91. Ciò in quan-
to tali scioperi risultavano volti a “indurre un prestatore di servizi stra-
niero a sottoscrivere un contratto collettivo nello Stato ospitante relativo
alle condizioni di lavoro ed occupazione [e] la situazione nello Stato ospi-
tante sia tale per cui la legislazione volta a trasporre detta direttiva è priva
di qualsiasi disposizione espressa sull’applicazione delle condizioni di lavo-
ro e di occupazione [presenti] nei contratti collettivi”.
Caso Rüffert3
La legge del Land della Bassa Sassonia in materia di appalti pubbli-
ci stabilisce che le imprese partecipanti alle gare devono impegnarsi a
corrispondere ai loro dipendenti quanto meno le retribuzioni fissate
dal contratto collettivo di lavoro del luogo di esecuzione della prestazio-
ne, nonché a vincolare anche gli eventuali subappaltatori al rispetto del
medesimo obbligo.
Una società tedesca, di cui il signor Rüffert era il curatore fallimen-
tare, si era aggiudicata nel 2003 una gara pubblica d’appalto relativa
alla costruzione di un istituto penitenziario in una città nel Land della
Bassa Sassonia. Successivamente, la società tedesca aveva affidato in
subappalto i lavori ad una società avente sede sociale in Polonia, pre-
sente in Germania con una filiale. Nel 2004, essendo risultato ad un
controllo che la società subappaltatrice non rispettava le retribuzioni
prescritte dal contratto del settore edile applicabile in loco, l’ammini-
strazione tedesca aveva risolto il contratto di appalto, irrogando altresì
la penale contrattuale alla società tedesca, appaltante principale, in
quanto a conoscenza delle violazioni commesse dall’impresa subappal-
tatrice. A tale decisione si è opposto in giudizio il curatore fallimentare.
Il giudice tedesco ha così sollevato una questione pregiudiziale da-
vanti alla Corte di giustizia, chiedendo se la clausola del bando di gara
relativa al rispetto delle retribuzioni vigenti nel luogo di esecuzione
dell’appalto, in quanto obbligava le imprese degli altri Stati membri a
corrispondere ai propri dipendenti distaccati per l’esecuzione dell’appal-
to retribuzioni solitamente superiori al salario minimo obbligatorio pre-
visto dalla legge nazionale tedesca, si ponesse in contrasto con la Diretti-
va n. 71/96, e se, in quanto andava oltre quanto necessario per la tutela
dei lavoratori, costituisse un ostacolo alla libera circolazione dei servizi.
3 CGCE C-346/06 del 3.4.2008.
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Caso Commissione c/ Lussemburgo (2008)4
Una legge del Granducato del Lussemburgo del 2002, attuativa
della Direttiva n. 96/71, stabilisce che costituiscono “disposizioni im-
perative di ordine pubblico nazionale”, e in quanto tali valgono “per
tutti i lavoratori che esercitano un’attività nel Granducato di Lussem-
burgo, inclusi quelli ivi distaccati a titolo temporaneo”, tutte le previ-
sioni legislative regolamentari, amministrative, nonché quelle conte-
nute in contratti collettivi ad efficacia erga omnes, riguardanti un’ampia
serie di materie del rapporto di lavoro.
In particolare, la legge lussemburghese, sulla base di questa quali-
ficazione, ha reso vincolanti per le imprese aventi sede legale in altri
Stati membri, le quali distaccano, nel quadro di una prestazione di
servizi transnazionale, propri lavoratori in Lussemburgo, una serie di
condizioni di lavoro ed occupazione che vanno oltre quanto previsto
In ragione di questa situazione, la Commissione ha presentato ri-
corso alla Corte di Giustizia, chiedendo che essa accertasse che il Gran-
ducato del Lussemburgo aveva trasposto in modo inesatto gli artt. 3.1
e 3.10 della predetta Direttiva.
Premessa.
Questi recenti casi sottoposti alla Corte di giustizia – le cui
relative decisioni hanno dato vita ad un grande ed acceso dibat-
tito tra gli studiosi di diritto del lavoro, nonché sollevato gravi
preoccupazioni nelle organizzazioni sindacati nazionali ed euro-
pee e nelle forze politiche particolarmente sensibili alle temati-
che della protezione sociale – sono emblematici delle gravi diffi-
coltà che deve fronteggiare l’Unione europea in questa fase
storica. Il difficile processo di armonizzazione dei sistemi di tu-
tela del lavoro dei Paesi newcomers con quelli dei Paesi di più
antica membership, nonché l’emersione di una forte domanda di
valorizzazione dei diritti fondamentali, sociali e non, della perso-
na nell’ambito dell’ordinamento comunitario – sin dall’origine
avvezzo a trattare e curare soprattutto gli interessi degli operato-
ri economici alla libera circolazione di merci, servizi e capitali e
alla libera concorrenza – stanno infatti mettendo a dura prova la
sua tenuta ordinamentale e finanche democratica. Il loro studio
costituisce dunque un passaggio al tempo stesso utile e necessa-
rio per riflettere su tali difficoltà e sui processi in atto.
4 CGCE C-319/06 del 19.6.2008.

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