La collaborazione come principio generale dell'ordinamento

AutoreMarta Basile
Pagine17-58
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CAPITOLO PRIMO
LA COLLABORAZIONE COME PRINCIPIO GENERALE
DELL’ORDINAMENTO
1. Il principio di collaborazione: una manifestazione del diritto
naturale
La vita dell’uomo, in tutti i momenti del suo svolgimento, si at-
tua attraverso una serie infinita di relazioni o rapporti, posti in esse-
re con altri uomini. Né può essere ignorato che, come sostenevano i
latini, “unus homo, nullus homo”. È ormai una verità acquisita, in-
fatti, l’affermazione che l’uomo è un essere politico, cioè natural-
mente destinato alla vita associata.
Ma è pur vero che “ubi societas, ibi ius”, da cui la necessità
che ogni ordinamento giuridico segua alcuni principi fondamentali
che si suppongono validi per ogni società. Per questo motivo si par-
la generalmente di diritto naturale, inteso come quel complesso di
regole che nella elaborazione dello spirito umano si pensa siano scatu-
rite dall’intrinseca natura dei rapporti di coesistenza, senza necessità
che maturino nella volontà di un legislatore. Se si guarda ad un giudi-
zio di valore delle regole della vita associata, si dice che il diritto natu-
rale rappresenta l’id quod semper aequum ac bonum est1.
Il diritto naturale assolverebbe ad una funzione integrante e com-
plementare del diritto vigente proprio attraverso il richiamo ai principi
generali del diritto2. Esso costituisce una limitazione all’arbitrio della
1 Così A. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, XXV ed., Padova 1981,
p. 11.
2 Cfr. G. DEL VECCHIO, Lezioni di filosofia del diritto, Milano, 1965, pp.
209 e 353.
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legge di fronte alle prevalenti esigenze morali avvertite dall’uomo
che, se immanenti alla società, danno vita a dei “principi”.
Aristotele non ha difficoltà ad ammettere la preminenza del di-
ritto naturale sulle leggi particolari degli Stati3 e lo spirito pratico dei
giuristi romani giunge a superare il conflitto tra legge dello Stato e
legge naturale recependo quest’ultima come fonte concorrente e inte-
grativa del diritto vigente. Il pensiero giusnaturalistico finisce così per
intendere il diritto naturale quale espressione di principi superiori es-
senzialmente legati alla natura razionale e sociale dell’uomo4.
Rimane però la difficoltà di individuare quali siano questi prin-
cipi e di comprendere il relativismo degli ordinamenti giuridici do-
vuto alla loro evoluzione storica. Di qui la più recente tendenza
volta a riportare i principi ai valori umani che il momento storico, di
volta in volta, determina e ai quali l’ordinamento deve adeguarsi5. Per
cui “un ordinamento sociale è diritto solo quando esso è più che la
manifestazione di una contingente posizione di forza, quando esso al
contrario contiene il tentativo di realizzare ciò che è socialmente
vero e giusto, sotto le condizioni e i presupposti della loro età6.
Questa definizione di un ordinamento che voglia definirsi di
diritto”, comporta che sia proprio il principio di collaborazione a
caratterizzare i rapporti tra Stato (“posizione di forza”) e cittadini.
In questa visione di “etica collettiva7 non manca chi, però,
mette in guardia dal rischio di uno sbilanciamento in senso opposto
nel caso in cui l’importanza della sfera privata dovesse lievitare a
tal punto da pervadere e invadere la sfera pubblica, distruggendone
le sue radici.
Un simile fenomeno, infatti, rischierebbe di condurre alla dis-
soluzione della stessa società civile8. Nel contesto tributario, in par-
3 ARISTOTELE (384-322 a.C.), Retorica, 1375 b.
4 GROZIO (1583-1645), De iure belli ac pacis, I.
5 V. COTTA, Diritto Naturale, in Enc. Dir., XII, Milano, 1964, p. 647.
6 H. WELZEL, Diritto naturale e giustizia materiale (trad. it.), Milano,
1965, p. 381.
7 F. D’AYALA VALVA, Il principio di cooperazione tra amministrazione
e contribuente. Il ruolo dello Statuto, in Riv. Dir. trib., 2001, n. 10, I, p. 957.
8 G. TREMONTI - G. VITALETTI, La fiera delle tasse, Bologna, 1991, p.
239. Gli autori, evidenziano l’insufficienza dei rimedi basati sulle modifiche
normative e richiamano l’esigenza di un’etica fiscale capace di porre le basi del
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ticolare, si manifesta, nella sua forma più incisiva, il primordiale
potere dello Stato: quello di imposizione.
Partendo da questo presupposto, allora, la possibilità applicati-
va del principio collaborativo nell’ambito del diritto tributario ne-
cessità di un campo di osservazione più vigilato rispetto al diritto
amministrativo: autorità e consenso, infatti, sono fonti alternative
attraverso cui gli ordinamenti giuridici possono decidere di operare.
Oggetto del diritto tributario è, infatti, stabilire e far rispettare
le regole del concorso di tutti alle spese pubbliche, attività in cui il
fenomeno dell’“autorità” dello Stato è quanto mai caratterizzante. Si
è di fronte, inoltre, ad una attività “non discrezionale” della funzione
di accertamento, regolata dal principio di indisponibilità del tributo (o
meglio della materia tributaria) finalizzato ad assicurare il buon anda-
mento dell’amministrazione ed adeguati servizi pubblici che uno Stato
di Welfare deve assicurare in misura sempre più consistente.
Perché, allora, lo Stato dovrebbe rinunciare al suo originario pote-
re di imposizione e alla sua storica posizione di forza nei confronti del
cittadino contribuente? Forse perché il principio di collaborazione è un
principio imprescindibile in uno Stato che voglia definirsi, “di diritto”;
uno di quei principi che, per la loro immanenza in ciò che è “social-
mente giusto” finisce per essere di diritto naturale.
Naturalità”, infatti, vuol dire razionalità e storicità, inerenza
alla persona umana; vuol dire “umanità” del diritto, “svolgimento
storico e progressivo della autonomia e della solidarietà dei sog-
getti, singoli e consociati9.
Il problema che rimane è quello di tradurre i principi in impera-
tivi. È sempre in agguato, infatti, il rischio che i cosiddetti “fini su-
periori” abbiano un carattere di astrattezza e genericità insuperabi-
li. Da questo la successiva necessità di positivizzare tali principi
naturali, di codificarli per far si che gli stessi siano giustiziabili, in
quanto certi e costanti. In realtà un principio naturale non può ac-
quisire imperatività se non tende a tradursi in una norma positiva.
nuovo rapporto collaborativo fisco-contribuente, capace di far superare l’ormai
obsoleto concetto di dovere fiscale.
9 G. PERTICONE, Voce Diritto Naturale, in Nuovo Digesto Italiano, 1971,
pp. 1116 e ss.

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