Spunti civilistici sull'azione revocatoria fallimentare

AutoreAndrea Nervi
Pagine115-138

Relazione tenuta presso l'Università di Sassari, sede di olbia, in data 11 marzo 2008 nell'ambito del Convegno "La nuova legge fallimentare dopo il decreto correttivo".

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@1. L'azione revocatoria nel sistema del codice civile

L'azione revocatoria non è un istituto peculiare della materia fallimentare, in quanto essa si trova disciplinata anche (e vorrei dire, prima) nel codice civile, agli artt. 2901 e seguenti, significativamente collocati nel libro Vi dedicato alla tutela dei diritti, e nel capo intitolato ai mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale.

L'azione revocatoria, quindi, si collega al fondamentale principio posto dall'art. 2740 c.c., in base al quale "il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri". Un civilista quanto mai autorevole1 ha avuto modo di affermare che la regola contenuta nell'art. 2740 c.c. si colloca, per importanza, sullo stesso piano di quelle poste dall'art. 832 c.c. (sulla definizione del diritto di proprietà), dall'art. 1321 c.c. (sulla definizione di contratto) e dall'art. 2043 c.c. (sulla responsabilità civile); ci si muove quindi sul piano dei principi fondanti il nostro sistema privatistico.

A ben vedere, il principio della responsabilità patrimoniale del debitore è attraversato dalla tensione fra due istanze tra loro contrapposte:

- per un verso, ed apparentemente, la regola pone un vincolo a carico del patrimonio del debitore, che sembrerebbe normativamente preordinato ad assicurare il soddisfacimento delle ragioni del ceto creditorio;

- per altro verso, tuttavia, la norma non fissa - a carico del debitore - alcun divieto in ordine al potere di disporre del proprio patrimonio2. Tale potere resta tendenzialmente libero.

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In altri termini, l'ordinamento giuridico riconosce a ciascun soggetto di diritto l'autonomia negoziale e, per questa via, gli strumenti attraverso i quali il soggetto può gestire il proprio patrimonio secondo le proprie scelte; per altro verso, lo stesso ordinamento individua nel complessivo patrimonio del soggetto l'insieme delle risorse che garantiscono, ai creditori di quel soggetto, il soddisfacimento delle loro pretese.

Il nodo di fondo della problematica risiede quindi nella ricerca di un contemperamento e di un equilibrio tra questi contrapposti interessi3. Ê esattamente in questa prospettiva che viene in rilievo l'azione revocatoria disciplinata nel codice civile, nota anche come revocatoria "ordinaria". L'esperimento dell'azione presuppone che - dal punto di vista oggettivo - il debitore abbia esercitato la propria autonomia negoziale in maniera tale da pregiudicare la consistenza del proprio patrimonio e, per l'effetto, leda o metta in pericolo il soddisfacimento delle ragioni del suo ceto creditorio.

Nel momento in cui si verifica una simile fattispecie, vengono in rilievo tre ordini di interessi, che possono essere schematizzati come segue:

(i) interesse del debitore ad esercitare la propria autonomia negoziale, ponendo in essere atti di disposizione del proprio patrimonio;

(ii) interesse del terzo a conservare gli effetti dell'atto posto in essere con il debitore, quanto meno nell'ipotesi in cui si tratti di atto a titolo oneroso e, dunque, abbia comportato un sacrificio per il terzo medesimo;

(iii) interesse del creditore a non vedere pregiudicato il soddisfacimento della propria pretesa nei confronti del debitore disponente.

Il contemperamento tra queste contrapposte esigenze viene individuato dal legislatore operando su due piani. In primo luogo, si subordina l'esperimento dell'azione (e quindi la tutela del creditore) alla sussistenza di determinati presupposti soggettivi, che attengono - in buona sostanza - alla condizione psicologica del debitore, ed eventualmente del terzo, rispetto all'atto posto in essere. Sono i noti elementi della consapevolezza del pregiudizio o della dolosa preordinazione ai danni del ceto creditorio4 (a seconda della collocazione cronologica dell'atto rispetto al sorgere della pretesa creditoria), i quali devono configurarsi anche in capo al terzo se l'atto contestato sia a titolo oneroso5.

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Il secondo piano su cui il legislatore opera per contemperare le contrapposte esigenze concerne il "trattamento giuridico" cui viene sottoposto l'atto pregiudizievole. Secondo la ricostruzione fornita dalla dottrina più accreditata6, l'equilibrio viene trovato colpendo l'atto ritenuto pregiudizievole con la sanzione dell'inefficacia relativa. L'atto conserva dunque la sua validità sia inter partes (tra debitore e terzo) sia erga omnes (nei confronti della generalità dei terzi). Solamente nei confronti del creditore che ha agito in revocatoria l'atto compiuto dal debitore viene privato di efficacia, nel senso che esso non viene considerato idoneo a sottrarre quel dato bene alla garanzia patrimoniale generica nei confronti di quel dato creditore. In altri termini quel bene, ancorché formalmente uscito dal patrimonio del debitore, continua fittiziamente a farne parte per quel dato creditore, il quale, sussistendone i presupposti (mancato soddisfacimento della sua pretesa), può sottoporre quel bene ad esecuzione forzata presso il terzo avente causa7.

Per effetto del vittorioso esperimento dell'azione revocatoria si viene a determinare una situazione singolare dal punto di vista sistematico: il terzo, avente causa dal debitore, subisce l'aggressione di un bene validamente entrato nel proprio patrimonio, e ciò su iniziativa di un creditore del proprio dante causa8. L'aggressione in via esecutiva ha luogo nei limiti in cui ciò sia strettamente necessario al soddisfacimento delle ragioni del creditore. Prova ne sia che il terzo avente causa è legittimato a far valere, nei confronti del debitore, le proprie ragioni sul bene oggetto dell'atto di disposizione poi revocato, sia pure in via postergata rispetto a quelle del creditore vittorioso in revocatoria.

L'assetto normativo delineato nel codice civile, apparentemente semplice, attesta - a ben vedere - un delicato lavoro compiuto dal legislatore nel considerare le varie posizioni e nel bilanciarle attraverso un attento "dosaggio" delle forme di tutela9.

A questo punto dell'indagine può essere opportuno cercare di trarre indicazioni utili a livello sistematico, che possano guidare lo sviluppo dell'indagine. Rispetto al Page 118 nodo concettuale sopra evidenziato (contemperamento tra tutela dell'autonomia patrimoniale e tutela delle ragioni creditorie), l'ordinamento fa prevalere le ragioni del ceto creditorio subordinatamente al ricorrere delle seguenti condizioni:

  1. esistenza di un pregiudizio alle ragioni del creditore sub specie di diminuzione o deterioramento della garanzia patrimoniale offerta dal debitore;

  2. consapevolezza (ovvero dolosa preordinazione) del pregiudizio da parte del debitore ed, eventualmente, del terzo avente causa.

Rispetto al terzo avente causa dal debitore, inoltre, la prevalenza delle ragioni del creditore è limitata - per così dire - allo stretto indispensabile, come attesta l'istituto dell'inefficacia relativa e la sopravvivenza (postergata) delle ragioni del terzo nei confronti dello stesso debitore.

Nel prosieguo dell'indagine occorrerà verificare se, ed eventualmente in quale misura, queste conclusioni "tengano" anche nell'ambito del diritto fallimentare, che - come presto vedremo - è caratterizzato dalla sussistenza di particolari presupposti e conseguenti soluzioni normative. Prima di procedere oltre, è importante sottolineare alcune peculiarità della disciplina codicistica dell'azione revocatoria. Si è sopra sottolineato che tale disciplina costituisce la risposta dell'ordinamento all'esigenza di contemperare l'esercizio dell'autonomia negoziale con la tutela delle ragioni del ceto creditorio; in questa prospettiva, l'azione revocatoria si pone come una sorta di correttivo all'esercizio dell'autonomia negoziale, laddove quest'ultima determini un pregiudizio alle ragioni dei creditori.

Sviluppando questa linea di ragionamento, si arriva facilmente alla conclusione secondo cui, laddove non viene in rilievo un atto di autonomia negoziale, lì non vi è spazio per l'esperimento dell'azione revocatoria. Ciò significa, quindi, che un atto dovuto, quale l'adempimento di un obbligo o l'effettuazione di un pagamento, non è revocabile10; e difatti l'art. 2901, comma 3, c.c. esclude espressamente dall'ambito della revocatoria (ordinaria) il pagamento di un debito scaduto11. Si vedrà più avanti la delicatezza di questo aspetto con riferimento all'ambito imprenditoriale e, quindi, fallimentare.

Il secondo aspetto problematico della disciplina codicistica attiene invece ad una certa "parzialità" dell'approccio seguito dal legislatore codicistico. A ben vedere, infatti, Page 119 il quadro normativo delineato agli artt. 2901 e ss. fa riferimento quasi esclusivamente agli atti traslativi, ossia a quegli atti per effetto dei quali il debitore "fa uscire" determinati beni dal proprio patrimonio, sottraendoli quindi alla garanzia prevista per il ceto creditorio.

In realtà, come evidenziato da un'attenta dottrina12, la garanzia patrimoniale può essere lesa non solo attraverso atti traslativi, ma anche attraverso l'assunzione di obbligazioni e/o la prestazione di garanzie. Il problema consiste nella circostanza che, rispetto a tali atti (che pure rientrano nell'esercizio dell'autonomia negoziale da parte del debitore), non sembrano "reggere" le elaborazioni concettuali sviluppate dalla dottrina, che guarda principalmente al fenomeno degli atti traslativi. Rispetto a questi ultimi, infatti, si ravvisa l'esistenza di una discrasia temporale tra il compimento dell'atto pregiudizievole e l'azione esecutiva intentata dal creditore procedente; a questa configurazione la tesi dell'inefficacia relativa si attaglia perfettamente, perché essa consente di eliminare gli effetti dell'atto dispositivo nella misura strettamente necessaria a consentire al creditore il futuro (ed...

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