Responsabilità civile sportiva. Un esempio di diritto consuetudinario?

AutoreAldo Pierluigi Benedetti
Pagine189-199

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@1. Premessa

Lo sport è fenomeno di grande fascino ed interesse, che si manifesta in modo multiforme e complesso. Anche il giurista si pone di fronte a questa complessità; innumerevoli e peculiari sono infatti gli aspetti della materia degni di interesse ed attenzione. Tra tutti i temi di possibile indagine uno dei più interessanti è rappresentato senz’altro dalla c.d. responsabilità civile sportiva. L’argomento infatti pare di una certa importanza, oltre che per ragioni di carattere ricostruttivo, soprattutto a causa della notevole estensione della pratica sportiva nella società moderna, cui conseguono frequenti e numerosi incidenti. Interrogarsi sulla risarcibilità dei danni che siano conseguenza dello sport è quindi sforzo tuttora attuale.

Prima di cercare di affrontare in modo adeguato la materia si rendono necessarie alcune brevi premesse. È noto che lo sport può essere, più o meno direttamente, “causa” di danni; in questo senso si può ricordare, solo per fare qualche esempio, come accanto ai danni che gli atleti subiscano “sul terreno di gioco” a causa di eventi legati alla gara cui partecipano (ai quali possono essere assimilati quelli riportati dagli altri soggetti che necessariamente si trovino sul campo, come ad esempio gli arbitri), siano date categorie di danni, come quelli riportati dagli spettatori di un evento sportivo (oppure quelli legati al delicato settore della responsabilità del medico sportivo) che presentano caratteristiche sicuramente differenti e meno strettamente legate all’evento sportivo. Questo scritto, cercando di approfondire una riflessione già iniziata1, tratterà quasi esclusivamente il problema dei danni che i “partecipanti” alle diverse manifestazioni sportive2 riportino.

Giova inoltre precisare che nel corso di questa indagine l’espressione “responsabilità civile sportiva”, che pure è stata sottoposta a critiche più o meno mar-Page 190cate3, verrà utilizzata per individuare con una espressione sintetica ed efficace il particolare regime (in deroga alle ordinarie regole) di responsabilità civile che interessa i danni che conseguono all’esercizio di attività sportive, danni che siano riportati da coloro che prendono direttamente parte, “sul terreno di gioco”, all’attività stessa4.

@2. Il regime della responsabilità civile sportiva: Le regole effettive

Converrà subito sgombrare il campo da possibili equivoci. Le regole effettivamente applicate alla responsabilità civile sportiva non sono quelle ordinarie dettate dal legislatore con le norme degli artt. 2043 ss. c.c.

Infatti, da una rapida scorsa alla (invero non troppo numerosa) giurisprudenza sul tema5 emerge chiaramente come il regime della responsabilità civile sportiva deroghi a quello ordinario, dando vita a quella che può essere considerata una vera e propria zona di “irresponsabilità”: i giudici paiono essere alquanto restii ad addossare a chi si dedica all’esercizio di un’attività sportiva la responsabilità per i danni che da essa derivino ad altri partecipanti. In questa prospettiva le argomentazioni utilizzate dalle Corti sono di vario tipo6; è peraltro facile notare che la gran parte delle decisioni (soprattutto diPage 191quelle più recenti7) ha sottolineato come chi intraprende l’esercizio di un disciplina sportiva ne assume il conseguente “rischio sportivo”8. Quest’ultima impostazione può ritenersi in larga parte condivisibile; difatti sono sufficienti poche rapide considerazioni per osservare come la responsabilità civile sportiva muova da punti di partenza che sono differenti rispetto a quelli che sovraintendono alle ordinarie regole di responsabilità extracontrattuale. In primo luogo è infatti dato innegabile che ogni attività sportiva9, in quanto connotata da un (anche se minimo) certo qual grado di competitività e di “contrasto fisico” tra i partecipanti, comporta necessariamente un rischio per l’incolumità degli stessi10; questo rischio, peraltro, sicuramente varierà a seconda del concreto tipo di attività sportiva praticato. Inoltre altre due aspetti si mostrano nitidi: in primis che questo rischio è in qualche modo, almeno implicitamente, accettato da chiunque prende parte ad una pratica sportiva11; in secondo luogo non si deve tacere che lo Stato, pur conscio dei possibili pericoli che la accompagnano, sostiene, incoraggia e promuove l’attività sportiva, in virtù degli innumerevoli benefici che essa genera ai singoli e alla collettività (anche in considerazione del fatto che lo sport è oramai un vero e proprio settore economico di grande rilevanza, con un enorme volume di affari e un grande numero di occupati).

Data questa chiave di interpretazione risulta centrale la questione della valutazione del rischio consentito perché possa essere esclusa la risarcibilità del danno. Infatti la dottrina che si è interrogata su questo aspetto ha fornito diverse possibili ricostruzioni, spesso tra di loro contrastanti. Accanto a soluzioni che non ritengono di dover valoPage 192rizzare il dato del rischio sportivo nella valutazione di queste ipotesi12, è possibile rinvenire opzioni interpretative alternative che sottolineano in modo diverso il ruolo che il rischio viene ad avere nella valutazione dei danni conseguenti alla pratica sportiva: si è quindi evidenziato come le ordinarie regole di responsabilità civile siano adattate alla dimensione sportiva utilizzando il concetto di accettazione del rischio13, o, diversamente, si è sostenuto che in ambito sportivo si ha la creazione di standard di condotta speciali, che trovano origine in una scriminante non codificata, tali da imporre una peculiare valutazione della colpa del danneggiante14. Tra le soluzioni elaborate dalla dottrina quella che probabilmente fornisce la spiegazione più convincente – pur utilizzando sempre istituti classici come l’accordo tacito e le clausole di esonero dalla responsabilità – è quella che ritiene che i partecipanti ad un evento sportivo, tramite un accordo (tacito) tra di loro, accettino il rischio che sia naturalmente riconducibile all’evento15.

Rimane quindi da investigare su quale sia l’area del rischio consentito: essa corrisponde al rispetto delle regole del gioco oppure, in senso diametralmente opposto, la responsabilità sorge solo in caso di condotte dolose – cioè quando lo sport rappresenta unicamente l’occasione per causare un danno? La giurisprudenza, ma anche la dottrina, hanno mostrato soluzioni non sempre omogenee16. La tesi preferibile, per ragioni quasi più di logica che strettamente giuridiche, è quella per cui il rischio sportivo cui si sottopone chi prende parte ad un evento sportivo non coincide con l’area delle condotte rispondenti ai regolamenti sportivi; i falli di gioco non sono automaticamente fonte di responsabilità17. Anzi, si nota che nell’ambito sportivo la linea di demarcazione tra danni ingiusti e lesioni non risarcibili è “spostata in avanti”18. Si può infatti affermare senza particolari incertezze che le lesioni che siano occasionate nell’esercizio della pratica sportiva non danno mai luogo a responsabilità, fatte salve lePage 193ipotesi di illeciti dolosi in cui lo sport sia solo un pretesto o l’occasione di un danno che non solo deve essere “volontariamente” causato, ma anche per fini che siano completamente estranei alla gara19.

Sempre alla luce di quanto sopra evidenziato, ma secondo una diversa prospettiva (e quasi a mo’ di conferma) si osserva anche come la possibilità di ottenere il risarcimento dei danni patiti da un atleta minorenne – ascrivendo la responsabilità, exart. 2048 c.c., agli allenatori, agli insegnanti, o alle società sportive – non risulti né agevole né particolarmente gradita alle Corti20.

Emerge quindi un quadro complessivo caratterizzato, come si è già avuto modo di mettere in evidenza, da una sostanziale e tendenziale “irresponsabilità”, che viene meno solamente nella (remota) eventualità che lo sport sia solo un’occasione per causare danni – ossia che gli stessi vengano dolosamente cagionati. Lo sport provoca allora una sorta di sospensione delle regole ordinarie, per cui non vengono risarciti danni che normalmente lo sarebbero, così come fatti che sarebbero penalmente illeciti cessano di esserlo21.

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@3. Il diritto effettivo della responsabilità civile: Giustificazione e fondamento

Dopo aver constatato che il regime di diritto effettivamente applicato alla responsabilità civile sportiva deroga alle ordinarie regole di responsabilità civile rimangono impregiudicate due questioni fondamentali. In particolare pare proficuo interrogarsi, da un lato, sulla opportunità o meno di questo assetto nonché, sotto altro profilo, sul fondamento di tale deroga.

La deroga alle ordinarie regole di responsabilità civile che opera in ambito sportivo pare assolutamente opportuna e condivisibile. Quanti, più o meno esplicitamente, sostengono (o comunque invocano) l’applicazione dello ius commune del codice civile22, magari in qualche modo “adattate” al settore sportivo, in realtà non colgono nel segno per almeno due ordini di ragioni.

Da un primo punto di vista pare che non si voglia prendere piena consapevolezza dei dati che effettivamente emergono dalla prassi non solo giurisprudenziale ma anche sociale. Infatti si rileva che non solo i tribunali enunciano ed applicano una regola sostanzialmente divergente da quella dettata dell’art. 2043 c.c. – e tendenzialmente orientata verso l’irresponsabilità – ma anche che il numero di controversie in materia è decisamente scarso, soprattutto in relazione alla grande diffusione dello sport nel nostro paese, quasi che vi sia nei consociati, un’implicita convinzione che tali danni non siano risarcibili23.

D’altro canto non si può tacere che l’applicazione delle regole ordinarie di responsabilità civile allo sport comporterebbe conseguenze incongrue e non desiderabili. Lo stato infatti incoraggia e sostiene in vario modo l’attività sportiva, sia agonistica che dilettantesca24. Questo sostegno è fondato su diverse ragioni; molto...

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