Corte di cassazione penale sez. VI, 21 novembre 2013, n. 46482 (ud. 30 ottobre 2013)

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giur
1/2014 Arch. nuova proc. pen.
LEGITTIMITÀ
In quest’ultimo caso, che ricorre anche nella fattispe-
cie oggi in esame, non potrà mai essere suff‌iciente la mera
indicazione delle norme di legge violate, ma occorrerà una
adeguata specif‌icazione della condotta di rilievo penale e
dei fatti concreti in relazione ai quali si ricercano le cose
da sequestrare.
6. I principi della sentenza Ferazzi, per quanto da
leggere come indicativi della conformità alle regole pro-
cessuali di soluzioni ragionevoli e non formalistiche, nel
senso appena illustrato, appaiono pertanto del tutto con-
divisibili a dispetto della laconica affermazione contraria
contenuta nell’ordinanza impugnata: e ne consegue, come
anticipato in premessa, che le doglianze del ricorrente
risultano pienamente fondate.
Nel decreto emesso dal Procuratore della Repubblica
di Velletri non vi era motivazione alcuna sulle f‌inalità
istruttorie che mediante il sequestro si intendevano
perseguire, né - quanto meno - risultavano suff‌iciente-
mente individuate le ipotesi di reato (con riferimento ad
episodi concreti, al di là della menzione del nomen juris
delle presunte condotte di rilievo penale) da ascrivere
alle persone sottoposte a indagini. Non risulta neppure,
a ben guardare, che il P.M. abbia provveduto ad integrare
la parte motiva del proprio provvedimento, le cui lacune
non erano certamente emendabili da parte dei giudici
del riesame: infatti, “inviando la documentazione che
egli intendeva sottoporre all’esame del Tribunale”, come
l’ordinanza impugnata da atto essere accaduto nel caso di
specie, la parte pubblica non è affatto intervenuta sulla
motivazione del decreto, ma ha semplicemente ritenuto di
trasmettere atti a sostegno della decisione adottata con il
provvedimento oggetto di gravame.
Si impone in def‌initiva, come statuito nella sentenza
delle Sezioni Unite più volte ricordata, l’annullamento
dell’ordinanza impugnata, nonché del presupposto decre-
to del P.M. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. VI, 21 NOVEMBRE 2013, N. 46482
(UD. 30 OTTOBRE 2013)
PRES. SERPICO – EST. CAPOZZI – P.M. CEDRANGOLO (DIFF.) – RIC. P.G. IN PROC.
MENNELLA
Misure cautelari personali y Estinzione y Ter-
mini di durata massima della custodia cautelare y
Computo y Sospensione y Aumento f‌ino a sei mesi
ex art. 303, comma primo, lett. b), n. 3 bis, c.p.p. y
Delitti di cui all’art. 407, comma 2, lett. a), c.p.p. y
Esclusione.
. In tema di durata massima delle misure cautelari
coercitive, il limite del doppio del termine previsto per
ciascuna fase, stabilito, per l’ipotesi che intervengano
cause di sospensione, dall’art. 304, comma 6, c.p.p., deve
ritenersi comprensivo anche dei sei mesi in più previsti
dall’art. 303, comma 1, lett. b), n. 3 bis per il caso in
cui si proceda per taluno dei delitti di cui all’art. 407,
comma 2, lett. a), stesso codice. (Mass. Redaz.) (c.p.p.,
art. 303; c.p.p., art. 304; c.p.p., art. 407) (1)
(1) In senso difforme si veda Cass. pen., sez. V, 26 luglio 2012, Ali, in
CED Cassazione penale, RV 252938 che afferma non doversi tenere
conto, nel computo del termine di fase della custodia cautelare, del-
l’aumento f‌ino a sei mesi previsto dall’art. 303, comma primo, lett. b),
n. 3 bis c.p.p.. Nel medesimo senso della massima in epigrafe, v. Cass.
pen., sez. VI, 25 ottobre 2011, Amasiatu, in questa Rivista 2013, 104;
Cass. pen., sez. I, 12 settembre 2007, P.M. in proc. Greco, ivi 2008, 622
e Cass. pen., sez. I, 27 febbraio 2002, Gulino, ivi 2002, 267.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con ordinanza del 22 maggio 2013 il Tribunale del
riesame di Napoli - a seguito di appello ex art. 310 c.p.p.
proposto nell’interesse di Mennella Nunzio avverso la
ordinanza del 5 marzo 2013 con la quale la Corte di ap-
pello di Napoli ha rigettato l’istanza di scarcerazione del
Mennella per decorrenza dei termini di fase - ha annullato
detta ordinanza disponendo la immediata liberazione del-
l’imputato se non detenuto per altra causa.
2. Avverso la ordinanza propone ricorso per cassazio-
ne il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Napoli deducendo violazione dell’art. 304 c.p.p., comma
6. Il ricorrente, assume che il termine di fase non doveva
considerarsi spirato alla data dell’8 febbraio 2013, de-
ducendo che, ai f‌ini del calcolo dei termini massimi che
dei termini di fase, occorre tenere conto per il giudizio di
appello e quello di cassazione della pena edittale prevista
per il reato per il quale è intervenuta condanna e non della
sanzione in concreto irrogata e che, pertanto, il termine
di fase per l’appello doveva individuarsi nell’ambito della
previsione di cui all’art. 303, comma 1, lett. c), n. 3 e pari
ad un anno e sei mesi; di qui il raddoppio a tre anni per
le intervenute sospensioni. Inoltre, secondo il ricorrente,
anche alla stregua di sez. V 30759/12, deve essere conside-
rato l’ulteriore termine semestrale di cui all’art. 303 c.p.p.,
comma 1, lett. b), n. 3 bis, illegittimamente escluso dal
Tribunale in base ad una non consentita diversif‌icazione
del trattamento dei termini di fase del giudizio di appello.
3. Il ricorso è infondato.
4. Il Tribunale partenopeo è stato investito della istan-
za difensiva di declaratoria di ineff‌icacia della ordinanza
custodiale emessa nei confronti del Mennella in ordine al
delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, e L. n. 230
del 1991, art. 7 - eseguita il 20 gennaio 2010 - per dedotto
superamento dei termini massimi di fase previsti per il
grado di appello ai sensi dell’art. 303 c.p.p. e art. 304 c.p.p.,
comma 6.
4.1. Il primo grado è stato def‌inito con sentenza emessa
nel febbraio del 2011 con la condanna dell’imputato ad
otto anni di reclusione. Nel corso del giudizio di appello
è intervenuta la sospensione dei termini custodiali ex art.
304 c.p.p., comma 2, per la complessità del processo, oltre
altre sospensioni verif‌icatesi per motivi diversi.
4.2. Secondo il Tribunale, innanzitutto, per calcolare il
termine massimo di fase in appello deve farsi riferimento
alla pena concretamente irrogata con la sentenza di primo
grado che, essendo nella specie inferiore a dieci anni di

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