Corte di cassazione penale sez. I, 5 dicembre 2013, n. 48885 (c.c. 16 ottobre 2013)

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giur
3/2014 Rivista penale
LEGITTIMITÀ
di condanna (e che in quella sede aveva costituito oggetto
di specif‌ica valutazione da parte del Gip) avrebbe potuto
essere assoggettato a critica e a nuova valutazione, pre-
clude al giudice investito della richiesta di oblazione di
revocare in dubbio il titolo di reato ormai cristallizzato nel
decreto penale.
Proprio il consolidato indirizzo giurisprudenziale, so-
pra richiamato, che impone al giudice di emettere sempre
il decreto che dispone il giudizio (vietandogli di rendere
esecutivo il d ecreto penale opposto, a pena di abnormità
dell’atto), qualora ritenga inammissibil e la domanda d i
oblazione formulata nel contesto dell’atto di opposizio-
ne, anche in assenza di richiesta di altri riti alternativi,
postula, i nfatti, che l a richiesta di procedere al giudizio
sia intrinsecamente connaturata al solo fatto della pro-
posizione dell’opposizione (per l’espressa aff ermazione
del principio, si richiama Sez. I, n. 6643 dell’1 dicembre
1999, RV215232); e, tra le ragioni che legittimano la de-
claratoria d’inam missibilità dell’istanza di oblazione, e il
conseguente pass aggio obbligatorio alla fase del giudizio
(naturalmente deputata alla critica e alla rivalutazione
dell’imputazione che ne costituisce l’og getto), deve
certamente includersi l’esito negativo della verif‌ica,
che il giudice è tenuto a com piere nell’esercizio del suo
potere-dovere di corretta def‌inizione giuridica del fatto
sottoposto alla sua valutazione, della riconducibilità della
fattispecie concreta a un titolo di reato che consenta
l’oblazione, senza che tale verif‌ica possa essere condizio-
nata dalla qualif‌icazione attribuita al fatto nel decreto
penale che, per effetto dell’opposizione, è ormai privo di
una qualunque eff‌i cacia preclusiva, essendo destinat o
a essere revocato e sostituito da una nuova pronuncia
giudiziale (ovvero, nel caso di una corretta ammissione
all’oblazione, dal titolo negoziale di matrice unilaterale
conseguente al pagam ento della somma determinata ai
sensi dell’art. 162 bis c.p.).
La sentenza impugnata, che ha erroneamente dichia-
rato l’estinzione del reato, deve pertanto essere annullata
senza rinvio; gli atti vanno conseguentemente trasmessi
al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di
Frosinone, che, uniformandosi al principio di diritto so-
pra affermato in ordine alla qualif‌icazione come delitto di
cui agli artt. 2 e 7 legge n. 895 del 1967 della detenzione
del fucile da caccia tipo doppietta cal. 12 marca Pedretti
di cui è stata omessa la denuncia all’Autorità di pubblica
sicurezza, emetterà i provvedimenti conseguenti ex art.
464 c.p.p. alla proposizione dell’opposizione al decreto
penale e all’inammissibilità della domanda di oblazione,
dando corso al giudizio nel quale dovrà porsi e affrontarsi,
secondo le ordinarie regole processuali, il tema della cor-
retta qualif‌icazione giuridica del reato.
Rimane assorbita la censura relativa all’omessa conf‌i-
sca del fucile, prevista come obbligatoria dall’art. 6 della
legge n. 152 del 1975 (Sez. I, n. 1806 del 4 dicembre 2012,
Scotti, RV254213). (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. I, 5 DICEMBRE 2013, N. 48885
(C.C. 16 OTTOBRE 2013)
PRES. BARDOVAGNI – EST. BONITO – P.M. STABILE (DIFF.) – RIC. OLIVIERI
Fallimento ed altre procedure concorsuali y
Effetti del fallimento y Decorrenza y Per le società
di capitali y Dalla dichiarazione di fallimento y Ap-
plicabilità della disciplina di favore di cui all’art.
657 c.p.p. y Esclusione y Fattispecie in tema di reato
di bancarotta fraudolenta.
. In tema di fungibilità della pena, ai f‌ini della realiz-
zazione della condizione prevista dall’art. 657, comma
4, c.p.p., costituita all’anteriorità della carcerazione
sofferta “sine titulo” rispetto alla commissione del
reato per il quale dev’essere determinata la pena da
eseguire, occorre riferirsi all’epoca in cui è stata po-
sta in essere la condotta relativa a tale reato e non al
momento in cui il medesimo è da ritenere consumato.
(Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte
ha censurato la decisione del giudice di merito con la
quale era stata esclusa la fungibilità di un periodo di
detenzione sofferto “sine titulo” per un addebito di
bancarotta fraudolenta per la sola ragione che, pur es-
sendo stata posta in essere la condotta relativa a tale
reato in epoca antecedente alla commissione del fatto
al quale si riferiva la pena da eseguire, la declaratoria
di fallimento, dalla quale dipendeva la conf‌igurabilità
della bancarotta, era stata successiva). (Mass. Redaz.)
(c.p.p., art. 657; r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 216)
(1)
(1) In senso contrario alla pronuncia in commento si veda il pre-
cedente citato in parte motiva Cass. pen., sez. V, 3 febbraio 2003,
Vicario, che risulta inedito, secondo cui ai f‌ini dell’applicazione del
disposto dell’art. 657, comma 4 c.p.p., occorre riferirsi al momento in
cui possa considerarsi consumato il reato, ossia, nel caso di specie,
nel momento perfezionativo del delitto di bancarotta con la dichia-
razione giudiziale di fallimento. Si veda inoltre, per un caso analogo
a quello riportato in massima, Cass. pen., sez. I, 29 dicembre 2010,
Sica, in Ius&Lex dvd n. 2/2014, ed. La Tribuna, già citata in parte mo-
tiva, che in caso di continuazione tra reati di bancarotta fraudolenta,
individua, ai f‌ini della dimostrazione della contiguità cronologica del
disegno criminoso, non la data della sentenza dichiarativa di falli-
mento, che segna il momento consumativo del reato, quanto la data
in cui furono poste in essere le condotte.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con ordinanza del 4 febbraio 2013 la Corte di appello
di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava
l’istanza proposta da Olivieri Tommaso volta, ai sensi del-
l’art. 657 c.p.p., comma 4, al riconoscimento della fungi-
bilità sanzionatoria del periodo di detenzione sofferto in
relazione al provvedimento penale n. 2060/92 conclusosi
con declaratoria di improcedibilità dell’azione penale per-
chè prescritto il reato.
A sostegno della decisione il G.E. richiamava la disciplina
di rigore di cui all’art. 657 c.p.p., comma 4, ed in particolare
la regola, ivi prevista, della fungibilità del presofferto ovvero
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