Caso Vivi Down: tanto tuonò che non piovve

AutoreAntonio Zama, Luisa Lodrini
Pagine504-508
504
giur
5/2014 Rivista penale
LEGITTIMITÀ
CASO VIVI DOWN:
TANTO TUONÒ
CHE NON PIOVVE
di Antonio Zama, Luisa Lodrini
SOMMARIO
1. Cosa resterà del caso Vivi Down? 2. Sintesi. 3. Il giudizio
avanti il Tribunale di Milano. 4. Il giudizio avanti la Corte
d’appello di Milano. 5. Giudizio avanti la Cassazione. 6. Ri-
f‌lessioni conclusive.
1. Cosa resterà del caso Vivi Down?
A seguito della qui annotata pronuncia della Cassazio-
ne ci domandiamo cosa resterà del caso “Vivi Down vs.
Google”, o, meglio, cosa resterà, al di là dell’esito scontato
e delle disquisizioni dottrinarie, sul piano dei suggeri-
menti operativi per i professionisti di qualsiasi livello e
dimensioni.
Trascurando volutamente, almeno per un momento, i
prof‌ili di natura penale e volendo offrire una visione pano-
ramica, azzardiamo un pronostico: resterà proprio quello
che è stato – a buon diritto – giudicato dalla Corte d’ap-
pello e dalla Cassazione come erroneo ed incongruente
nella sentenza di primo grado, ovvero, l’affermarsi, forse
lento ma inesorabile (per tutti gli operatori, anche quelli
meno recettivi), dell’approccio in gran parte formalistico
(se fosse un cocktail diremmo: due parti forma, una parte
sostanza) che impone ai professionisti, secondo la nozione
del Codice del consumo (Decreto Legislativo 206/2005,
peraltro implementato con il recepimento della Direttiva
2011/83), e senz’altro ai provider, quali prestatori di servi-
zi, secondo il Decreto Legislativo 70/2003, di porre parti-
colare attenzione nella redazione e formulazione delle co-
municazioni, dei messaggi e delle avvertenze di qualsiasi
tipo, pubblicati sul sito Internet nel quale si promuove e
gestisce la propria attività.
Altrimenti detto: i concetti di trasparenza, chiarezza,
correttezza, accessibilità e fruibilità esprimono tangibil-
mente la diligenza e la buona fede del professionista che
opera on line e, di conseguenza, contribuiscono in misura
determinante a costruirne e a consolidarne la reputazione.
Del resto come sostiene Gianluca Diegoli: (42) “se dichia-
rate che lo sconto è solo per me e solo per oggi, o comun-
que approf‌ittate dell’ingenuità delle persone, tenete conto
che la conversazione è persistente e la rete tiene tutto in
memoria: prima o poi qualcuno viaggerà nel passato per
controllare” (minimarketing.com, [mini]marketing, 91di-
scutibili tesi per un marketing diverso).
È il caso di partire dall’inizio della vicenda.
2. Sintesi
La Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, con Sen-
tenza 17 dicembre 2013 - 3 febbraio 2014 n. 5107, si è pronun-
ciata sul caso noto alle cronache come “Vivi Down”. Dal 2010
l’attenzione è stata costante e il dibattito intenso, non solo a
livello accademico o, comunque, nell’ambito degli addetti ai
lavori, come testimoniato dai numerosi blog e siti di informa-
zione che hanno dato ampio risalto alla vicenda. Perché la
vicenda coinvolge il delicato rapporto (o il contemperamen-
to dei diversi interessi) tra privacy degli interessati e libertà
economica/commerciale degli Internet Service Provider
(ISP), nonché il governo di Internet e la sopravvivenza dei
principi fondativi e fondanti della rete, quali, in primo luogo,
l’assenza di un controllo centralizzato dell’infrastruttura.
In sintesi e con un certo grado di approssimazione, con
l’attesa pronuncia, i giudici di legittimità si sono dovuti
schierare a favore o contro l’interpretazione delle disposi-
zioni sul commercio elettronico e sulla privacy che esclu-
de la responsabilità dei provider per i contenuti caricati
dagli utenti, interpretazione peraltro abbracciata da un
consolidato orientamento dottrinale e da autorevole giuri-
sprudenza sia a livello comunitario che nazionale.
3. Il giudizio avanti il Tribunale di Milano
La vicenda oggetto dei diversi gradi di giudizio concerneva
l’eventuale responsabilità penale dei vertici di Google (per la
precisione, l’amministratore delegato di Google Italy S.r.l. e
il responsabile della policy sulla privacy di Google Inc.) per
illecito trattamento dei dati in relazione ad un video carica-
to da terzi sulla propria piattaforma. Più specif‌icatamente,
come ricorda la stessa Cassazione, i dati inerenti la salute
erano contenuti in un video caricato da uno studente nel
2006, “immesso per la successiva diffusione a mezzo Internet
sul sito www.video.google.it, raff‌igurante un soggetto affetto
da sindrome di Down che viene preso in giro con frasi offen-
sive e azioni vessatorie riferite alla sua sindrome da parte di
altri soggetti minorenni”. Il video, diventato virale, era stato
segnalato dagli stessi utenti di Google, i quali ne chiedevano
la rimozione. Rimozione intimata, peraltro, dalla Polizia Po-
stale e effettuata da Google il medesimo giorno.
In primo grado il Pubblico Ministero di Milano – su
impulso della querela presentata dall’associazione Vivi
Down – imputava ai dirigenti di Google la violazione (i)
dell’articolo 110, 40 comma 2, 385 comma 1 e 3 del Codice
Penale, ossia il concorso in diffamazione aggravata nei
confronti dell’associazione Vivi Down e nei confronti dello
studente ripreso nel video; nonchè (ii) la violazione delle
disposizioni del Decreto Legislativo 196/2003 (Codice
Privacy), in particolare dell’articolo 167, comma 1 e 2 (il-
leciti penali: trattamento illecito di dati), sulla base di un
trattamento di dati personali in violazione dell’articolo 13
(omessa informativa privacy al momento attivazione ac-
count Google video), dell’articolo 23 (assenza di un valido
consenso), nonchè dell’articolo 26 (dati idonei a rivelare
lo stato di salute della persona del video) e articolo 17 (ri-
schi specif‌ici insiti nel trattamento).

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