Caso 'Ilva'. Compromesso tra diritto alla salute e diritto al lavoro

AutoreElio Zaffalon
Pagine299-301
299
Rivista penale 4/2015
Dottrina
CASO “ILVA”. COmprOmeSSO
trA dIrIttO ALLA SALute
e dIrIttO AL LAVOrO
di Elio Zaffalon
1. Si richiama sul tema il recente splendido scritto del
prof. Paolo Tonini (Ordinario di diritto processuale penale
nell’Università di Firenze), pubblicato sul n. 10/14 di Di-
ritto Penale e Processo: tratta delle rilevanti novità (D.L.
3 dicembre 2012 n. 207 e succ.) in materia di sequestro
preventivo introdotte con gli interventi legislativi (e poi
governativi) conseguenti ai sequestri degli impianti ILVA
disposti dal luglio 2012 dall’Autorità giudiziaria tarantina.
Vicenda che la Commissione Cultura della Camera Penale
Veneziana ha fatto oggetto del Seminario 25 ottobre 2013
(come Tonini ha avuto la bontà di ricordare nella Nota 12)
per l’evidente incidenza – sul “diritto alla salute” – del suo
bilanciamento con il “diritto al lavoro”: bilanciamento san-
cito dalla sentenza 9 aprile 2013 n. 85 Corte Costituzionale
chiamata a dirimere il contrasto fra interventi giudiziari e
governativi.
2. In punto “nuovo” sequestro preventivo, nel rimanda-
re alla trattazione di Tonini si ricorda che è ora consentito
– in tutti gli impianti ILVA in Italia, ma (forse) anche in
tutte le aziende c.d. “strategiche”, cioè con più di 200 di-
pendenti – di proseguire la produzione pur in costanza di
sequestro anche se sia stato appena dato il via al program-
ma di risanamento: in detta situazione è quindi possibile,
non impedire, ma solo sanzionare penalmente la tenuta di
condotte cui possano venire correlate malattie professio-
nali alla f‌ine magari letali.
In ordine alla disciplina introdotta emergono allora
forti perplessità; che vengono confermate dalle conclusio-
ni cui l’illustre Autore giunge con logica rigorosa: l’essere
irragionevole [quindi in contrasto con l’art. 3 Cost.?] che
la nuova disciplina del sequestro preventivo possa venire
applicata soltanto alle imprese strategiche (meno dell’1%)
anziché a tutte le imprese.
3.1 La svolta è stata sbattuta in prima pagina dal caso
ILVA, ma le avvisaglie sono risalenti. Dopo decenni in cui
la giurisprudenza di legittimità in materia di infortuni sul
lavoro ha sancito drasticamente l’obbligatorietà dell’ado-
zione della migliore tecnologia nell’esercizio dell’impresa;
dopo la sentenza n. 127/90 Corte Costituzionale che ha
ribadito l’incomprimibilità del diritto alla salute da parte
di altri diritti costituzionali; erano tuttavia già intervenuti
(come ricorda Tonini) una sentenza n. 250/09 della Consul-
ta richiedente un (meno categorico) “costante progressivo
adeguamento” alla migliore tecnologia (quindi con tempi
di attuazione ampiamente discrezionali), nonché l’articolo
15 L. n. 231/2001 sulla responsabilità da reato degli Enti di-
sponente in caso di sanzione interdittiva non la cessazione
dell’attività ma la nomina di un commissario giudiziale per
proseguire la produzione. Dette avvisaglie erano tuttavia
non inequivoche: la sentenza n. 250/09 è piuttosto gene-
rica (essendo stata emessa su temi relativi al conf‌litto di
competenze Stato/Regioni); l’art. 15 L. n. 231/2001 invece
è senz’altro contradittorio perché, da un lato, nemmeno
vengono stabiliti i tempi secondo cui il commissario debba
(mentre la produzione prosegue) introdurre ed applicare
i modelli idonei a prevenire i reati (comma 3); dall’altro,
viene disposta addirittura la conf‌isca del prof‌itto derivante
dalla prosecuzione dell’attività (comma 4).
3.2. Ma ora c’è la nuova disciplina del sequestro pre-
ventivo. Il cui nucleo essenziale è senza dubbio (come
detto) l’essere stata consentita la prosecuzione dell’attivi-
tà anche solo appena iniziati (tantomeno completati) gli
interventi risanatori: in una fase cioè in cui è impensabile
che continuando la produzione non permanga – a fronte
di una prolungata durata temporale (3 anni per l’ILVA)
– la pregiudizievole esposizione dei lavoratori e della
cittadinanza viciniore all’inquinamento (da benzopirene
e diossina, sostanze cancerogene, per l’ILVA). È vero che
l’AIA (autorizzazione integrata ambientale) imponeva per
l’ILVA il rispetto immediato dei limiti massimi di emis-
sione; e che nessuno esclude la legittimità di un minimo
di “progressione” nell’attuazione del risanamento: qualora
questo venisse attuato in pochi mesi; potrebbe dunque
essere accettabile che la produzione prosegua. Ma la vi-
cenda ILVA è paradigmatica dei guasti conseguenti al self
restraint della Corte nell’affermare, formalizzare la com-
primibilità del diritto alla salute: tre anni di produzione in
presenza di alti livelli documentati di inquinamento da so-
stanze cancerogene e di alte evidenze epidemiologiche di
patologie professionali anche mortali rendono manifesto
a tutti che il Governo e l’Amministrazione si sono sentiti
pienamente autorizzati a non aver ritegno nel consentire
la prosecuzione dell’attività per un tempo abbondante-
mente suff‌iciente (come è ben noto) a causare/rinforzare/
concausare le citate patologie.

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