La Suprema Corte fissa i cardini ermeneutici per una corretta lettura del reato di crollo di costruzioni o altri disastri dolosi

AutoreFederico Piccichè
Pagine871-874

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@1. Il caso

Con la sentenza che si annota, la Suprema Corte ha cassato senza rinvio la decisione emessa dalla Corte di Appello di Genova, che aveva confermato la condanna alla pena di cinque mesi e dieci giorni di reclusione inferta all’imputato dal giudice di primo grado per il reato di cui all’art. 434 del Codice penale.

Nella specie era accaduto che l’imputato, con il preciso scopo di togliersi la vita, dopo avere sigillato le aperture esterne del proprio appartamento, aveva aperto una bombola di gas saturando l’alloggio in cui abitava.

Il Pubblico Ministero aveva ravvisato nella condotta la violazione del primo comma dell’art. 434 e, pertanto, formulava testualmente il seguente capo di imputazione:

“ … perchè apriva la bombola di gas GPL da Kg. 15, apponendo sopra la valvola di apertura alcuni stracci onde favorire la trasformazione del liquido allo stato gassoso e sigillando nel contempo la finestra del locale adibito a bagno della propria abitazione, così saturando di gas l’alloggio tanto da commettere un atto diretto a cagionare il crollo della costruzione, da ciò derivandone pericolo per la pubblica incolumità”.

L’ipotesi accusatoria veniva condivisa dai giudici di merito in quanto l’imputato, riempiendo di gas l’abitazione, aveva consapevolmente creato una situazione di pericolo, da cui era derivato il concreto rischio di un’esplosione.

L’art. 434, che descrive un reato di pericolo1, con il suo primo comma si attagliava perfettamente alla fattispecie, atteso che, secondo il convincimento della corte distrettuale, “la concentrazione di gas era stata provata in termini di pericolosità esplosiva e l’imputato agì nella piena consapevolezza delle gravi conseguenze disastrose connesse alla saturazione di gas volontariamente realizzata nel bagno del suo appartamento condominiale”.

Questo è, in estrema sintesi, il caso.

Prima di passare, però, all’esame delle interessanti questioni di stretto diritto affrontate in sentenza dai giudici di legittimità, occorre spendere alcune parole, in generale, sugli elementi costitutivi del reato in esame per meglio inquadrare il percorso motivazionale che sta alla base della soluzione data al caso dalla Suprema Corte.

@2. Il delitto di crollo di costruzioni o altri disastri dolosi

L’art. 434 del Codice penale recita testualmente: “Chiunque, fuori dei casi preveduti dagli articoli precedenti, commette un fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro è punito, se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità, con la reclusione da uno a cinque anni.

La pena è della reclusione da tre a dodici anni se il crollo o il disastro avviene.”

Il reato è inserito nel libro II, titolo VI, capo I del Codice e fa parte della grande famiglia dei delitti contro l’incolumità pubblica.

L’oggetto giuridico, che la norma si prefigge di tutelare, è il bene della incolumità pubblica2.

La tutela ha carattere sussidiario e opera, soltanto, al di fuori dei casi descritti dagli articoli da 422 a 433, che precedono3.

Il delitto è un reato comune potendo essere commesso da chiunque.

Sul piano strutturale, il primo comma imposta la condotta alla stregua di un tentativo, di cui ricalca lo stampo.

La condotta, infatti, viene incriminata a prescindere dal verificarsi dell’evento e deve consistere in un fatto inequivocabilmente diretto e in concreto idoneo a provocare il crollo di una costruzione o un altro tipo di disastro4.

In particolare, con riferimento al crollo di una costruzione, la condotta deve essere tale da poter determinare un danno di dimensioni consistenti in grado di travolgere le strutture essenziali dell’edificio, così da potere assurgere a fonte di pericolo per una cerchia indeterminata di persone.

Se il comportamento dell’agente ha creato i presupposti per la possibile verificazione di un danno modesto all’edificio, il fatto uscirebbe dal raggio di azione dell’art. 434 per entrare nella sfera applicativa dell’art. 6765.

Con l’espressione, indiscutibilmente indeterminata, “altro disastro” il legislatore, invece, ha inteso riferirsi a tutti quegli accadimenti, che possono verificarsi nella realtà (alla luce dei continui e incessanti progressi della tecnica e della scienza), capaci di mettere a repentaglio la sicurezza di un numero indeterminato di individui6.

A questo proposito, nella Relazione ministeriale, venivano fatti gli esempi della caduta di un ascensore o dello scoppio di materie esplodenti.

In giurisprudenza, si faceva l’esempio dell’incidente automobilistico dalle conseguenze disastrose7.

Il tentativo, come è ovvio, non è ipotizzabile e, per ciò che concerne l’elemento soggettivo, secondo chi scrive, ancora attuali risultano le parole del BATTAGLINI, secon-Page 872do cui “come elemento psicologico si richiede oltre il dolo generico (cosciente volontà di compiere l’azione od omissione in cui si concreta l’attentato) anche il dolo specifico (intenzione di cagionare il crollo o il disastro)”8.

Con il secondo comma, infine, il legislatore ha introdotto...

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