La disciplina del recesso e della risoluzione nel contratto tra società e calciatore professionista: Alcune considerazioni sul C.D. cartellino

AutoreFrancesco Maria Stocco
Pagine253-264

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@1. Introduzione alla disciplina del contratto tra società e calciatore professionista: i termini del problema del recesso e risoluzione del contratto

L’intervento vuole focalizzarsi su alcuni profili di disciplina del contratto tra calciatori professionisti e società sportiva per tentare di proporre alcune considerazioni e soluzioni sulle fattispecie (e gli effetti) della risoluzione e del recesso dal contratto.

Il perché di una siffatta indagine nasce, oltre che dall’assenza di una disciplina compiuta dei due istituti (come si avrà modo di osservare infra nel dettaglio), già una primissima considerazione sulle fonti di quello che (a buon ragione) si può definire, il “diritto contrattuale del calciatore”.

Il corpo di norme contenente i formanti di questo diritto contrattuale, oltre la disciplina del codice civile in materia di contratti (richiamata solo in termini di principi), è composto (i) dalla legge 23 marzo 1981 n. 91, (ii) dalle “Norme organizzative interne della Federazione Italiana Gioco Calcio” (NOI), (iii) dalla regolamentazione FIFA applicabile alla FIGC1 (iv) da un accordo collettivo tra FIGC, Lega Nazionale Professionisti (LNP) e Associazione Italiana Calciatori (ai sensi della legge 23 marzo 1981, n.91) e, perfino, (v) da un modulo di contratto dal quale, ai sensi dell’art. 4 della legge 23 marzo 1981, n. 91, non è possibile discostarsi nelle determinazioni negoziali del contratto con il calciatore professionista.

Questo primo profilo di indicazione delle fonti merita almeno un duplice ordine di considerazioni.

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La prima considerazione riguarda, come anticipato, l’applicazione del codice civile. Con l’art. 3 della legge 23 marzo 1981, n. 91 il legislatore (si direbbe, d’imperio) ha qualificato il rapporto tra calciatore professionista e società di calcio come un contratto di lavoro subordinato. Si è posto così fine alla querelle che negli anni settanta aveva animato gli autori italiani incerti sulla qualificazione del rapporto tra calciatore e società come contratto di lavoro autonomo, subordinato o contratto atipico2.

L’art. 4 della stessa legge, tuttavia, pone un primo e rilevante profilo di specialità nella disciplina in esame ed esclude, con importante deroga, l’applicabilità al contratto di quel corpo di norme (art. 18 Statuto del Lavoratore, artt. da 1 a 8 della L. 604/1966) che costituiscono il nucleo fondamentale della disciplina garantistica del recesso dal rapporto di lavoro.

Benché, quindi, il legislatore abbia “preteso” che il contratto con lo sportivo fosse da qualificare come rapporto subordinato, resta il fatto (oggettivo) che la deroga alle norme in tema di recesso dal rapporto di lavoro conferisce al rapporto societàcalciatore una non perfetta sussumibilità nello schema di tale tipo di contratto di lavoro3.

In questa prospettiva, si spiega anche il perché della formulazione della lettera dei punti 11.12 e 13.10 dell’accordo collettivo vigente: queste norme prescrivono nei giudizi di risoluzione l’applicazione dei soli principi del codice civile e non, invece, delle norme specifiche degli artt. 1453 e ss. c.c.4.

La prima valutazione di questi dati conferma, dunque, quanto anticipato sull’esistenza di un diritto contrattuale del tutto particolare, non potendosi sussumere il contratto in un rapporto retto dai principi del diritto del lavoro (per la deroga alla disciplina del recesso) né in un contratto, seppur atipico, necessariamente disciplinato dalle norme codicistiche (che sono richiamate solo a livello di principi).

La seconda considerazione nasce da una primissima analisi della disciplina. L’art. 93 delle NOI dispone che «I contratti che regolano i rapporti economici e normativi tra le società e i calciatori “professionisti” ... devono essere conformi a quelli “tipo”Page 255previsti dagli accordi collettivi con le Associazioni di categoria e redatti su appositi moduli forniti dalla Lega di competenza». La non derogabilità del contratto tipo è poi ribadita in altre disposizioni (tra cui, il già citato art. 4 della legge 23 marzo 1981, n. 91), divenendo quasi un liet motiv dell’intera disciplina5. L’impressione è quella di trovarsi davanti a un punto fermo.

La massima standardizzazione dei contratti e l’impossibilità di discostarsi dal modulo predisposto dalla Lega porterebbe, infatti, ad escludere la necessità di un’ulteriore indagine sui limiti dell’autonomia contrattuale e lascerebbe l’interprete nella posizione di “accontentarsi” della conclusione che nella disciplina vigente non esiste una vera libertà negoziale.

Il fatto, in sé, non susciterebbe alcuno scalpore: è una scelta del legislatore quella di vietare il compimento di certi atti di autonomia e la questione, allora, si risolverebbe in un’indagine di opportunità di scelte legislative6.

Resterebbe, al più, spazio per un’indagine sui limiti di legittimità di una disciplina regolamentare (quella predisposta dalle NOI) nelle fattispecie in cui l’eccessiva compressione della “libertà” del calciatore professionista sia idonea a comprimere i diritti a “nucleo rigido” di quest’ultimo7.

Un tale quesito è idoneo a trovare una risposta più appagate negli studi di diritto amministrativo, ma la posizione stessa del problema pone una luce su un altro versante della questione: quello attinente ai rapporti tra autonomia ed eteronomia contrattuale.

In questa prospettiva sembra possibile enucleare almeno due quesiti. Il primo di questi porta ad interrogarsi sui limiti in cui una disciplina che impone l’adozione perfino di un “contratto-tipo” possa comprimere i diritti di libertà contrattuale e quelli relativi alla personalità del contraente e se esiste un rimedio “civilistico” per evitare tale compressione. Il secondo quesito pone, a valle, un problema di disciplina: quali regolePage 256applicare a fattispecie non disciplinate da un corpo normativo che si dichiara auto- sufficiente?8

Alla luce delle considerazioni svolte sul ius positum, in questo intervento le due problematiche poste verranno considerate con riferimento alle fattispecie di recesso e risoluzione del contratto tra calciatore e società: nelle fattispecie in cui possa aversi una compressione del diritto dello sportivo allo sviluppo della sua personalità e della sua identità di lavoratore (diritti tutelati, ex multis, dagli artt. 2, 3, 4 e 35 Cost.).

@2. Il contratto tra società e calciatore

Per affrontare il tema proposto è necessario descrivere per cenni la disciplina vigente e formulare alcune considerazioni sull’istituto del tesseramento dei calciatori: nella prassi, il c.d. cartellino.

Per poter far giocare un calciatore, è necessario che questo sia tesserato presso la federazione (FIGC). Il tesseramento indica la società calcistica presso la quale il calciatore è legittimato a eseguire la sua prestazione. In considerazione del fatto che non è consentito il tesseramento contemporaneo per più società (art. 40 NOI), il cartellino rappresenta, oggi come nel passato, il valore economico della proprietà del calciatore: esso, in altra prospettiva, è un vincolo del calciatore verso la società che determina il valore dello sportivo al momento del suo trasferimento.

Questo vincolo (e il suo conseguente “avere valore”) è legato sotto plurimi profili alla vicenda contrattuale tra società e sportivo (e per questo aspetto, sembra caratterizzarsi come un provvedimento amministrativo – si penserebbe a una autorizzazione – che legittima il prestatore d’opera allo svolgimento della sua attività professionale).

In questa sede, rilevano due aspetti del legame tra “cartellino” e contratto di prestazione. Il primo: la durata del cartellino è pari a quella del contratto tra società e calciatore; il secondo: il calciatore non può assumere impegni di tesseramento futuro a favore di società diverse da quella per la quale gioca.

Si comprende, già intuitivamente, l’importanza che in termini economici riveste la circostanza che il trasferimento del calciatore avvenga durante l’efficacia del contratto o successivamente ad essa: solo nel primo caso, infatti, la società “acquirente” o “cessionaria” dovrà corrispondere al venditore o al cessionario il prezzo del cartellino; nell’altra ipotesi, il trasferimento avverrà “a costo zero”9.

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Una società interessata ad “acquistare” un calciatore, come logica conseguenza, avrà interesse a che il calciatore non rinnovi il contratto con la società presso la quale è tesserato e, pertanto, è capitato che l’acquirente, al fine di non corrispondere il prezzo del cartellino, cerchi di ottenere dal calciatore l’impegno a non rinnovare il contratto con la società con la quale è vincolato.

Per evitare la realizzazione di tali condotte “fraudolente” le NOI disciplinano due diversi scenari: calciatori con contratto pluriennale non in scadenza a fine stagione e calciatori con contratto in scadenza a fine stagione.

Per i calciatori il cui contratto non scada a fine stagione è previsto, in primo luogo, che «soltanto la società titolare del contratto può decidere se cedere, con il consenso del calciatore, il relativo contratto di prestazione sportiva», e, in secondo luogo, che siano vietati i contatti e/o le trattative, dirette o tramite terzi, tra società e calciatori senza preventiva autorizzazione scritta della società titolare del contratto.

Nel caso in cui il calciatore abbia un contratto in scadenza, invece, è consentito l’inizio delle trattative e perfino la stipula di contratti preliminari successivamente al 1 gennaio di ogni anno e previo adempimento di un obbligo di informazione (da adempiere per iscritto) verso la società con la quale il contratto è in essere10.

Se la figura...

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