Il c.d. decreto Balduzzi e la 'colpa' del medico

AutoreAlessandra Martuscelli
Pagine343-347
343
Rivista penale 4/2014
Dottrina
IL C.D. DECRETO BALDUZZI
E LA “COLPA” DEL MEDICO
di Alessandra Martuscelli
1. Con la legge di conversione del c.d. “decreto sanità”
(D.L. 13 settembre 2012, n. 158, conv., con modif., in L. 8
novembre 2012, n. 189), il nostro legislatore ha introdotto
una norma, l’art. 3, comma 1, per la quale: “l’esercente la
professione sanitaria che nello svolgimento della propria
attività si attiene a linee guida e buone pratiche accredi-
tate dalla comunità scientif‌ica non risponde penalmente
per colpa lieve”. In tali casi, “resta comunque fermo l’ob-
bligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il giudice,
anche nella determinazione del risarcimento del danno,
tiene debitamente conto della condotta di cui al primo
periodo”.
Si tratta di norma assai interessante perchè persegue
alcune f‌inalità che vanno ad impattare direttamente sulla
tematica della colpa che, come si sa, è allo stato notevol-
mente controversa.
La norma, tra le f‌inalità perseguite vuole contenere il
contenzioso giudiziario ed il fenomeno della cosiddetta
medicina difensiva (1).
Tale prassi conosciuta sia dalla comunità medica che
dalla dottrina penalistica si concretizza “quando i medici
prescrivono test, trattamenti, indagini, oppure rif‌iutano
pazienti o somministrano agli stessi trattamenti ad alto
rischio, primariamente allo scopo di evitare accuse. Si
distingue, inoltre, la medicina difensiva positiva che ricor-
re quando i medici abusano nel ricorso a test o ad altri
trattamenti, clinicamente superf‌lui, da quella negativa
che ricorre invece quando i medici evitano casi diff‌icili,
dirottandoli altrove” (2).
La medicina difensiva è, dunque, identif‌icabile con
una serie di decisioni attive o omissive, consapevoli o
inconsapevoli, e non specif‌icatamente meditate, che non
obbediscono al criterio essenziale del bene del paziente,
bensì all’intento di evitare accuse per non aver effettuato
tutte le indagini e tutte le cure conosciute o, al contrario,
per avere effettuato trattamenti gravati da alto rischio di
insuccesso o di complicanze.
Il fenomeno non è, invero, solo medico: atteggiamenti
simili sono stati osservati anche in altri ambiti professio-
nali, ad esempio nel settore del controllo del traff‌ico aereo,
dove i controllori di volo, in seguito alle vicende legate al
disastro avvenuto il 24 febbraio 2004 a Cagliari, si vedono
costretti ad adottare alcuni comportamenti tutelativi, che
possono comportare un disagio per l’utenza (3).
È bene sottolineare come gli operatori sanitari, si ritro-
vano ad operare con il fondato timore di essere coinvolti in
processi penali che nella maggior parte dei casi si conclu-
dono con esiti di condanna per innumerevoli ragioni che
la dottrina ha, tra l’altro, individuato: nella disinvoltura
con la quale viene attribuita al sanitario la posizione di
garanzia rispetto a tutti gli eventi astrattamente connes-
si alla prestazione professionale; nella valutazione della
prevedibilità dell’evento non in concreto ma in astratto;
nel trasferimento in capo al medico operante della re-
sponsabilità per disfunzionalità proprie in realtà della
struttura in cui opera; nella presunzione, inf‌ine, della sus-
sistenza del nesso tra colpa ed evento sulla base della sola
violazione di una norma cautelare (4).
A tale prassi sanitaria, conseguono, come ovvio, pro-
blematiche inerenti non solo alla salute dei cittadini ma
anche ai costi a carico delle aziende sanitarie. In altri
termini, più gli specialisti prescrivono procedure diagno-
stiche inutili o trattamenti aggressivi per condizioni a bas-
so rischio, più questo tipo di approccio tende ad aumen-
tare, inesorabilmente, i costi sanitari a carico del Servizio
Sanitario Nazionale e della collettività.
In merito a quest’ultimo punto, nel 2008 si è svolto a
Roma un incontro dal titolo “Medici in difesa - prima ri-
cerca del fenomeno in Italia: numeri e conseguenze” dove
l’allora Ministro della Salute Fazio stimò che il costo di tali
pratiche in Italia fosse oscillante tra i 12 ed i 20 miliardi
di euro annui (5).
È bene osservare che medesime f‌inalità economicisti-
che furono perseguite anche nella formulazione originaria
dell’art. 3, comma 1, rubricato “Responsabilità professio-
nale dell’esercente le professioni sanitarie” per la quale:
“Fermo restando il disposto dell’art. 2236 del codice civile,
nell’accertamento della colpa lieve nell’attività dell’eser-
cente le professioni sanitari il giudice, ai sensi dell’art.
1176 del codice civile, tiene conto in particolare dell’osser-
vanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle buone
pratiche accreditate dalla comunità scientif‌ica nazionale
e internazionale”.
Tuttavia, a differenza della attuale norma, si voleva una
disposizione con esclusiva rilevanza civilistica.
Il legislatore, in altri termini, cercava di limitare la re-
sponsabilità per i danni dall’esercizio della professione medi-

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