Brevi riflessioni 'controcorrente' su autonomie regionali e 'federalismo fiscale

AutoreMichele Oricchio
Occupazione dell'autoreConsigliere della Corte dei Conti.
Pagine293-299

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BREVI RIFLESSIONI “CONTROCORRENTE” SU AUTONOMIE REGIONALI E “FEDERALISMO FISCALE”

Michele ORICCHIO*

Nel disegno concepito dai Padri costituenti la Repubblica “ una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali” che venivano individuate -nella formulazione originaria dell’art.114- in regioni, provincie e comuni; lo Stato si identiica con la Repubblica come solennemente sancito dall’art.87 secondo cui “ Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale”.

Si tratta – secondo consolidata giurisprudenza costituzionale- di principi fondamentali del nostro ordinamento e, in quanto tali, non emendabili nemmeno attraverso il meccanismo di revisione della Carta fondamentale disciplinato dall’art.138 della stessa.

Con l’ampliamento delle funzioni legislative delle Regioni e delle funzioni amministrative di queste e degli enti territoriali minori, avvenuto con la riforma del Titolo V del 2001, il principio autonomistico dell’art. 5 Cost. ha assunto un particolare rilievo. Il nuovo art. 114, I comma, Cost., che sintetizza il signiicato della riforma, sembra far intendere che tra lo Stato e gli altri enti territoriali non vi è un rapporto di sovra-sottordinazione tanto che viene abolita ogni forma di controllo sugli atti amministrativi in precedenza esercitato dal livello di governo immediatamente superiore su quello inferiore, proseguendosi in ciò nel discutibile cammino intrapreso sin dalle leggi c.d. “Bassanini” della seconda metà degli anni novanta.

Dunque, nel nuovo assetto, Stato, Regioni, Province, Città metropolitane, Comuni costituirebbero la Repubblica in un rapporto di pari dignità, pur nella differenziazione funzionale tra ciascuno di essi.

Il ruolo delle autonomie territoriali è inoltre valorizzato dal nuovo art. 118-primo comma, che stabilisce che le funzioni amministrative devono essere distribuite fra lo Stato e gli altri enti territoriali nel rispetto del principio di sussidiarietà (c.d. sussidiarietà verticale). Ciò vale a dire che le funzioni stesse devono essere attribuite al livello di governo territorialmente più vicino ai cittadini (nel nostro caso, i Comuni). Solo quando il livello inferiore si riveli inadeguato o insuficiente per i compiti che deve svolgere, sarà possibile l’intervento del livello superiore (nel nostro caso, le Province e, seguendo lo stesso criterio, le Regioni e lo Stato). A distanza di circa dieci anni dalla richiamata riforma, che è bene ricordare fu approvata con soli quattro voti di maggioranza in Parlamento e quindi sottoposta a referendum confermativo che si svolse in assenza della previsione di un qualsivoglia quorum minimo di

* Consigliere della Corte dei Conti.

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votanti per la sua validità, ci sembra sia giunto il momento di una pacata rilessione sulla perdurante utilità di tale riforma anche alla luce delle ulteriori pretese di trasformare il nostro assetto istituzionale in quello di Stato federale come conferma, ad esempio, la legge 5 maggio 2009, n. 42 recante la “Delega al Governo in materia di federalismo iscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione”.

Il problema fondamentale è quello di una crescente frizione fra Stato e regioni che è stata in ora contenuta solo dall’instancabile e preziosa opera di “arbitrato” svolta dalla Corte costituzionale.

Ad esempio, in occasione della deinitiva approvazione della manovra inanziaria per il 2011 attraverso la conversione nella legge n.122 del d.l. 31.5.2010 n.78 la tensione è nuovamente risalita in quanto i pesanti tagli alla spesa pubblica hanno necessariamente impattato sulle esigenze inanziarie degli enti locali e delle regioni in primis i cui presidenti ( tale è la loro corretta denominazione secondo la Costituzione) hanno addirittura minacciato di restituire al governo le deleghe ricevute in base alle generose leggi c.d. “Bassanini”.

Il ministro dell’Economia ha a sua volta parlato della necessità di “fare scendere le regioni dai grattacieli”: orbene è probabile che il titolare dell’economia abbia con ciò voluto enfatizzare la innegabile circostanza dell’esistenza di faraoniche sedi di talune regioni frutto di dispendiosi acquisti o lucrosi appalti ovvero di costosi afitti, ma la problematica sollevata non può più essere pretermessa in un momento in cui si chiedono impegnativi sacriici a larghi strati della popolazione e, specialmente, ai dipendenti pubblici statali.

Alcune utili spunti di rilessione in merito possono trarsi anche dalla...

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