Brevi note in tema di danno esistenziale

AutorePaolo Minucci
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La pronuncia del giudice partenopeo sembra basarsi su un succinto, preminente concetto. Invero, una volta messa da parte la potenziale - ma non provata - lesione della salute dei parenti della vittima deceduta per fatto illecito del terzo, egli solca una netta differenziazione tra il pregiudizio patito da questi ultimi consistente nel mero patema d'animo, ovvero nel «dolore connesso all'evento morte», che trova la sua fonte ed i suoi limiti nell'art. 2059 c.c., e quell'ulteriore, indipendente pregiudizio che il giudicante non ha esitato a definire danno «esistenziale» ed a ritenerlo degno di autonoma rilevanza aquiliana.

In effetti, nella motivazione del giudice del merito (il quale, dopo aver tracciato la suddetta distinzione, fa un espresso - ma al tempo stesso generico - riferimento a «quell'infinita serie di pregiudizi che si riflettono negativamente sull'esistenza dei prossimi congiunti»), sono implicitamente racchiuse tutte quelle modificazioni peggiorative dei diritti inviolabili dell'uomo, «sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità», che trovano la loro egida nell'art. 2 della Costituzione.

La sentenza in esame ha indubbiamente ripercorso, adattandosi alla lettera, le argomentazioni di alcuni precedenti giurisprudenziali (cfr. Trib. Milano 8 e 15 giugno 2000, giudice Chindemi), rispettando in pieno alcune condizioni poste dal giudice meneghino a fondamento del danno esistenziale, quali: 1) la modificazione in peius del diritto alla qualità della vita e/o della libera estrinsecazione della personalità; 2) l'ingiustizia del danno; 3) il nesso eziologico tra comportamento lesivo e danno e la loro consecutività temporale; 4) la mancanza di danno biologico.

In pratica, l'art. 2043 c.c. viene anche in questo caso eretto a norma di garanzia del precetto costituzionale, che viene a prevalere così su qualsivoglia eventuale limitazione da parte della legge ordinaria. Anche questa sentenza, come quella testè richiamata, lascia intendere la non redditualità del pregiudizio patito dagli aventi diritto ed anche questa sentenza, come quella, si spinge al limite del danno psichico, per poi sottolineare l'immunità della salute degli aventi diritto e con-Page 498finare l'intero ambito dannoso patito in una «pregiudizievole disorganizzazione sociale e psicologica» e tenendo intatta, di tal guisa, la sua pura identità esistenziale.

Nella sentenza non viene esteso il ventaglio delle cosiddette figure dannose, bensì viene, finalmente, offerta una visione più ampia delle innegabili conseguenze negative che si abbattono sulla sfera personale dei soggetti in forza di (gravi) eventi, di per sè già considerati illeciti dall'ordinamento.

Il pregiudizio non è...

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