Brevi note a margine della sentenza S.U. N. 9163 del 25 gennaio 2005

AutoreFrancesco Puleio
Pagine827-829

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@1. Premessa

Con la sentenza in rassegna, le S.U. della Corte di cassazione affrontano l'annoso contrasto esistente in giurisprudenza sulle malattie configuranti vizio di mente e rilevanti ai fini dell'esclusione o riduzione dell'imputabilità, ma, prima di ogni cosa, prendono in esame uno dei punti più controversi del diritto penale, concernente, soprattutto de iure condendo, la stessa collocazione sistematica della categoria nella teoria generale del reo ovvero del reato: questione oggetto di complesse ed incandescenti dispute, stretta tra le due esigenze opposte della garanzia e della prevenzione 1. È noto infatti che, accanto a coloro che ricostruiscono l'imputabilità come idoneità alla pena da parte del colpevole 2, altri ritengono che prima ancora di essere inidoneo destinatario della pena, l'inimputabile non sia capace di colpevolezza ed inquadrano l'istituto nella sistematica del reato 3.

Sotto il primo profilo, le S.U. giungono alla conclusione che il concetto di infermità mentale recepito dal nostro codice penale è più ampio rispetto a quello di malattia mentale, di guisa che, non essendo tutti i disturbi di mente inquadrati nella classificazione scientifica delle infermità, nella categoria dei malati di mente potrebbero rientrare anche dei soggetti affetti da nevrosi e psicopatie, nel caso che queste si manifestino con elevato grado di intensità e con forme più complesse tanto da integrare gli estremi di una vera e propria psicosi. In tale prospettiva, al fine della esclusione o della riduzione della imputabilità deve comunque, secondo la Corte, sempre accertarsi l'esistenza di un effettivo rapporto tra il complesso delle anomalie psichiche riscontrate nel singolo soggetto e il determinismo dell'azione delittuosa da lui commessa, chiarendo poi se tale complesso di deviazioni psichiche, al quale viene riconosciuto il valore di malattia, abbia avuto un rapporto motivante con il fatto delittuoso commesso.

Sotto il secondo profilo, rifacendosi anche al decisivo impulso della storica sentenza della Corte costituzionale n. 364 del 1988 4, la quale ha dichiarato la parziale illegittimità dell'art. 5 c.p. relativamente alla non ammissibilità della scusabilità dell'errore inevitabile sul precetto, la Corte Suprema ha osservato che non può legittimamente muoversi un rimprovero ad un soggetto del tutto privo della possibilità di agire diversamente al momento del fatto, per non essere in grado di esprimere un giudizio sul significato del proprio comportamento, né di conformarsi a tale comprensione, così apertamente schierandosi in favore della dottrina più recente, la quale, al fine di fondare la responsabilità penale su congrui elementi subiettivi, individua nella coscienza, in capo all'agente, dell'antisocialità del fatto, un elemento costitutivo del giudizio di colpevolezza e, quindi, di un modello di illecito penale non meccanicamente ascritto, ma costituzionalmente orientato.

@2. Le nevrosi del carattere

Per quanto riguarda la prima delle questioni sopra ricordate, il vero nodo problematico è costituito dall'esigenza di non comprimere e sterilizzare la nozione di malattia mentale in una categoria chiusa, senza con ciò di fatto abrogare l'art. 90 c.p., conferendo sempre e comunque valenza, al fine dell'esclusione della responsabilità, alle c.d. personalità psicopatiche (border-line, nevrotiche, ecc.), ovvero a qualsiasi deviazione della funzione mentale. In proposito, vi è da dire che, forse, l'opinione delle S.U., finisce con il non risolvere, ma semplicemente con lo spostare il problema. L'affermazione contenuta in sentenza, secondo cui, ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i «disturbi della personalità», che non semprePage 828 sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di «infermità», purché...

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