Brevi cenni in ordine alla innocuità del falso nell'ipotesi di cui all'art. 474 C.p.

AutoreVittorio Fasce
Pagine587-588

Page 587

Non si può celare un certo disagio nel commentare una sentenza apparentemente permeata da considerazioni di carattere prettamente sociologico ed impresa non facile appare quella di focalizzare gli esclusivi profili giuridici senza cadere nella tentazione di estendere l'analisi alla insidiosità del fenomeno della contraffazione nel suo insieme con le note potenziali ricadute negative per il tessuto connettivo sociale ed occupazionale, che allo stesso fenomeno solitamente si accompagnano.

Il riferimento, contenuto nella sentenza, all'attuale costume che l'offerta da parte dei venditori ambulanti di prodotti «griffati» è ormai accolta dalla clientela con un diffuso e sottinteso scetticismo circa l'autenticità dei marchi, con un'accettazione implicita della provenienza aliena dei prodotti stessi, dato il loro prezzo e l'evidente approssimazione dei segni a quelli effettivi che la clientela di comune esperienza ben conosce nelle reali caratteristiche distintive concreta affermazione dalle potenziali pericolose conseguenze poiché trascende da quella che altrimenti avrebbe potuto confinarsi in una pronuncia relativa ad un caso specifico di ritenuta innocuità del falso, potendo prestarsi a sicuramente non volute generalizzazioni e ad ancor più errate applicazioni.

Proseguendo nel ragionamento della sentenza, si dovrebbe ritenere insussistente il reato ex art. 474 c.p. ogni qual volta sia conosciuta la contraffazione del prodotto da parte sia del venditore e, soprattutto, dell'acquirente, poiché in tal caso farebbe difetto la potenziale lesione alla pubblica fede.

Il ragionamento postula pertanto l'esistenza di due soli soggetti presi in esame dalla norma: il venditore e l'acquirente.

Ed è questo il profilo neppur troppo sottaciuto dalla sentenza che presta il fianco alle maggiori critiche. In tal modo si finisce per negare infatti la natura pluri-offensiva del reato ex art. 474 c.p.; conseguentemente tutta la disciplina dei marchi, le convenzioni internazionali, sotto il profilo penalistico italiano sarebbero da ritenersi come una sorta di chiffons de papier non idonea in alcun modo ad elevare il titolare del marchio al rango di persona offesa sostanziale di tale reato.

L'assunto non solo si pone in netta collisione con la giurisprudenza sia della Suprema Corte sia di merito 1 e con la dottrina 2, ma porterebbe alla inaccettabile conseguenza di far assumere all'interprete la veste di legislatore, creando una norma parallela a quella espressamente prevista dall'art. 8 della L. 20 novembre 1971, n. 1062 relativa alla contraffazione ed alterazioni delle opere d'arte. È di tutta evidenza che i due fenomeni non possano essere equiparabili - in quanto si tratta di prodotti seriali da un lato e di prodotti unici o quasi dall'altro - ed impensabile è solo ipotizzare la liceità della compravendita di prodotti industriali recanti falsi marchi effettuata alla luce del sole, dichiarando la falsità del prodotto.

Le considerazioni che precedono chiariscono come l'affermazione contenuta nella...

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