Breve disamina socio-normativa del mobbing sul luogo di lavoro alla luce del codice penale e dell'analisi economica del diritto

AutoreRoberta Cofano
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  1. Introduzione. - L'espressione mobbing 1 indica una forma di terrore psicologico 2 attuabile in diversi ambiti sociali, tramite reiterate vessazioni persecutorie.

Sebbene in questa sede si tratterà solo del mobbing «lavorativo», per completezza espositiva va però osservato che il fenomeno in oggetto può aver luogo anche a scuola, in famiglia ovvero nella «vita militare».

Basti pensare p.e. alla emarginazione di alcuni compagni nei confronti di altri, al c.d. nonnismo nelle caserme e, per ciò che concerne i rapporti familiari, sono di estremo interesse recenti sentenze le quali addebitano la separazione al marito che assuma in pubblico atteggiamenti di mobbing nei confronti della moglie, denigrandola come donna e madre 3.

In termini generali, può inoltre distinguersi un mobbing individuale da uno collettivo a seconda che le vessazioni si estrinsechino nei confronti di un singolo ovvero di un intero gruppo nonché un mobbing diretto da uno indiretto, in funzione dell'esser le vessazioni rivolte direttamente alla vittima o alla sua sfera relazionale (familiari, amici, etc.).

In base infine alla sua divera intensità e visibilità, il mobbing può qualificarsi leggero ovvero pesante.

In chiave generale, comunque, perché possa dirsi mobbing, una condotta deve essere caratterizzata dal verificarsi di una triplice condizione: 1) la molteplicità di comportamenti 4 aggressivi e persecutori; 2) il loro tendere alla eliminazione della vittima c.d. mobbizzato per i più eterogenei moventi (l'invidia lavorativa, ragioni di sesso, religione, opinione politica, etc.); 3) il ripetersi degli episodi per un periodo di tempo 5 sufficiente a cagionare alla vittima un danno causalmente riconducibile alla «strategia vessatoria» del mobber.

Ai fini della nostra disamina, va inoltre premesso che né la nostra legislazione né la contrattazione collettiva prevedono ancora una figura tipica di mobbing.

Tuttavia, come si vedrà pur se per sommi capi, le categorie concettuali e normative dell'ordinamento giuridico consentono la piena repressione del singolo comportamento c.d. mobbizzante.

Si accennerà ora alla tutela civilistica delle vittime da mobbing lavorativo 6 per esaminarne, poi, brevemente, i profili penalistici, alla luce anche dell'analisi economica del diritto.

1) Brevi cenni sulla tutela civilistica delle vittime da mobbing sul luogo di lavoro.

a) Alcune ipotesi di danno da mobbing lavorativo e norme civili di riferimento.

Tra le numerose norme costituzionali 6 di cui possono avvalersi le vittime di mobbing, meritano particolare menzione l'art. 32 che tutela la salute quale bene inviolabile per lo sviluppo della personalità individuale ai sensi dell'art. 2 Cost. nonché l'art. 41 sulla libertà della iniziativa economica privata, purché non si svolga in contrasto con l'utilità sociale ovvero in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana 7.

In correlazione ai predetti principi, molte sono altresì le disposizioni civilistiche alle quali può ricorrersi avverso ipotesi di mobbing come lo Statuto dei lavoratori 8 se si vessa un lavoratore per fini politici, sindacali, religiosi, di lingua o di sesso; l'art. 2103 c.c. a fronte di comportamenti illegittimi del datore di lavoro; l'art. 1434 c.c. e ss. per dimissioni viziate nel consenso da violenza ovvero l'art. 2087 c.c. 9 che impone all'imprenditore il dovere contrattuale di adottare nell'esercizio dell'impresa, in funzione della particolarità del lavoro, dell'esperienza e della tecnica, le opportune misure per tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori d'opera 10.

Oltre al risarcimento per inadempimento contrattuale, il mobbizzato, in qualità di vittima di un'attività illecita, può sempre conseguire, in virtù dell'art. 2043 c.c. 11, anche il ristoro del c.d. danno biologico cioè, secondo la definizione datane dalla legge 5 marzo 2001 n. 57, della lesione alla propria integrità psicofisica accertata in sede medico-legale 12 e risarcibile indipendentemente dalla sua incidenza sulla capacità di produzione di reddito del danneggiato 13.

A tal proposito, però, va anche rammentato il disposto dell'art. 2059 c.c. che subordina la rifusione del danno morale alla rilevanza penale assunta dalla condotta ai sensi dell'art. 185 c.p., con l'effetto di lasciare privo di tutela chi, a prescindere dalla entità del pregiudizio subito, non sia vittima di reato 14. Onde evitare tale iniqua conseguenza normativa, vi è chi qualifica il bene-salute diritto primario ed assoluto e ne fonda la tutela sull'art. 2043 c.c. quale principio risarcitorio generale per tutte le situazioni costituzionalmente garantite 15, dilatando così la nozione di danno biologico ben al di là della sua matrice medico-legale, fino a ricomprendervi situazioni in cui difetti una vera e propria patologia 16.

Ma la contrarietà palesata dalla Corte costituzionale a tale ipotesi ermeneutica rende forse più opportuno connettere la tutela dei mobbizzati alla categoria del danno esistenziale, figura risarcitoria appartenente all'alveo del danno biologico, ma, concettualmente, ai confini tra danno morale e psichico o, per meglio dire, tra questi intermedia. Trattasi quasi di una «quarta» categoria di danno da aggiungere al patrimoniale, al biologico, al morale, che nulla osta a ritenere in re ipsa nell'aggressione alla dignità umana, a prescindere dalle ulteriori conseguenze prodotte dal mobbing ed agevolmente quantificabile pecuniarmente secondo equità, in funzione dell'ampio spettro di parametri di cui agli artt. 2056 e 1226 c.c., cioè, la durata della condotta illecita, la gravità delle lesioni, le particolari condizioni di vita della vittima.

D'altro canto, così argomentando, si adirebbe l'autorità giudiziaria non solo nei casi tradizionali dell'abuso ovvero dell'inadempimento contrattuale, ma anche a fronte della mera lesione della personalità del lavoratore vittima di mobbing. Conseguentemente, muterebbe la funzione socio-normativa della responsabilità civile che finirebbe con lo svol-Page 4gere, oltre ad un compito more solito risarcitorio ovvero satisfattorio, anche un'innovativa valenza sanzionatoria.

b) Conclusioni.

In fase di conclusioni in merito alla repressione civilistica del mobbing, pur con estrema brevità, va posta in nuce la diretta connessione tra la disciplina del licenziamento e l'intensità del fenomeno de quo, atteso che scopo della strategia vessatoria del mobber-datore di lavoro è sovente eliminare il prestatore d'opera, inducendolo alle dimissioni.

Una sua semplificazione, in attesa della tipizzazione normativa del mobbing, potrebbe dunque prevenire e contenere il rischio di degenerazioni patologiche sul luogo di lavoro.

Può infatti supporsi che per il datore di lavoro il mobbing o bossing verticale sia una «conveniente» alternativa al licenziamento, anche per conseguire su larga scala la riorganizzazione di interi uffici, quanto più la legge subordini la facoltà di licenziare a parametri rigidi la cui violazione comporti rilevanti sanzioni pecuniarie.

Vi è più, dal momento che, onde evitare di arrecare pregiudizio all'attività economica, alla eliminazione del lavoratore deve far seguito la sostituzione dello stesso, può infine presumersi che anche la domanda di lavoro sia direttamente proporzionale alla frequenza del mobbing lavorativo.

Pertanto, quanto più essa prevarrà sulla relativa offerta, tanto più il mobber-datore di lavoro riterrà il prestatore d'opera più «facilmente» sostituibile.

Ergo, prescindendo da qualsivoglia valutazione etica del fenomeno in oggetto, può concludersi che in un sistema non in equilibrio, in cui cioè la domanda di lavoro ecceda di gran lunga la relativa offerta, quanto più la legge consentirà...

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