Botteghe storiche, vecchi vincolismi e rispetto del mercato

AutoreCorrado Sforza Fogliani
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Il Comune di Bologna ha di recente approvato una delibera consigliare nella materia delle cosiddette «botteghe storiche». È una delibera (per come è stesa, anche letteralmente) di difficile lettura. Soprattutto, spaventa constatare come in un atto amministrativo importante come questo (o che tale dovrebbe essere) si sia riusciti ad indicare - per l'individuazione delle botteghe in questione - requisiti solo vaghi, effimeri e secondari, caratterizzati da un'eterogeneità e fragilità che qualificano l'intero provvedimento di una superficialità rare volte finora riscontrata.

Non ci si può esprimere differentemente quando si constata che gli «elementi», e con essi gli scopi, in cui si incentra la deliberazione comunale di cui trattasi, irreparabilmente differenti e scollati tra loro, sono «assemblati frettolosamente come a casaccio, da non poter esser ricondotti ad una logica o a una visione unitaria». Così si esprime il prof. Vittorio Angiolini, ordinario all'Università di Milano, nel ricorso al Tar contro la delibera in questione presentato per conto della Confedilizia; così poi proseguendo, testualmente: «In pratica, quello che il Comune (di Bologna) vuole procurarsi con la deliberazione (sulle botteghe storiche) è uno strumento per tenere costantemente ed illimitatamente in ostaggio la proprietà immobiliare privata ed il commercio nel centro di Bologna».

In effetti, il Comune (non andando davvero per il sottile, e confondendo allegramente vincoli urbanistici e vincoli merceologici, in un «furore vincolistico» davvero degno di miglior causa) pretende di imporre alle cosiddette botteghe storiche, per cinque anni, un «vincolo merceologico riferito alle caratteristiche morfologiche di pregio riscontrate».

Annota il prof. Angiolini che siamo in presenza di un «tentativo maldestro del Comune di sancire, per immobili di proprietà privata, un vincolo di destinazione dell'immobile, a somiglianza, per la sostanza, del vincolo di «indisponibilità» che grava su di una parte dei beni di proprietà pubblica in forza dell'art. 828, comma 2, cod.civ.». E sconforta all'estremo limite che - pur a fronte di una coraggiosa presa di posizione da parte di una consigliera comunale della maggioranza Guazzaloca - il competente (istituzionalmente, ben s'intende) assessore di An non si sia minimamente posto il problema dei diritti della proprietà (che, in pratica, viene privata della disponibilità del bene, con una sorta di espropriazione - anche economica -...

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