Art. 640 Bis c.p.: reato autonomo o circostanza aggravante?

AutoreRosario Li Vecchi
Pagine25-28

Page 25

@1. Introduzione.

Il titolo XIII del libro secondo del codice penale è stato dal legislatore dedicato ai «delitti contro il patrimonio» che, a sua volta, ha suddiviso in tre capi di cui il primo contenente i «Delitti contro il patrimonio mediante violenza alle cose o alle persone», mentre il secondo capo è stato riservato ai «Delitti contro il patrimonio mediante frode» ed, infine, il terzo alle «Disposizioni comuni ai capi precedenti». L'art. 640 c.p. che riguarda la «truffa» ha, via via, subito delle interpolazioni da parte del legislatore onde adeguarlo alla evoluzione dei tempi, ai nuovi aspetti assunti dalla criminalità organizzata ed alle varie modalità escogitate per la commissione di tale reato. Nel ripercorrere il cammino fatto dal legislatore in materia, va subito precisato che con l'art. 22 della L. 19 marzo 1990, n. 55 veniva aggiunto all'art. 640, l'art. 640 bis (che è propriamente quello scelto da noi come oggetto dell'odierno scritto) riguardante l'aggravamento della truffa mirata al conseguimento di «erogazioni pubbliche», mentre con l'art. 10 della L. 23 dicembre 1993, n. 547 veniva aggiunto l'art. 640 ter riguardante la «frode informatica» ed infine con l'art. 3, comma 2, L. 29 settembre 2000, n. 300, veniva inserito l'art. 640 quater che regolava «l'applicabilità dell'art. 322 ter».

Per la migliore intelligenza della questione da noi trattata si ritiene, anzitutto, utile ed opportuno riportare il testo sia dell'art. 640 che dell'art. 640 bis c.p. L'art. 640 così statuisce: «Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire centomila a due milioni. La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da lire seicentomila a tre milioni: 1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare; 2) se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l'erroneo convincimento di dover eseguire un ordine dell'autorità. Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o un'altra circostanza aggravante». L'art. 640 bis, a sua volta, così statuisce: «La pena è della reclusione da uno a sei anni e si procede d'ufficio se il fatto di cui all'art. 640 riguarda contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità Europee».

@2. Excursus storico-legislativo dell'art. 640 bis c.p. e delle norme similari.

Va, anzitutto, ribadito che tale articolo è stato introdotto nel codice penale dall'art. 22 della L. 19 marzo 1990, n. 55 riguardante «nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre forme di manifestazione di pericolosità sociale»; una norma, questa, che nell'originario disegno di legge governativo non era stata prevista ma che scaturì, come Minerva dalla testa di Giove, attraverso un emendamento inserito dal Relatore nel corso dell'esame del predetto «disegno» presso la Camera dei deputati. Contemporaneamente, però, in virtù dell'art. 3 della L. 26 aprile 1990, n. 86 riguardante le «modifiche in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione», veniva introdotta nel codice penale la fattispecie di cui all'art. 316 bis avente per oggetto la «malversazione a danno dello Stato» con cui veniva prevista la reclusione da sei mesi a quattro anni per «colui il quale, estraneo alla P.A., avendo ottenuto dallo Stato o da altro ente pubblico o da Comunità Europee (dizione, quest'ultima, inserita dall'art. 1 della L. 7 febbraio 1992, n. 81), contributi, sovvenzioni o finanziamenti destinati a favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere o allo svolgimento di attività di pubblico interesse, non li destina alle predette finalità...». A questo punto si ritiene necessaria una precisazione e cioè quella che sin dal 1986 era stato introdotto il reato di «frode in danno del fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia» ed in virtù del quale veniva punito con la reclusione da tre mesi a tre anni, «chiunque, mediante la esposizione di dati o notizie falsi, consegue indebitamente, per sé o per altri, aiuti, premi, indennità, restituzioni contributi o altre erogazioni a carico del predetto fondo» (art. 2, L. 23 dicembre 1986 di conv. del D.L. 701/86). Il legislatore, però, mediante i suoi interventi, sempre in maniera superficiale e frettolosa, privi, quindi, di un tecnico-logico coordinamento, reiterava, su questa già caotica e complessa materia, il suo intervento aggiungendo una clausola di riserva in virtù della quale la c.d. «frode comunitaria agraria» poteva configurarsi soltanto ed esclusivamente «ove il fatto non configurasse il più grave reato previsto dall'art. 640 bis» (art. 73, L. 142/92). Come se tutto ciò ancora non bastasse, il legislatore, ancora una volta, interveniva per complicare sempre di più il quadro della situazione già di per sé legislativamente ingarbugliata, specie sotto il profilo ermeneutico, intervento, questo, in virtù del quale con l'art. 4 della L. 29 settembre 2000, n. 300, non solo reiterava la «clausola di riserva», ma inseriva nella L...

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