Autonomia della persona umana e codice della strada. A proposito dei profili di incostituzionalità degli artt. 186, 142, Comma 6, 196, comma 1, 222, comma 1, e 223, commi 1 e 2, C.D.S.

AutoreAlberto Donati
CaricaProfessore ordinario di diritto civile, Università di Perugia

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1. Jus civile e principio di autonomia della persona umana

L’espressione “jus civile”, modernamente, vale a dire a partire dalla codificazione francese del 1804, sta ad indicare il diritto privato1, il complesso, dunque, delle regole e dei valori che presiedono alla relazioni intersoggettive aventi ad oggetto rapporti patrimoniali2.

Questa stessa espressione, tuttavia, considerata nel quadro della cultura giuridica che affonda le proprie radici nel diritto romano, possiede una significazione più ampia, abbracciando, oltre al diritto privato, anche il diritto pubblico. Per ciò, in questa ulteriore accezione, il “jus civile” è il “jus proprium civitatis” (D. 1, 1, 9) e le sue fonti sono le “leges”, i “plebis scita”, i “senatus consulta”, i “decreta principum”, l’“auctoritas prudentium” (D. 1, 1, 7, pr.).

Per altro, il “jus” è civile sotto un ulteriore profilo, quello dei suoi contenuti. Se, dal punto di vista formale, dal punto di vista della visione kelseniana del fenomeno giuridico, sono diritto tutte le prescrizioni che si riconnettono ad una “Grundnorm”, ovvero, alla mera volontà del legislatore [“quod principi placuit, legis habet vigorem” (D. 1, 4, 1, pr.)], dal punto di vista culturale è civile solo il “jus” che rifletta, che renda cogente, uno specifico valore di giustizia: l’autonomia della persona umana (“facultas”) correlata al “neminem laedere (alieni abstinentia)”3.

La conseguenza è che non sono “jura”, quantunque formalmente tali, le prescrizioni normative che lo contraddicano [“Coloro che prescrissero ai loro popoli ordini dannosi ed ingiusti (...) promulgarono qualsivoglia cosa, ma non delle leggi”4], trattandosi, poi, di accertare quale ne sia la sorte, quali gli strumenti giuridici posti a difesa della persona umana5.

Ciò brevemente premesso, si può dire che la vigente Costituzione accolga quel valore (art. 2 ed art. 13, 1 comma, Cost.; art. 5, comma 1, Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo), del tutto irrilevante rimanendo, ai fini della presente indagine, se esso sia stato inteso dal legislatore costituzionale come espressione di una “inherent Dignità”, tale in quanto connessa agli “inherent Rights”, ovvero, come valore “octroyé”, del tutto a prescindere, altresì, dal problema della sua teleologia (artt. 2; 4, secondo comma; 42, secondo comma, Cost.)6.

La sua previsione consente di affermare che la libertà, l’autonomia individuale, sono la regola, mentre le loro restrizioni costituiscono l’eccezione.

Perché l’effettiva determinazione dell’ambito di estensione dell’autonomia individuale non sia una variabile dipendente dalla mera volontà del legislatore ordinario, si devono individuare i criteri che, nel testo costituzionale, rendono legittima la sua limitazione. Essi sono di duplice natura: la necessità di proteggere l’uguale sfera di auto- nomia degli altri consociati (art. 3 Cost.); la necessità di salvaguardare interessi giuspubblicistici (ad es., la difesa della Repubblica (art. 52 Cost.)7, la rimozione degli “ostacoli di ordine economico e sociale, che [...] impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (art. 3, comma 2, Cost.).

Prendendo in esame il primo profilo, la limitazione della libertà individuale è, dunque, costituzionalmente legittima allorché sia diretta ad attenuarne l’uguale godimento in capo a tutti i “cives”.

2. I valori che concorrono a realizzarne la protezione nel quadro del diritto penale

La tutela costituzionale dell’autonomia individuale informa i vari rami del diritto e, dunque, anche il diritto penale che, infatti, è ormai basato su una nozione di reato “costituzionalmente orientata”8.

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Ai fini e nei limiti della presente indagine, conviene richiamarne i principî informatori.

Al riguardo, viene in considerazione il valore della certezza di tale diritto, altrimenti detto principio di legalità o di tassatività. Esso si specifica in due canoni: “nullum crimen sine lege; nulla poena sine lege” (art. 25, comma 2, Cost.; art. 1 c.p.; art. 7, comma 1, Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo), cui consegue, come corollario, il divieto della applicazione analogica della legge penale (art. 14, disp. sulla legge in gen.; art. 18, Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo).

Esiste, per altro, un ulteriore principio, più sottinteso, in termini di diritto positivo, che espresso e, tuttavia, immanente ai precedenti due: “nulla poena sine crimine”9. Perché una sanzione possa essere erogata occorre, dunque, che si sia verificato un fatto qualificato da una norma giuridica come reato. Questo valore è reso in dottrina nei termini del “principio di offensività” (“nullum crimen sine injuria”)10, “baricentro” del nostro diritto penale costituzionalizzato”11 [senza che la sua previsione implichi la inammissibilità di “deroghe, ‘necessarie’ per la prevenzione delle offese a beni primari”12].

La protezione dell’autonomia della persona umana è integrata da due ulteriori valori: quello della presunzione di innocenza (art. 27, comma 2, Cost.), in virtù del quale non è il cittadino a dover provare la propria incolpevolezza, ma è lo Stato a dover provare la sua reità; quello del “due process” (art. 111 Cost.; art. 6, Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo), diretto ad evitare, da un lato, l’arbitrarietà della sottoposizione a giudizio (“habeas corpus”)13, dall’altro, quella relativa al suo svolgimento. La protezione dell’autonomia della persona umana richiede, inoltre, la formulazione del principio della personalità della responsabilità penale (art. 27, comma 1, Cost.; art. 7, l. 24 novembre 1981, n. 689). È autore del reato colui che lo ha effettivamente commesso, donde discende la intrasmissibilità della pena, quest’ultima segue, come un’ombra, il soggetto responsabile.

Infine, viene in considerazione il principio di proporzionalità della pena (art. 275, comma 2, c.p.p.)14, principio non espressamente previsto dal vigente testo costituzionale e, tuttavia, sicuramente implicato dall’art. 27, 3 comma, Cost.15. Ed infatti, se le “pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”, esse non possono non essere anche proporzionali alla natura del fatto delittuoso di che trattasi.

I principi informatori del diritto penale che si sono esposti, in ragione della loro fondazione nel testo costituzionale, trovano applicazione non soltanto nei reati (art. 39 c.p.), ma anche in materia di atti soggetti alle sanzioni amministrative contemplate dal Codice della Strada (artt. 1-12, l. 24 novembre 1981, n. 689).

3. La loro violazione da parte dell’art. 186 c.d.s.

La vigenza dei valori appena esposti, consente di rilevare la difformità in cui rispetto ad essi si pongono le fattispecie contemplate dagli artt. 186, 142, comma 6, 196, comma 1, 222, comma 1, 223, commi 1 e 2, c.d.s, donde la loro incostituzionalità.

L’art. 186 c.d.s. disciplina l’ipotesi della “Guida sotto l’influenza dell’alcool” enunziando, nel secondo comma, il principio della punibilità di “Chiunque guida in stato di ebbrezza”.

La presenza di tale stato, non derivato da caso fortuito o da forza maggiore, non fa venire meno l’imputabilità del soggetto rispetto ai reati che egli possa commettere, conformemente a quanto disposto dall’art. 92, comma 1, c.p..

Riguardata sotto questo profilo, l’ubriachezza attiene, dunque, al profilo della imputabilità.

L’ipotesi prevista dall’art. 186 c.d.s. è, invece, diversa poiché riguarda non la commissione di un reato in stato di ebbrezza, ma la guida di un veicolo in questo stesso stato. Solo se un tale comportamento sia seguito da un reato, trovano applicazione gli artt. 91 e 92, comma 1, c.p..

La guida di un veicolo in stato di ebbrezza perfeziona, pertanto, un illecito di diritto penale amministrativo, sempreché l’induzione di questo stato non sia da imputare al caso fortuito o alla forza maggiore.

Ciò posto, poiché il Codice della Strada non precisa il concetto di “stato di ebbrezza”, vale, al riguardo, quanto desumibile dal Codice penale e tale è lo stato di “piena ubriachezza” cui consegue la perdita della “capacità d’intendere e di volere” (art. 91, comma 1).

La ratio dell’art. 186 c.d.s. risiede, dunque, nel prevenire una situazione di pericolosità per i terzi, siano essi trasportati o utenti la pubblica via.

La comminazione della sanzione dovrebbe seguire all’accertamento di questo stato (“habeas corpus”)16.

La norma, invece, nel secondo comma, risolve il problema mediante una presunzione “juris et de jure”, ritenendo, vale a dire, che di quella condizione sia indice sicuro la presenza, nella persona del guidatore, di un tasso alcolemico superiore ad una data percentuale.

La presunzione non ha ad oggetto il pericolo, essendo fuori di dubbio che la guida in stato di ebbrezza sia pericolosa per l’incolumità dei terzi, ma il suo presupposto, l’ebbrezza.

Il fatto fondativo della sanzione non è, dunque, lo “stato di ebbrezza”, ma l’avere usufruito di bevande alcooliche al di là dei limiti rivelati da quelle percentuali.

Sono, così, riscontrabili tre motivi di incostituzionalità. Il primo, risiede in ciò, che quello stato è presunto. In altri termini, che la presenza di tassi alcolemici nelle quantità indicate dalla norma si risolva, in relazione al soggetto considerato (uomo, donna, giovane, anziano, etc.), in uno “stato di ebbrezza” è un’affermazione priva di fondamento. Così, ad es., un conducente che sia astemio potrebbe trovarsi in siffatta condizione, pur evidenziando

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un tasso alcolemico nei limiti prescritti ed, inversamente, un conducente normale, pur mostrando la presenza di valori eccedenti, potrebbe non essere affetto da ubriachezza, potrebbe ben essere inidoneo a costituire un pericolo per i terzi.

Questa condizione non può essere presunta, ma deve essere provata (“habeas corpus”)17. Del resto, secondo l’insegnamento della Corte di legittimità il “quadro costituzionale [...] è quello di non prevedere automatismi né presunzioni”18, poiché “le presunzioni...

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