Autonomia Delle Parti Nei Contratti Di Locazione Agevolati (A Proposito Di Una Recente Sentenza)

AutoreVincenzo Cuffaro
Pagine4-7
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dott
1/2018 Arch. loc. cond. e imm.
DOTTRINA
AUTONOMIA DELLE PARTI
NEI CONTRATTI DI LOCAZIONE
AGEVOLATI (A PROPOSITO
DI UNA RECENTE SENTENZA) (*)
di Vincenzo Cuffaro
1. Il tema dei contratti di locazione ad uso abitazione
alternativi, o meglio agevolati (1), qual è disciplinato dalla
legge 9 dicembre 1998, n. 431, è apparentemente semplice.
Il modello contrattuale dei contratti agevolati è, in ef-
fetti, alternativo a quello indicato nel comma 1 dell’art. 2
della legge come schema ordinario di contratto di locazio-
ne, rispetto al quale è contraddistinto da un contenuto più
specif‌ico e maggiormente imperativo quanto alla durata del
rapporto contrattuale, direttamente determinata dalla pre-
visione del comma 5 dell’art. 2, e quanto al canone che, come
è noto, deve corrispondere a quello stabilito nel rispetto dei
parametri rimessi agli accordi def‌initi in sede locale tra gli
organismi esponenziali degli interessi dei contraenti.
Il tratto della imperatività peculiare dei contratti agevo-
lati si ricava agevolmente dal dettato dall’art. 13 della me-
desima legge. Norma che, come è noto, nel comma 4 commi-
na la nullità ad ogni pattuizione che attribuisca al locatore
un canone superiore a quello massimo def‌inito dagli accordi
conclusi in sede locale per immobili aventi le medesime ca-
ratteristiche ed appartenenti alle medesime tipologie e, nel
comma 3, sancisce la nullità di ogni pattuizione volta a de-
rogare ai limiti di durata del contratto stabiliti dalla legge.
Si dirà, nulla di nuovo: in fondo la scelta del legislato-
re del 1998 non è altro che la versione edulcorata della
regola imperativa conosciuta nel ventennale periodo di
vigenza dell’equo canone. Versione edulcorata perché f‌ino
al 1998 (2), quando è stata parzialmente abolita, la norma
dell’art. 79 della legge n. 392/1978, là dove prescriveva la
nullità delle clausole dirette ad attribuire al locatore «al-
tro vantaggio in contrasto con le disposizione della presen-
te legge», valeva ad ingessare l’intera struttura contrat-
tuale costituita e costruita dalle disposizioni della legge
che, indicando diritti ed obblighi derivanti dal contratto di
locazione, f‌inivano per delineare un contenuto imperativo
insuscettibile di essere derogato a sfavore del conduttore
nelle clausole dei singoli contratti.
Abrogato nel 1998 l’art. 79 per le sole locazioni ad uso
abitativo, l’unica norma di riferimento per stabilire in qua-
le misura è consentito alle parti negoziare singole clausole
nei contratti di locazione ad uso di abitazione, ordinari o
agevolati, è quella dell’art. 13 della legge n. 431/1998 che
rispetto a tali locazioni governa i conf‌ini dell’autonomia
privata quanto alla determinazione di contenuti contrat-
tuali, con specif‌ico riferimento alle clausole sul canone e
sulla durata del rapporto locativo.
2. Ma è proprio così?
Il diavolo sta nei dettagli.
Il comma 3 dell’art. 2 della legge n. 431/98, nello sta-
bilire a proposito dei contratti agevolati quanto è lasciato
alla autonomia delle parti quando intendano ricorrere a
tali schemi, elenca i contenuti cui devono necessariamen-
te attenersi i contraenti ed a tale riguardo enumera: «il
valore del canone», «la durata del contratto», ma aggiunge
anche «ed altre condizioni contrattuali».
Di qui l’interrogativo: quale valore attribuire a quest’ul-
tima proposizione, presente nell’elenco dell’art. 2 e tutta-
via priva di riscontro nel dettato dell’art. 13 che ad essa
non fa riferimento quando elenca le fattispecie di nullità
delle clausole contrattuali? In altre parole, quale è il pe-
rimetro effettivo dell’autonomia delle parti quando i con-
traenti scelgano di stipulare locazioni abitative agevolate?
3. Prima di tentare di dare una risposta alla domanda,
anche sulla scorta di una abbastanza recente ed emble-
matica decisione della Corte di Cassazione, è necessario
completare il quadro della attuale regolamentazione nor-
mativa delle locazioni abitative con due ulteriori tessere.
La prima è quella che si ricava ricordando quanto è ac-
caduto nel 2002 quando, come è noto, la legge 8 gennaio
2002, n. 2 ha integrato il testo della legge n. 431/98 aggiun-
gendo, tra l’altro, la disposizione dell’art. 4-bis. Con la nuova
e per molti versi innovativa disposizione risulta arricchito il
novero dei compiti assegnati alla ‘Convenzione Nazionale’ e,
in particolare, è reso più penetrante il ruolo delle organizza-
zioni della proprietà edilizia e dei conduttori.
Viene infatti stabilito che la Convenzione o, in difet-
to, il decreto ministeriale non soltanto individua, come
già previsto nell’art. 4 della legge, «i criteri generali per
la def‌inizione dei canoni, anche in relazione alla durata
dei contratti, alla rendita catastale dell’immobile e ad altri
parametri oggettivi, nonché delle modalità per garantire
particolari esigenze della parti», ma altresì «approva i tipi
di contratto per la stipula dei contratti agevolati di cui
all’articolo 2, comma 3, nonché dei contratti di locazione
di natura transitoria di cui all’articolo 5, comma 1 e dei
contratti di locazioni di studenti universitari di cui all’ar-
ticolo 5, commi 2 e 3».
La formula, là dove fa riferimento ai «tipi di contratto»,
è quanto mai pregnante ed evocativa, soprattutto quando
la si legga avendo a mente il dettato dell’art. 1322, comma
2 cod. civ. La norma che, riconoscendo ai privati il pote-
re di concludere contratti «che non appartengono ai tipi
aventi una disciplina particolare», vale a costituire il fon-
damento normativo della autonomia privata, intesa come
libertà delle parti di regolare i reciproci interessi adottan-
do uno schema e realizzando uno scopo diversi da quelli
esposti nei tipi di contratto elaborati dalla legge.
In tale prospettiva, meriterebbe di essere approfondito il
signif‌icato della norma che attribuisce all’autorità ammini-
strativa l’approvazione dei tipi di contratto; tipi di contratto

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