Le investigazioni difensive: soggetti attivi, limiti taciti e patologie processuali (vere o presunte)

AutoreEnrico Di Dedda
Pagine98-101

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@1. La decisione nel quadro normativo

Salutata da molti come ineludibile complemento alla realizzazione del modello del c.d. giusto processo, la L. 7 dicembre 2000 n. 397, recante «Disposizioni in materia di indagini difensive», aveva in realtà subito destato perplessità negli studiosi più attenti.

Pur encomiandone lo sforzo al fine di meglio realizzare il diritto di «difendersi provando» delle parti private, si rilevavano alcune carenze organizzative nella disciplina degli accertamenti e degli atti c.d. irripetibili e, più in generale, sul versante della filosofia di fondo della normativa stessa, vista più come una sorta di forzata duplicazione dei poteri della parte pubblica, che di un passo avanti nell'attuazione del contraddittorio «per» la prova 1.

Al di là della vexata quaestio sul ruolo pubblicistico del difensore «verbalizzante» e sul valore probatorio, in sede dibattimentale, degli atti dichiarativi a lui resi, a distanza di tre anni dalla promulgazione, si è ben lungi da un'applicazione diffusa e consapevole di tale disciplina; essa sembra incontrare la diffidenza principale proprio dagli avvocati per i quali è stata pensata e che la dovrebbero, per primi, porre in opera.

In un panorama operativo invero assai ridotto, le più interessanti pronunce intervengono nel settore degli atti c.d. irripetibili o dalle attività ad essi prodromiche, come il diritto di accesso a luoghi non aperti al pubblico 2.

L'ordinanza del Tribunale di Bari si inserisce in questo filone e articola il suo argomentare su tre snodi concatenati: a) vi è un diritto dell'imputato a presenziare agli atti probatori a matrice difensiva, ove non si individui un divieto espresso; b) l'accesso ex art. 391 sexies c.p.p. rientra tra i primi e l'eventuale sua compressione, nella fase pre-dibattimentale, fa scattare la sanzione delle nullità a regime intermedio, ex art. 178 comma 1 lett. c) c.p.p.; c) nessuna preclusione, a quel punto, è ravvisabile alla spirale invalidante, e tantomeno, quella ex art. 185 comma 4 c.p.p., con l'inevitabile regresso del processo sino alla fase in cui è stato compiuto l'atto censurato.

Ma è veramente così?

@2. Diritto di difesa e investigazione difensive: un rapporto non biunivoco

Il diritto di difesa è una situazione soggettiva assai ampia e comprende certamente anche quello di cercare gli elementi di prova favorevoli all'accusato; ma non tutto quello che genericamente inerisce a tale sfera e può compiere la persona sottoposta da indagine spetta anche al difensore e, viceversa, non tutto quello che può compiere il difensore può effettuarlo anche il suo assistito.

Siamo cioè in presenza di una relazione interna non speculare, sulle cui scansioni la Costituzione tace, lasciando alla fonte legislativa ordinaria, correttamente, il compito di modulare i profili di titolarità dei poteri e di sagomarne gli aspetti operativi.

L'ordinanza in commento parte invece da un presupposto diverso: siccome l'unico divieto per l'accusato, espressamente rinvenibile nel titolo VI bis, è quello che gli interdice la possibilità di assistere all'assunzione di dichiarazioni della persona informata sui fatti ad opera del difensore, tutto il resto assume la qualifica di liceità e, quindi, gli è consentito 3.

Tale argomento, tuttavia, finisce per provare troppo. Anzitutto, essendo la norma ex art. 391 bis comma 8 c.p.p. priva di sanzione, si dovrebbe ammettere, in ossequio al principio di tassatività delle nullità, che anche quel precetto rimane un'indicazione operativa valida sul piano deontologico, ma senza influenza sulla validità dell'atto processuale compiuto. Né si potrebbe invocare la qualifica di Page 99 inutilizzabilità, visto che la stessa è limitata ad altri profili - appena due commi più in su - nel medesimo articolo.

Al di là di tale divieto, si dovrebbe ritenere consentita la presenza dell'accusato a tutte le altre attività investigative, previste dalla L. 397/00: colloquio non documentato; ricezione della dichiarazione scritta ex art. 391 bis comma 2 c.p.p.; accesso ai luoghi privati; attività di accertamento irripetibile.

Ma a questo punto, siccome non vi è un divieto espresso, non si vede perché non possa compiere tali atti il medesimo accusato, relegando il difensore ad un compito che espressamente la legge gli riserva: quello di documentare le varie attività svolte, ex art. 391 ter e 391 sexies c.p.p.

Come si vede, portando alle estreme conseguenze l'antecedente logico assunto dal tribunale barese, si giunge ad esiti vistosamente inaccettabili, che non si conciliano affatto né con l'introduzione nel rito di una disciplina autonoma, né con la previsione normativa che fa da cardine soggettivo alla stessa: l'art. 327 bis c.p.p.

Questo articolo, stranamente trascurato, pone un nesso biunivoco tra difensore ed attività investigative, indicando nel patrono il solo dominus delle stesse, e riservando a lui la facoltà di subincaricare sostituti, investigatori privati, consulenti tecnici: tutti muniti di specifiche immunità, a patto di ricevere la delega dal difensore, non dal suo assistito.

Applicando invece lo schema che funge da background alla decisione del tribunale, si rende incomprensibile la sequenza per cui al delegante (l'assistito) finiscono con lo spettare meno poteri di quanti ne abbia il delegato (il difensore).

Vi è dunque una discontinuità di piani tra diritto di difesa e poteri investigativi privati; la ragione dell'esclusività di questi ultimi è però evidente.

Responsabilizzando il difensore, la legge vuole evitare il corposo rischio che il protagonista delle indagini difensive diventi l'indagato medesimo, e il difensore si riduca ad essere un mero esecutore, uno scrivano delle percezioni e delle volontà altrui; di chi cioè non assicura affatto quei caratteri di lealtà e probità, che sono le pre-condizioni necessarie per evitare che la causa non debordi in un'arena priva di regole, aperta ad ogni inquinamento.

Il difensore abilitato deve sottostare deontologicamente a tali canoni se non vuole incorrere in censure disciplinari e, a differenza del cittadino comune, dispone di quell'expertise professionale indispensabile quando occorre muoversi in spazi delicati che coinvolgono il rispetto della dignità e dei diritti altrui, nonché l'idonea canalizzazione processuale dei risultati investigativi medesimi 4.

Di qui l'esclusione dell'accusato tra i soggetti titolari dei poteri certificativi e esplorativi da cui si dipanano le indagini difensive.

Appare allora del tutto ragionevole che, in base all'art. 391 septies c.p.p., sia il Gip a stabilire le modalità di accesso, valutando, ed eventualmente non autorizzando la presenza dell'indagato, laddove si tratti di entrare e trattenersi in luoghi non pubblici invito domino, comprimendo cioè, in via autoritativa e per fini di giustizia, l'altrui libertà di domicilio 5.

Del resto, la...

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