Atti

AutoreIsabella Iaselli
Pagine235-344
LIBRO II
ATT I
TITOLO I
DISPOSIZIONI GENERALI
Le regole alle quali il procedimento penale è sottoposto impongono che lo stesso sia
documentato in ogni fase e grado, al fine di poter verificare la ritualità con la quale le
fonti di prova sono state acquisite nel corso delle indagini preliminari e di conservare il
ricordo di quanto si svolge dinanzi al giudice in ciascuna delle varie fasi, essendo questa
la condizione affinché un altro giudice possa verificare giustizia e validità della deci-
sione.
La dottrina (D’Isa) distingue, con riferimento alla disciplina in materia di atti proces-
suali, tre momenti:
- quello relativo all’oggetto della documentazione;
- quello relativo al soggetto, inteso come autore della documentazione;
- quello relativo al supporto materiale, inteso come documento in senso stretto.
Oggetto della documentazione sono una condotta od un fatto esterno, compiuto da terzi
o dallo stesso pubblico ufficiale che verbalizza.
L’atto, esaminato sotto il profilo dell’autore, è la condotta cosciente e volontaria diret-
ta ad incorporare nel documento la rappresentazione del fatto esterno. L’attività di colui
che forma l’atto è sempre manifestazione di volontà e ciò consente di operare una distin-
zione tra verbalizzazione e fatti giuridici in cui ha rilevanza il mero evento oggetti-
vo, quale ad esempio il calcolo dei termini processuali, oppure il risultato di una condot-
ta, quale ad esempio il rilievo del luogo di commissione del reato di fini della competen-
za (Cordero).
L’atto, valutato come documento materiale, è lo strumento attraverso il quale viene
memorizzato ciò che rileva ai fini processuali; vige il principio di libertà della forme nel
senso che la documentazione può avvenire in forma scritta, sintetica o integrale, ovvero
attraverso la fonoregistrazione o anche la video registrazione. Va sottolineato che il legisla-
tore, al fine di garantire una fedele riproduzione della realtà, anche per le valutazioni da
parte del giudice di altra fase processuale, ha assicurato preminenza alla verbalizzazione
in forma integrale, prescrivendo ove possibile anche la fonoregistrazione.
109• Lingua degli atti
1. Gli atti del procedimento penale sono compiuti in lingua italiana.
2. Davanti all’autorità giudiziaria avente competenza di primo grado o di ap-
pello su un territorio dove è insediata una minoranza linguistica riconosciuta, il
cittadino italiano che appartiene a questa minoranza è, a sua richiesta, interrogato
o esaminato nella madrelingua e il relativo verbale è redatto anche in tale lingua.
Nella stessa lingua sono tradotti gli atti del procedimento a lui indirizzati successi-
109 • Libro II - Atti 236
1 • LA LINGUA DEL PROCESSO
I protagonisti del processo devono essere posti in
condizione di comprendere quanto avviene nel
corso del suo svolgimento; per tale motivo, il
legislatore ha fissato il principio generale per il
quale l’attività processuale dev’essere compiuta
nella lingua nazionale, ovvero la lingua italiana.
Per la medesima ragione, e per evidenti moti-
vi di garanzia, la norma prevede che l’imputa-
to di nazionalità italiana, il quale appartenga
ad una minoranza linguistica riconosciuta
(come la lingua tedesca e la lingua ladina), sia
interrogato nella lingua madre. Analoga tutela
è riconosciuta allo straniero che non parli e
non comprenda la lingua italiana, il quale
deve essere assistito da un interprete.
Il mancato rispetto di tali regole costituisce
una grave violazione del diritto alla difesa ed è
sanzionato espressamente con la nullità.
2 • AMBITO APPLICATIVO
Occorre precisare, però, che l’obbligo di usare
la lingua italiana si riferisce agli atti da compie-
re nel procedimento, non agli atti già formati da
acquisire al procedimento medesimo. Ciò deri-
va, oltre che dal tenore letterale della citata
norma e dal principio chiaramente desumibile
dall’eccezione stabilita nel comma secondo del
predetto articolo, anche dalle espresse e speci-
fiche disposizioni dettate dagli artt. 237, 242
e 143 c.p.p. Secondo il combinato disposto
delle predette norme, alla cui osservanza il giu-
dice è tenuto
ex
art. 124 c.p.p. anche senza
richiesta o sollecitazione della difesa, mentre
l’acquisizione di qualsiasi documento prove-
niente dall’imputato può essere disposta anche
d’ufficio, il giudice “dispone” (cioè deve
disporre) la traduzione, a norma dell’art. 143,
dei documenti redatti in lingua diversa dall’ita-
liano, se cioè è necessario alla loro comprensio-
ne (Cass., VI, 26-4-1995).
Così, si è affermato che, nei confronti dell’im-
putato straniero che non conosce la lingua ita-
liana, il diritto di difesa è assicurato dall’assi-
stenza dell’interprete solo limitatamente agli
atti orali, essendo escluso l’obbligo di tradu-
zione degli atti processuali nella sua lingua
madre (ad esempio, deve escludersi l’obbligo
di disporre la traduzione dell’avviso della con-
clusione delle indagini preliminari,
ex
art.
415bis c.p.p.) (Cass., II, 25-11-2003).
Inoltre, la mancata consegna di copia della
richiesta di rinvio a giudizio e del decreto di
citazione a giudizio con la traduzione nella lin-
gua di origine degli imputati stranieri, che
siano stati presenti all’udienza preliminare con
l’assistenza dell’interprete, non impedisce a
questi ultimi di comprendere appieno la porta-
ta dell’accusa contestata e non comporta, quin-
di, alcuna lesione del diritto di difesa, atteso
che lo svolgimento dell’udienza preliminare in
presenza degli imputati ha consentito agli stes-
si di conoscere il contenuto delle richieste del
p.m. e del decreto di citazione a giudizio
mediante la contestuale traduzione orale ad
opera dell’interprete (Cass., IV, 5-7-2001).
vamente alla sua richiesta. Restano salvi gli altri diritti stabiliti da leggi speciali e da
convenzioni internazionali.
3. Le disposizioni di questo articolo si osservano a pena di nullità.
La sentenza che conclude il giudizio di appello rientra fra gli atti che devono es-
sere tradotti nella lingua del cittadino appartenente alla minoranza linguistica slo-
vena se costui ne abbia fatto richiesta. Tuttavia, in caso di mancata traduzione, la
nullità prevista dal terzo comma di cui all’art. 109 c.p.p. non investe la sentenza in
sé ma il procedimento di pubblicazione, conseguentemente derivandone l’unico
effetto del mancato decorso del termine per il ricorso per cassazione. La nullità, pe-
raltro, è sanata ai sensi dell’art. 183, lett. b), c.p.p. se venga ugualmente proposto il
237 Titolo I - Disposizioni generali 110
ricorso. La disposizione dell’art. 109 c.p.p. tende, infatti, a rispettare il patrimonio
culturale e linguistico dei soggetti interessati e non è posta a garanzia dell’interven-
to, della assistenza e della rappresentanza dell’imputato (Cass., VI, 3-2-1999).
110• Sottoscrizione degli atti
1. Quando è richiesta la sottoscrizione di un atto, se la legge non dispone altri-
menti, è sufficiente la scrittura di propria mano, in fine dell’atto, del nome e co-
gnome di chi deve firmare.
2. Non è valida la sottoscrizione apposta con mezzi meccanici o con segni diver-
si dalla scrittura.
3. Se chi deve firmare non è in grado di scrivere, il pubblico ufficiale, al quale è
presentato l’atto scritto o che riceve l’atto orale, accertata l’identità della persona,
ne fa annotazione in fine dell’atto medesimo.
1 • NECESSITÀ DELLA FIRMA ED ECCEZIONI
Per sottoscrizione s’intende l’apposizione
della firma per esteso in calce al documento
nel quale sono riportate dichiarazioni del
medesimo soggetto, tenuto alla firma.
Si pensi, ad esempio, alla necessità di sotto-
scrivere un verbale di interrogatorio, da parte
dell’indagato, o un verbale di assunzione infor-
mazione o un verbale di individuazione da
parte del denunciante.
A tale regola si fa eccezione solo se il sog-
getto che ha partecipato alla formazione del
contenuto dell’atto si trova nell’
assoluta
impossibilità di firmare
(si pensi all’analfa-
beta o al cieco). In tal caso, l’ufficiale di
polizia giudiziaria o l’assistente giudiziario o
il cancelliere incaricati di redigere l’atto
devono dare atto di tale impossibilità, dopo
aver accertato l’identità della persona attra-
verso un documento di riconoscimento (ad
esempio, carta di identità).
Talvolta non è sufficiente la sottoscrizione dell’atto, ma occorre che la stessa sia
autenticata; per tale motivo, il legislatore ha dettato, all’art. 39 delle disposizioni di
attuazione del c.p.p., una regola generale: “Fermo quanto previsto da speciali dispo-
sizioni, l’autenticazione della sottoscrizione di atti per i quali il codice prevede tale
formalità può essere effettuata, oltre che dal funzionario di cancelleria, dal notaio,
dal difensore, dal sindaco, da un funzionario delegato dal sindaco, dal segretario
comunale, dal giudice di pace, dal presidente del consiglio dell’ordine forense o da
un consigliere da lui delegato”.
Le “speciali disposizioni” alle quali si riferisce l’articolo sono: la procura speciale
al difensore di parte civile (art. 100, 2° comma), l’elezione di domicilio (art. 162, 1°
comma), la richiesta di rito abbreviato (art. 438, 3° comma), la richiesta di applica-
zione della pena (art. 446, 3° comma), l’atto di impugnazione (art. 583, 3°comma),
la corrispondenza del difensore con l’imputato (art. 35, 2° comma disp. att. c.p.p.).

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