L'assemblea condominiale: formalità e sue conseguenze

AutoreGino Terzago
Pagine739-746

    Intervento svolto al IX Convegno del Coordinamento Legali della Confedilizia tenutosi a Piacenza l'11 settembre 1999.


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@1. Assemblea e partecipazione

Il Legislatore, in materia condominiale, ha lasciato per quanto concerne le formalità attinenti l'assemblea - convocazione, luogo, ora, comunicazione, stesura del verbale, etc. - la più ampia autonomia. Infatti unici accenni possono essere reperiti nell'art. 1136 c.c. laddove si prevede che «l'assemblea di seconda convocazione delibera in un giorno successivo a quello della prima e, in ogni caso, non oltre dieci giorni dalla medesima», e che l'assemblea non può deliberare, se non consta che tutti i condomini sono stati invitati alla riunione», e che infine «delle deliberazioni dell'assemblea si redige processo verbale». Altro accenno viene fatto all'art. 66 delle disp. att. c.c. quando si dice che «l'avviso di convocazione deve essere comunicato ai condomini almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza». Nulla di più. Certo è che l'autonomia negoziale delle parti non può spingersi al punto da impedire lo svolgersi - o lo svolgersi normale - dell'assemblea. Non dimentichiamo che quest'ultima a differenza di altri istituti condominiali, ammette la massima importanza all'elemento personale, quale portatore di interessi individuali connessi con la proprietà solitaria, di cui si tiene nel debito conto indipendentemente dal valore proporzionale. Da qui si possono trarre alcuni principi, cui deve attenersi l'interprete, e cui dare idonea prova: a) notizia; b) argomenti su cui deve incentrarsi la discussione; c) e la possibilità che l'assemblea debba svolgersi con certezza, regolarità e con la massima partecipazione.

Tali principi si collegano direttamente alla «partecipazione» all'assemblea, (altri parla di collaborazione) laddove presuppone quella «comunanza di interessi» tra i partecipanti. Ma quel che ci pare evidenziare è che non assume rilievo un interesse «comune al gruppo», quale ente collettivo, in quanto nel condominio hanno rilievo gli interessi individuali «comuni ai partecipanti», i quali diventano maggioritari o restano in minoranza. Interesse comune non è quindi «interesse del gruppo», perché più soggetti possono avere interessi in comune, ciascuno nella propria individualità. Da qui, la importanza che assume l'attività, che deve essere esercitata per realizzare quell'interesse, che è insito nello scopo perseguito. Lo scopo della gestione può essere comune, ma è pur sempre riconducibile ai singoli e alla loro proprietà esclusiva. Si innesca qui il concetto di «interesse a deliberare» che se in apparenza rivela un interesse comune, non può certo essere scisso dal carattere preminentemente individuale.

È quest'ultimo che prevale ed è sempre quest'ultimo che deve tenersi nel debito conto per la formazione della volontà assembleare.

Il problema della «partecipazione» non può quindi essere avulso dal concetto, più generale, dalla «possibilità» alla partecipazione - e qui il Legislatore non ha voluto scendere nei particolari, fatta eccezione delle poche norme sopra richiamate - per una libera (e non condizionata) discussione, che verrà poi espressa nella delibera. Quel che conta è che la partecipazione del condomino sia resa fattibile sotto ogni punto di vista, della notizia, del luogo, dell'ora e degli argomenti.

Il problema non va disgiunto dalle conseguenze, cui si va incontro nel caso di omissione e/o irregolarità della «partecipazione» in senso lato; è ovvio che, prima facie, si profila una invalidità della deliberazione eventualmente presa ed approvata. Non per nulla, il disposto dell'art. 1137 c.c. dispone che, contro le delibere contrarie alla legge o al regolamento di condominio, è ammessa l'impugnativa. E che ogni vizio che impedisca la partecipazione all'assemblea comporti la menomazione di un diritto del singolo, è fuori di dubbio. Anche se la violazione si ha unicamente verso gli articoli sopra citati, avendo preferito il Legislatore - come detto - lasciare libere le parti in merito alla formazione dell'assemblea: tutto ciò che impedisce la partecipazione, lede giocoforza l'interesse del singolo. Infatti l'assemblea non è altro che il momento di aggregazione dei singoli condomini per gli «accordi» circa gli atti di amministrazione, i cui effetti si producono nei confronti di tutti, pur conservando una loro distinta individualità. Tanto è vero - e lo ripetiamo - che la deliberazione in cui l'accordo si concretizza, non è espressione o dichiarazione di un ente, diverso dai singoli, ma il risultato di un accordo tra i singoli, che li impegna in quanto accordo-contratto. Ma quest'ultimo presuppone, la «partecipazione». Senonché, dottrina e giurisprudenza da anni, hanno posto, di fronte al concetto generalizzato di invalidità, la dicotomia «nullità - annullabilità», lasciando confini non meglio precisati.

Discende, da parte dell'interprete, la necessità della collocazione del vizio nell'una piuttosto che nell'altra categoria, in uno alla decadenza (trenta giorni) prevista dal citato art. 1137 c.c.

Ma vediamo partitamente le varie problematiche.

@@1.1. La forma

Riguardo alla forma la legge non prescrive particolari modalità per l'invito ai comproprietari a partecipare alle adunanze delle assemblee: è sufficiente risulti che costoro abbiano in qualunque modo avuto notizia della convocazione. Il VISCO invece richiede un minimo di formalità: lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, ovvero un foglio raccomandato a mano, in cui ciascun condomino invitato appone la propria firma per presa visione. La Corte di cassazione in una sua sentenza (25 luglio 1968 n. 1375) ha ritenuto valida la convocazione fatta con il sistema dei pubblici proclami, stabilito dal regolamento della comunione e giustificato dall'ingente numero dei comproprietari e dalla conseguente pratica impossibilità, per gli amministratori della comunione, di avere una tempestiva conoscenza dei trasferimenti delle varie quote di comproprietà.

La Cassazione ancora (15 dicembre 1982 n. 6919), ha affermato che la convocazione può essere compiuta in qualsiasi forma idonea al raggiungimento dello scopo, con possibilità, per chi ne ha l'onere, di provare con qualsiasi mezzo, e quindi anche con presunzioni, il possesso nel condomino delle informazioni sufficienti a renderlo edotto della riunione e a metterlo in condizione di parteciparvi. Questo principio manifestamente non pone la citata norma in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., in quanto essa, in un sistema di mezzi per la notizia della convocazione della assemblea, non introduce alcuna discriminazione in danno dei com-Page 740proprietari della stessa unità immobiliare (Cass. 3 febbraio 1999 n. 875; Cass. 9 gennaio 1998 n. 138).

Il Tribunale di Milano (29 maggio 1986 Erbini ed altri c. Organizzazione conduttori complesso Via de Roberto 5) ha ritenuto legittima la convocazione a mezzo lettera affissa nell'atrio di ogni stabile almeno cinque giorni prima della data della assemblea, come pure è stato ritenuto valido l'inserimento nella buca delle lettere (Trib. Genova 4 maggio 1994), e valida la presunzione. Infine la Cassazione (3 febbraio 1999 n. 875), ha considerato raggiunta detta prova alla stregua della dimostrata spedizione della raccomandata contenente l'avviso di convocazione attraverso il tempestivo inserimento del relativo avviso nella cassetta intestata al condomino destinatario, integrata dalla presunzione che lo stesso destinatario controllasse assiduamente la presenza al suo interno di corrispondenza a lui diretta.

Al fine della valida costituzione dell'assemblea dei condomini in un edificio, la prova che l'avviso di convocazione sia stato effettivamente consegnato al singolo condomino può essere acquisita anche con presunzioni, aventi i requisiti di gravità, precisione e concordanza stabiliti dall'art. 2979 c.c. (Nella specie, il giudice di merito aveva considerato raggiunta detta prova, rilevando che l'avviso di convocazione era stato da questi consegnato alla moglie del portiere, con funzioni di sostituto, presso lo stabile in cui si trovava il destinatario. La S.C. premesso il principio di cui sopra, ha ritenuto corretta la statuizione «(cfr. VOI, Brevi note in tema di convocazione e costituzione dell'assemblea», in ALC 1997, 369; Cass. 25 marzo 1999 n. 2837; id., 19 agosto 1998 n. 8199).

@@1.2. Forma e contenuto

Elementi essenziali dell'avviso di convocazione sono quindi: il giorno, l'ora, il luogo dell'adunanza nonché l'ordine del giorno (Cass. 24 agosto 1998 n. 8344; id. 19 febbraio 1997 n. 1511).

L'oggetto non deve essere indicato con una dizione generica, dovendo i singoli condomini essere informati di «ciò» che si discuterà: anzi sotto l'espressione «varie» che generalmente si trova in ogni avviso, non dovrà discutersi di un preciso argomento, bensì essere riservato a «comunicazioni» che l'amministratore o il condomino intende fare a scopo di informazione e non di decisione (VISCO) ovvero dare occasione per intrattenere i convenuti in una amichevole conversazione e suggerire appropriati ordini del giorno per la prossima riunione (PERETTI-GRIVA) (Trib. Milano 8 febbraio 1999, in G 1999, 1473).

Non è necessario che la formulazione dell'o.d.g. contenga l'indicazione articolata, specifica ed analitica, di tutti gli argomenti che saranno posti in discussione, essendo sufficiente che l'indicazione degli argomenti da trattare avvenga in forma sintetica ed abbreviata ancorché implicita attraverso il riferimento a categorie logiche e deduttive o a nozioni pratiche ed operative. Salva sempre la condizione che, attraverso la lettura dell'o.d.g., il condomino possa essere reso edotto della reale portata e delle implicazioni pratiche della discussione: affinché possa valutare in concreto l'opportunità di partecipare alla riunione e - se del caso prepararsi adeguatamente al dibattito assembleare. Più in particolare ai fini della validità delle deliberazioni dell'assemblea di condominio è...

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