Primi appunti sugli aspetti probatori e sulle decisioni finali concernenti l'illecito amministrativo dipendente da reato

AutoreFrancesco Nuzzo
Pagine455-461

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  1. - Al tradizionale sistema della responsabilità della persona fisica per il reato commesso, il D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, emanato in attuazione della L. 29 settembre 2000, n. 300, ha affiancato quello della responsabilità della persona giuridica (o di soggetto equiparato) per l'illecito amministrativo, realizzando un sostanziale avvicinamento delle diverse posizioni, benché sia differente la tipologia delle sanzioni applicabili 1.

    Lo strumento normativo predisposto, già conosciuto sotto altre forme in ordinamenti stranieri (Stati Uniti, Francia, Norvegia, Australia, ecc.), riveste una grande rilevanza in sé e per i suoi risvolti di politica criminale, ma esclusivamente la prassi potrà fornire i riscontri sul piano dell'efficacia e dell'effettività, poiché l'istituto di recente conio «si muove (...) in una spiccata logica di prevenzione generale "negativa", decisamente orientato com'è a costituire una specifica forma di deterrenza rispetto alla commissione di specifici fatti di reato, anche se non disdegna qualche incursione sul terreno della prevenzione speciale» 2. Non v'è dubbio che il nuovo assetto di responsabilità, avente l'obiettivo di radicare la cultura aziendale della legalità, presenta caratteristiche originali «in considerazione non soltanto della peculiarità dei soggetti suoi destinatari (enti e non persone fisiche), ma soprattutto della distinta impronta penalistica che lo segna e che deriva dall'essere comunque costruito in dipendenza della verificazione di un reato» 3. L'indicazione terminologica di «responsabilità amministrativa», impiegata nell'articolato del D.L.vo 231/2001, non pare corrispondere alla notazione essenziale della disciplina, tant'è che la dottrina coglie nell'assetto disegnato «un mascheramento di quella responsabilità penale della persona giuridica di cui si predica da anni la necessità e/o l'opportunità di una valorizzazione anche nel sistema penale italiano» 4 e, forse, il disagio del legislatore nel parlare espressamente di responsabilità penale si spiega appunto con la considerazione che «qualcosa stride sul piano penalistico del principio di colpevolezza, dei criteri di imputazione all'ente del reato commesso dalla persona fisica; con la qualificazione di illecito amministrativo si è tentato di attenuare, o meglio di coprire la contraddizione» 5.

    La costruzione di un sottosistema, all'interno del quale l'impronta di origine penale emerge con immediatezza, ha reso anche ineludibile una diversa calibratura dei moduli procedimentali, in quanto le disposizioni della L. 24 novembre 1981, n. 689 sull'illecito amministrativo non sarebbero state in grado di assicurare le necessarie esigenze di garanzia in vista dei gravi esiti contemplati dal D.L.vo 231/2001, che possono arrivare fino alla chiusura definitiva dello stabilimento o all'interdizione definitiva dell'attività societaria.

    Pur se l'oggetto della presente nota concerne taluni profili probatori e le decisioni relative alla condotta contra legem dell'ente, una preliminare e breve analisi dei principi essenziali in materia, sotto l'aspetto metodologico, non appare superflua.

  2. - La normativa introdotta dal D.L.vo 231/2001 «disciplina la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato» (art. 1, comma 1). Nella sua formulazione lessicale, la disposizione sembra indicare che dal fatto di reato discende, in rapporto di causa a effetto, un autonomo e distinto accadimento, qualificabile come illecito amministrativo: in realtà, il fatto storico rimane lo stesso e mutano soltanto le valutazioni giuridiche, poiché l'unico evento fenomenico costituisce reato per le persone fisiche che lo hanno commesso e illecito amministrativo per le figure collettive 6.

    Destinatari delle norme sono gli enti forniti di personalità giuridica, le società e associazioni anche prive di personalità giuridica; non rientrano nella previsione lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli enti pubblici non economici e quelli che svolgono funzioni di rilievo costituzionale (art. 1, commi 2 e 3). Quest'ultima categoria, in cui sono da situare pure i partiti politici e i sindacati, dà luogo, per così dire, alla creazione di «una zona franca giustificabile soltanto alla luce delle delicate conseguenze che produrrebbe l'impatto, su questi soggetti, delle sanzioni interdittive previste dal nuovo impianto legislativo» 7.

    Lo schema della responsabilità e delle sanzioni è presidiato dal principio di legalità (art. 2 D.L.vo 231/2001) nelle sue accezioni di riserva di legge, tassatività e irretroattività delle norme svantaggiose: una scelta, codesta, in armonia con l'ispirazione complessiva dell'innovato quadro ordinamentale, dove sono contemperate le ragioni dell'efficacia preventiva con quelle, ancor più improrogabili, della massima garanzia dell'ente coinvolto. In linea con siffatta opzione di matrice penalistica, viene regolato il fenomeno della successione di leggi nel tempo, che estende all'ente, in virtù di una parziale replica del dettato dell'art. 2 c.p., il trattamento di favore previsto per l'imputato persona fisica, sulla base di un consapevole riferimento all'incisività dell'apparato punitivo.

    La fattispecie complessa, in cui si sostanzia l'illecito penale-amministrativo, presuppone, come s'è anticipato, l'esistenza di un fatto di reato, posto in essere da una persona fisica, e la responsabilità viene ascritta alla persona giuridica sulla base di concorrenti criteri di imputazione.

    Il primo criterio, di carattere «oggettivo», si ancora a un reato commesso nell'interesse o a vantaggio della societas e compreso nel catalogo degli artt. 24 e 25 D.L.vo 231/2001 (indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche, frode informatica in danno dello Stato o di altro ente pubblico, concussione e corruzione) 8. Occorre che la condotta criminosa sia realizzata dalle persone fisiche che, in posizione «apicale», rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso. Autori del reato possono essere, altresì, coloro che sono sottoposti alla dire- Page 456 zione o alla vigilanza di uno dei soggetti appena indicati (art. 5, comma 1, D.L.vo 231/2001).

    Se interviene la «rottura» del rapporto di immedesimazione organica, nel senso che gli agenti hanno operato nell'interesse esclusivo proprio o di terzi, l'ente non è chiamato a rispondere (art. 5, comma 2, D.L.vo 231/2001); anzi, il giudice, ove risulti la manifesta estraneità della persona morale, non dovrà accertare nemmeno se quest'ultima abbia per caso tratto un vantaggio.

    Il secondo criterio di attribuzione della responsabilità si radica sul terreno «soggettivo» e implica che il reato esprima un indirizzo connotativo della politica aziendale o, quanto meno, discenda da una colpa in organizzazione; peraltro, la responsabilità dell'ente, ai sensi dell'art. 6 D.L.vo 231/2001, non sussiste qualora siano adottati «modelli comportamentali specificamente calibrati sul rischio-reato, e cioè volti a impedire, attraverso la fissazione di regole di condotta, la commissione di determinati reati. Requisito indispensabile perché dall'adozione del modello derivi l'esenzione di responsabilità dell'ente è che esso venga anche efficacemente attuato: l'effettività rappresenta, dunque, un punto qualificante e irrinunciabile del nuovo sistema di responsabilità» 9. Almeno per i c.d. vertici societari, la lettura della disposizione in esame, come meglio si vedrà, induce a pensare che la colpa organizzativa «lungi dall'essere documentata, sarà presuntivamente ascritta alla persona giuridica» 10, salva la difficile prova rappresentata dalla predisposizione di modelli concreti e operativi di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.

    L'art. 8 D.L.vo 231/2001 dispone che la responsabilità dell'ente sussiste anche quando l'autore del reato non è stato identificato o non è imputabile: a prescindere dalla seconda parte della disposizione, che ha una valenza quasi teorica, il legislatore prende atto che la moderna situazione societaria, talvolta, può rendere impossibile attribuire a una persona fisica la responsabilità penale in ordine al commesso reato, ma l'ente è chiamato a rispondere ugualmente sul piano amministrativo, sempre che a esso sia ascrivibile una colpa di organizzazione nei termini dianzi illustrati 11.

    Merita ancora qualche cenno il complesso delle sanzioni amministrative, che l'art. 11, comma 1 lett. f) L. n. 300/2000 ha voluto «effettive, proporzionate e dissuasive» nei confronti delle società responsabili dell'illecito.

    Il corredo repressivo si basa sulla fondamentale e indefettibile irrogazione della sanzione pecuniaria, nell'ambito di un progetto commisurativo «per quote» (art. 10, commi 1 e 2 D.L.vo 231/2001), la cui determinazione impegna il giudice in una operazione bifasica. Dapprima egli stabilisce il numero delle quote ritenuto congruo per sanzionare l'illecito: tale apprezzamento va correlato alla gravità del fatto, al grado della responsabilità, nonché all'attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti. Poi, fissa il valore monetario della singola quota, tenendo conto delle condizioni economiche e patrimoniali dell'ente, allo scopo di assicurare l'efficacia della sanzione (art. 11 D.L.vo 231/2001) 12.

    Nei casi di maggiore gravità, si aggiungono le sanzioni interdittive, ma «solo in relazione ai reati per i quali sono espressamente previste, in omaggio ad una esigenza di legalità e di selezione delle fattispecie più gravi, meritevoli di un simile invasivo corollario sanzionatorio» 13. L'art. 9, comma 2 contempla: a) l'interdizione dall'esercizio dell'attività; b) la...

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